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Attaccata, Nestlé replica a Davos

Il numero uno della Nestlé in una foto d'archivio Keystone Archive

In margine al Forum economico mondiale (WEF), la Dichiarazione di Berna ha rinnovato le sue critiche al gigante agro-alimentare.

Peter Brabeck-Letmathe, patron della Nestlé, ha risposto indirettamente dal podio dell’Open Forum.

Nestlé, gigante dell’alimentazione con sede a Vevey, è stata spesso nel mirino delle critiche delle organizzazioni non governative (ONG). A Davos, la Dichiarazione di Berna (DB) – una delle ONG che partecipano al forum alternativo Public Eye on Davos – ha rinnovato le accuse.

Le accuse della Dichiarazione di Berna

Tre i casi concreti su cui la DB punta il dito: il primo riguarda la richiesta da parte della Nestlé di un risarcimento di 6 milioni di dollari all’Etiopia per uno stabilimento nazionalizzato nel 1975, stabilimento che apparteneva ad una società tedesca acquistata dalla multinazionale elvetica nel 1985.

La DB stigmatizza inoltre il trattamento riservato ai membri del sindacato Sinaltrainal in Colombia, sindacato con il quale Nestlé si rifiuterebbe di dialogare, e accusa la multinazionale di contribuire alla distruzione di una riserva d’acqua in Brasile, pompando 30’000 litri d’acqua al giorno da un parco naturale nella regione di Minas Gerais.

Appello a Joseph Deiss

L’azione della DB è avvenuta in concomitanza con un dibattito organizzato nel quadro di Open Forum – piattaforma co-organizzata dal WEF e da alcune ONG svizzere – e dedicato a Global Compact, l’iniziativa patrocinata dall’ONU per indurre le aziende ad applicare volontariamente standard ecologici e sociali.

Tra i partecipanti al dibattito vi erano tra gli altri di Peter Brabeck-Letmathe, amministratore delegato della Nestlé, e Joseph Deiss, ministro elvetico dell’economia. Proprio a quest’ultimo la DB si è appellata, chiedendo un intervento in favore di regole vincolanti per le aziende multinazionali.

Le risposte di Brabeck-Letmathe

Nel corso del dibattito, l’amministratore delegato di Nestlé si è difeso con veemenza dalle accuse della DB in particolare e delle ONG in generale.

“Siamo spesso confrontati con accuse senza alcun fondamento – ha ricordato Brabeck – come il coinvolgimento indiretto nell’assassinio di sindacalisti in Colombia da parte delle forze paramilitari.”

E ha proseguito: “Di fronte ad accuse di questo genere, mi chiedo dove siano gli standard etici delle ONG. Noi stessi siamo confrontati con la violenza in Colombia, vari impiegati della Nestlé sono stati assassinati.”
In ogni caso, ha assicurato Brabeck, la Nestlé in Colombia accetta la presenza dei sindacati nelle sue aziende.

Accordo in Etiopia

Quanto alla questione del risarcimento in Etiopia, Brabeck ha rivelato che lo Stato etiope, Nestlé e la Oxfam – la ONG che aveva lanciato in dicembre la campagna sulla questione – hanno appena raggiunto un accordo.

L’Etiopia verserà alla multinazionale 1,5 milioni, invece dei 6 rivendicati, che saranno devoluti dalla Nestlé ad un’organizzazione che si occupa di lotta alla fame nel paese africano.

“Un buon risultato”, ha commentato da parte sua in un comunicato la Oxfam. “Ciò dimostra che la Nestlé non è immune alle pressioni dell’opinione pubblica.”

Disaccordo su Global Compact

Una schermaglia, quella fra la Dichiarazione di Berna e la Nestlé, che appare in qualche modo rappresentativa delle relazioni tra ONG e aziende. E che mette in luce le forti divergenze d’opinione sul programma Global Compact dell’ONU.

Lanciato proprio a Davos nel 1999 dal segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, Global Compact si basa sull’idea di un’adesione volontaria delle aziende multinazionali ad alcuni standard sociali e ambientali.

“Global Compact è innanzitutto un processo di apprendimento” ha osservato il consigliere federale Joseph Deiss. Un’opinione condivisa da molti partecipanti all’Open Forum, convinti che la via dell’autoregolamentazione sia migliore di quella della regolamentazione.

Un marchio a buon mercato

Ma per le ONG, anche per quelle che aderiscono all’iniziativa, come Human Rights Watch, se l’apprendimento è importante, Global Compact appare ancora troppo poco incisivo.

“Global Compact porta il marchio significativo delle Nazioni Unite, e questo marchio è venduto troppo a buon mercato”. È l’analisi di Kenneth Roth, direttore di Human Right Watch, voce più critica fra i relatori dell’Open Forum.

Un’analisi condivisa da un altro podio, quello di Public Eye on Davos, da Irene Kahn, direttrice di Amnesty International: “Global Compact è utile, perché serve a integrare in un discorso sugli standard sociali e ambientali anche le imprese dei paesi in via di sviluppo. Stiamo però facendo pressione perché porti a risultati concreti.”

In sintonia con le richieste di altre ONG, tra cui quelle che aderiscono a Public Eye, Irene Kahn aggiunge: “Quello che servirebbe è comunque una legislazione quadro internazionale.”

swissinfo, Andrea Tognina inviato speciale a Davos

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