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Padre Cornelius Koch, la morte di un prete scomodo

Cornelius Koch, un prete che si è sempre impegnato in favore degli oppressi e degli emarginati Keystone

Costernazione, anche se solo in certi ambienti, pure in Ticino per la morte improvvisa di padre Cornelius Koch, un prete scomodo, che si è sempre battuto per una politica di maggiore apertura ai rifugiati. Koch, 61 anni, spentosi a Basilea l'altra sera per un tumore, ogni anno era solito festeggiare a Chiasso il primo d'agosto con i richiedenti l'asilo, dando vita a manifestazioni con atti simbolici provocatori.

Il religioso, nato in Romania da padre svizzero e da madre romena, era domiciliato nel Comune ginevrino di La Plaine. Era però un personaggio molto conosciuto anche in Ticino, dove giungeva puntualmente con il suo cane per combattere la battaglia in favore dei disperati, che premevano alla frontiera.

Nella Svizzera italiana lo ricordano per i suoi primi d’agosto alternativi. In passato, proprio in occasione della festa nazionale, anziché accendere il tradizionale falò, aveva bruciato la bandiera svizzera e la carta dei diritti europei per sensibilizzare sul tema dei rifugiati. Gesti molto forti, che non hanno mancato di suscitare le critiche dei benpensanti.

Ma padre Koch, un prete di frontiera, il paladino dei diseredati, andava dritto per la sua strada, contestando la politica svizzera sull’immigrazione, a suo parere troppo restrittiva. «La barca non è piena», ribadiva ogni volta che al confine italo-svizzero si ripresentava l’emergenza profughi.

Il religioso era stato in grado di mobilitare in favore della sua causa anche personaggi molto noti, come l’architetto Mario Botta, Dimitri, il clown di Verscio e lo scrittore ticinese Alberto Nessi. Lo scorso primo agosto, però, padre Koch a Chiasso non s’è visto. Evidentemente la malattia, di cui non si era a conoscenza, gli ha impedito di ribadire ancora una volta il suo impegno in favore dei rifugiati. Ultimamente si era mobilitato anche per i “sans papier”.

In prima linea con padre Koch c’era don Renzo Beretta, il prete italiano della parrocchia di Ponte Chiasso, a pochi metri dal confine, ucciso con una coltellata nel gennaio del 1999 da un clandestino, colpito da decreto di espulsione, un caso che fece molto scalpore in Italia. Insieme si adoperavano per dare accoglienza ai profughi, in cerca di una vita migliore. Don Beretta dava rifugio agli immigrati, ospitandoli nella sua chiesa, facendo spazio tra le panche. Entrambi però ora sono morti. E resta senza risposta un interrogativo: chi raccoglierà l’eredità dei due preti di frontiera?

Elisabetta Pisa

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