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Democrazia diretta in Svizzera

Migliaia di cristiani nella cattedrale di Abu Dhabi

Paul Hinder è vicario apostolico della Penisola Arabica dal 2005 ZVG

Il cappuccino svizzero Paul Hinder è vicario apostolico della Penisola arabica e “regna” su 2 milioni di cattolici sparsi in 3 milioni di km2. Nel più grande vicariato del mondo, la libertà religiosa è relativa. Eppure, soprattutto a Natale, le chiese sono strapiene.

Come ogni anno la celebrazione del Natale chiama a raduno circa 15’000 cattolici che assistono alle diverse messe organizzate nella cattedrale di San Giuseppe d’Abu Dhabi, sede del vescovo. I cristiani, in maggioranza di origine asiatica, costituiscono solo il 2,7% della popolazione della regione, ma riempiono comunque le chiese.

Il voto svizzero contro l’edificazione di minareti, ha naturalmente sollevato molte critiche nella penisola, ma Monsignor Paul Hinder ritiene che sia prematuro esprimersi sulla reale ampiezza di eventuali conseguenze sulle comunità cristiane, la cui esistenza è già di per sé difficile.

swissinfo.ch: Un cappuccino che indossa i panni del vescovo-diplomatico. Un destino poco usuale…

Paul Hinder: Non ho mai brigato per diventare vescovo, anzi ho fatto di tutto per evitarlo! Avrei comunque fatto fatica a rifiutare questa nomina quando mi è stata offerta. Conoscendo la regione, avevo già un’idea di quello che mi sarebbe aspettato. Ma le sfide hanno oltrepassato tutte le mie previsioni. Sono letteralmente sotterrato dal lavoro e mi muovo senza sosta in un vasto territorio che conta una moltitudine di cattolici, soprattutto di origine asiatica.

La difficoltà maggiore è stata la lingua. Non ho purtroppo il tempo di imparare l’arabo, ma ho dovuto familiarizzarmi con l’inglese, lingua di comunicazione con le autorità e la quasi totalità dei fedeli, di origine straniera.

swissinfo.ch: Queste chiese così colme di fedeli sono in contrasto con quanto si vede in Svizzera e in Europa…

P.H.: È vero, rispetto a quanto succede in Europa, qui la Chiesa è fiorente. La devozione dei fedeli mi ha particolarmente impressionato e per me costituisce sicuramente un grande aiuto. Questa chiesa policroma esprime la ricchezza delle nazioni, delle razze, delle tradizioni (ci sono molti cattolici orientali, di cui alcuni che non conoscevo).

Ma questa ricchezza implica una certa complessità e la mancanza di spazi, un problema gravoso in sé, può diventare una fonte di tensione tra le comunità. Ma mi rallegro di vedere tutte queste persone, pronte a vivere con una certa serenità in un paese, come la penisola arabica, dove la libertà è limitata.

swissinfo.ch: I cristiani sono perseguitati?

P.H.: Nel senso stretto del termine, sicuramente no e in ogni caso non nella mia regione. C’è tuttavia una forma di persecuzione molto più sottile che si manifesta costringendo le persone, in alcune regioni, a nascondersi e a non poter dichiarare apertamente la propria appartenenza al cristianesimo.

Ma ciò non significa che non possiamo esistere. Possiamo esistere, con delle difficoltà, e possiamo praticare la nostra fede. Lo facciamo tuttavia secondo modalità più private. Non è una situazione ideale, ma ciò mi impressiona ogni volta che sono confrontato con condizioni di libertà religiosa molto precarie.

Io stesso mi posso muovere in tutto il paese, ma devo sempre avere con me un visto, che a volte mi possono procurare all’aeroporto di destinazione. Viaggio normalmente esibendo un collo romano, ma in abito completamente civile a dipendenza di dove mi devo recare.

swissinfo.ch: Lei ha seguito gli effetti della votazione del 29 novembre. Come reagisce di fronte alla decisione di molti cristiani di vietare i minareti?

P.H.: Come tutta la gerarchia cattolica, sono convinto che va contro i principi democratici. Ma devo ammettere che un po’ comprendo la paura della gente. Non penso che abbiano votato contro l’islam in quanto tale o contro i musulmani. Ma è vero che in Svizzera il 23% della popolazione è straniera e che certe persone hanno difficoltà a digerire la diversità di culture e religioni per paura di perdere la loro identità. Anche se è lecito chiedersi se hanno ancora un’identità cristiana.

Ci siamo sbagliati tutti sulla realtà di questi sentimenti e sono convinto che le cose non avrebbero dovuto andare come sono andate. Ma ora dobbiamo vivere con questa realtà, sperando che i cristiani di Oriente non ne soffrano.

swissinfo.ch: Pensa che l’immagine della Svizzera ne abbia sofferto?

P.H.: Nei paesi arabi ci sono state evidentemente delle forti reazioni, accompagnate anche da una cattiva informazione sui media, che per ora non mi hanno contattato. Ma è prematuro valutare adesso le possibili conseguenze. Vedremo.

Possiamo sicuramente dire che l’immagine della Svizzera è certamente più opaca, e non soltanto nei paesi musulmani. Molti hanno scoperto un’immagine meno bianca rispetto all’idea che avevano della Svizzera. Ma la Svizzera ha altre qualità da mettere in valore, per cui con il tempo i toni accesi si stempereranno.

Quanto al resto dell’Europa, sono sicuro che gli elettori avrebbero dato una risposta analoga, se non addirittura peggiore, se fossero stati chiamati alle urne. Ma questa è un’altra storia.

Isabelle Eichenberger, swissinfo.ch
(Traduzione dal francese Françoise Gehring)

Il Vicariato apostolico d’Arabia raggruppa 6 paesi della penisola arabica che si estende su 3 milioni di km2; i cattolici sono circa 2 milioni (4% della popolazione totale in base ai dati del 2009).

Il vescovato comprende 18 parrocchie in 5 paesi su 6 (nessuna chiesa in Arabia Saudita): Yemen (4); Bahreïn (2), Qatar (una grande chiesa ha appena rimpiazzato una sala provvisoria), Emirati Arabi Uniti (7), Sultanato d’Oman (4).

Sono presenti una sessantina di religiosi.

Nato nel 1942 a Stehrenberg (Turgovia), si avvia al noviziato presso i cappuccini nel 1962 e viene ordinato sacerdote nel 1967.

Esercita diverse funzioni, in particolare in Svizzera e in Italia (con regolari soggiorni in diversi paesi europei, Canada e Medio Oriente, prima di essere nominato dal papa Giovanni Paolo II, vescovo ausiliario (2004) e poi vescovo apostolico (2005) del Vicariato d’Arabia.

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