
2010: Eyjafjalla restituisce i cieli alla natura

Ai più era sconosciuto fino all'aprile 2010. Ma in un baleno il suo nome impronunciabile ha fatto il giro del mondo. Seppur invisibili, le ceneri di quel vulcano islandese hanno impresso un'immagine indelebile: quella degli aerei di quasi tutta l'Europa – Svizzera compresa – inchiodati al suolo.
Non ha seminato morte come molti altri vulcani e la sua eruzione non è nemmeno considerata eccezionale. Eppure il risveglio primaverile del vulcano dell’Eyjafjallajökull ha provocato uno scompiglio tale nei cieli europei, con ripercussioni internazionali, da sbiadire il ricordo degli aerei bloccati in seguito agli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti.
Il Vecchio continente ha vissuto giornate di trepidazione e d’incertezza, con milioni di passeggeri rimasti a terra per giorni e giorni, più di centomila voli cancellati, centinaia di aeroporti chiusi. Una paralisi che in una settimana, secondo i calcoli dell’agenzia britannica Oxford Economics, ha amputato il prodotto interno lordo (Pil) mondiale di circa 5 miliardi di dollari.
Lo spazio aereo elvetico è stato chiuso il 16 aprile a mezzanotte ed è stato riaperto il 20 aprile alle 8 del mattino. Ma le attività aeree svizzere, come quelle della maggior parte dei paesi europei, sono rimaste perturbate ancora per diversi giorni.
Costi e disagi
A causa della nube di ceneri del vulcano islandese spostata dalle correnti nei cieli europei, Swiss ha dovuto cancellare 1’885 voli, per un totale di oltre 200mila passeggeri. I danni per la filiale svizzera della Lufthansa sono stati valutati a circa 60 milioni di franchi, fra mancati guadagni e costi sopportati per assistere la clientela e trovare soluzioni alternative.
Dal canto loro, gli operatori turistici svizzeri hanno dovuto rimpatriare circa 15mila clienti rimasti bloccati all’estero. I costi supplementari si sono aggirati sui 4 milioni di franchi, secondo le stime della Federazione svizzera delle agenzie di viaggi.
Il Touring Club Svizzero ha indicato che le prestazioni prese a carico dalla sua assicurazione viaggi per coprire oltre 5mila sinistri legati a queste perturbazioni sono ammontate a circa 3,2 milioni di franchi.
Duramente colpiti gli aeroporti. Già solo per lo scalo di Zurigo il mancato guadagno si è aggirato sui 7 milioni di franchi, secondo i calcoli della società che lo gestisce.
Approvvigionamento assicurato
Oltre che su quello aereo e su quello turistico, la chiusura dello spazio aereo europeo ha avuto effetti indiretti su numerosi altri settori.
Per il Gruppo interdipartimentale di lavoro per la protezione delle infrastrutture critiche (GL PIC), che opera sotto la direzione dell’Ufficio federale della protezione della popolazione, la paralisi ha dimostrato “l’importanza economica del traffico aereo come sottosettore critico e sottolineato la necessità di scorte per i beni di prima necessità e della pianificazione di vie di trasporto e di vendita alternative”.
In una nota del 21 aprile, il GL PIC ha precisato che, nonostante i disagi, “il buon funzionamento di altre infrastrutture critiche – come l’approvvigionamento elettrico, l’approvvigionamento (nazionale) di derrate alimentari e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione – non è stato compromesso”.
Fragilità e mancanza di coordinamento
Di fatto, il problema della cenere vulcanica ha però evidenziato la vulnerabilità di una società moderna fortemente dipendente dall’aviazione per gli spostamenti e gli approvvigionamenti. Una società e delle autorità colte impreparate dal pericolo costituito da quelle microparticelle per i motori degli aerei.
Così, dopo i primi giorni di sgomento e di incertezze, si sono rapidamente innescate le polemiche sull’opportunità o meno di vietare i voli a titolo cautelativo.
Il problema è che si sa che le ceneri vulcaniche, a seconda della composizione e della densità, possono danneggiare i motori degli aerei, con il rischio di bloccarli – come già successo – o anche di farli esplodere. “Tuttavia, non esistono valori limite, stabiliti scientificamente e riconosciuti a livello internazionale, a partire dai quali la concentrazione di una tale nube di cenere inizia a rappresentare un pericolo per gli aeromobili”, spiega l’Ufficio federale dell’aviazione civile (UFAC).
Messe sotto pressione e sprovviste di regole scientifiche, le autorità dei vari paesi hanno deciso autonomamente la revoca delle restrizioni di volo, basandosi su criteri diversi. Una mancanza di coordinamento deplorata dall’UFAC nella rivista L’aviazione civile svizzera 2010, pubblicata in agosto.
Secondo l’UFAC, la lezione è stata chiara: “urgono direttive armonizzate a livello europeo o mondiale che, in caso di un’altra eruzione vulcanica, permettano ai vari Paesi di agire sulla base degli stessi criteri in modo da evitare che il traffico aereo europeo si ritrovi nuovamente nel caos”. Per l’UFAC, è anche fondamentale definire le condizioni quadro per la sicurezza e lo sviluppo dell’aviazione, tramite la cooperazione internazionale.
Vari gruppi di lavoro si sono già rimboccati le maniche. Occorrerà però avanzare di buona lena, perché anche se nel frattempo il vulcano dal nome impronunciabile è tornato a dormire sotto i ghiacci dell’Islanda meridionale, non si sa se, quando e come si risveglierà. Come si ignora l’impatto che potrebbe avere l’eruzione di altri vulcani. Nel mondo ve ne sono circa 1500 attivi. Anche se molti sono tranquilli da centinaia o perfino da migliaia di anni, l’Eyjafjalla ha dimostrato che il pericolo resta in agguato.
Dopo quasi 200 anni che se ne stava tranquillo sotto l’Eyjafjallajökull, un grande ghiacciaio nel sud dell’Islanda, il vulcano entra in eruzione il 20 marzo 2010.
Subito nella zona circostante è proclamato lo stato d’emergenza: circa 600 persone sono rapidamente sfollate, molte strade sono sbarrate e i voli sopra la regione sono deviati.
Inizialmente il mondo guarda le immagini dello spettacolo naturale di ghiaccio e fuoco. Gli effetti negativi dell’eruzione vulcanica sembrano circoscritti alle immediate vicinanze.
L’attività eruttiva dell’Eyjafialla – detto anche Eyjafiöll -s’intensifica. Dopo la prima fase effusiva, il 14 aprile l’eruzione diventa esplosiva. La composizione chimica della lava cambia; è più acida e più gassosa. Una colonna di cenere e detriti alta otto chilometri segna l’inizio di un incubo per il traffico aereo europeo.
Poche ore dopo, la Norvegia chiude parte del suo spazio aereo a causa della nube di cenere. L’indomani fanno lo stesso gli altri paesi del nord Europa. Poi la situazione precipita. Spinte dalle correnti, le ceneri dell’Eyjafjalla si espandono nei cieli di gran parte del Vecchio continente, provocando la chiusura del 70% dello spazio aereo europeo.
L’intensità eruttiva cala, le ceneri si diradano e gradualmente dal 19 aprile nei cieli europei si ricomincia a volare.
Il vulcano, però, non si placa completamente e le sue ceneri continuano a condizionare il traffico aereo europeo. Anche se l’aviazione non è più completamente paralizzata, molti voli sono ancora cancellati.
Dal 23 maggio l’Eyjafjalla emette ancora solo vapore. I voli tornano alla normalità. Il 27 ottobre il vulcano si riaddormenta.

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