I tumori tra chi ha meno di 50 anni aumentano, ma il sistema sanitario non è adeguato
I tumori tra adolescenti e adulti sotto i 50 anni sono in aumento. Tuttavia, molti Paesi compresa la Svizzera faticano a gestire le sfide specifiche di questi pazienti, dalla preservazione della fertilità alla difficoltà di accesso ai servizi finanziari.
Nel 2021 Samantha Weiss, infermiera di 35 anni, ha ricevuto una diagnosi di linfoma, una forma aggressiva di tumore del sangue. La notizia è stata devastante.
“Mi è crollato il mondo addosso,” racconta. “Un attimo prima mi sentivo nel fiore della vita: avevo un buon lavoro, una carriera avviata e una casa appena comprata con mio marito. Poi, tutto ciò che avevo costruito era a rischio.”
Casi come quello di Weiss, sebbene ancora relativamente rari, stanno diventando più frequenti. I dati mostranoCollegamento esterno che, a livello globale, l’incidenza dei tumori tra le persone di 14-49 anni è in aumento, mentre in molte fasce più anziane è stabile o in calo. Negli ultimi 50 anni in Svizzera tumori come il carcinoma colorettale e quello alla tiroide sono diventati più comuni tra i 15-49enni.
“I tumori nei pazienti più giovani spesso si presentano in forme più aggressive.”
Michael Scharl, Ospedale universitario di Zurigo
Per chi ha 20 o 30 anni una diagnosi oncologica spesso arriva in fasi decisive della vita: la fine degli studi, l’ingresso nel mondo del lavoro, il progetto di costruire una famiglia. “È un arresto improvviso della traiettoria di vita,” spiega Christina Grivea, che come consulente presso Cancer Support Switzerland (CASSCollegamento esterno) lavora a stretto contatto con giovani pazienti oncologici.
“Lo shock è enorme, così come il divario che si spalanca con i coetanei. Escono con gli amici e li vedono spensierati, mentre loro si trovano ad affrontare domande profonde, esistenziali”, afferma.
Il cancro mette a dura prova qualsiasi età, ma le difficoltà fisiche, psicologiche e sociali di chi si ammala da giovane sono molto diverse rispetto a quelle dei pazienti più anziani. La preservazione della fertilità, per esempio, può improvvisamente diventare una preoccupazione.
“Di solito sotto i 25 anni non si pensa ancora a mettere su famiglia,” osserva Grivea, “ma il tumore costringe a prendere decisioni difficili, come decidere se congelare gli ovuli o meno. C’è moltissimo da considerare, dal punto di vista fisico e mentale – e tutto ciò mentre si affronta la terapia oncologica.”
Anche gli effetti collaterali dei trattamenti – come la perdita di capelli o di peso e le cicatrici chirurgiche – possono essere più difficili da gestire da giovani e colpire profondamente l’immagine corporea, aggiunge Grivea. “A quell’età spesso si sta ancora cercando di capire chi si è.”
Tipicamente si definiscono “a esordio precoce” i tumori diagnosticati sotto i 50 anni, perché la maggior parte delle diagnosi avviene dopo questa età.
A seconda degli studi o dei sistemi sanitari, questa categoria può includere anche gli adolescenti dai 14 o 15 anni. Il termine AYA (adolescenti e giovani adulti, dall’inglese Adolescents and Young Adults) a volte viene usato come sinonimo di “a esordio precoce”, anche se la sua definizione generalmente va dai 15 o 18 anni fino ai 39.
Diversi studiCollegamento esterno mostrano che adolescenti e giovani adulti sono più soggetti a stress post-traumatico, ansia, depressione e fatica rispetto a chi è sopravvissuto a tumori infantili, e che i modelli di cura convenzionali spesso non riescono a rispondere alle loro esigenze.
In Svizzera, i servizi a loro dedicati sono frammentati e insufficienti, secondo un sondaggioCollegamento esterno condotto dall’istituto gfs.bern per conto della filiale svizzera della multinazionale farmaceutica MSD.
Casi in aumento tra le giovani generazioni
Il cancro è una malattia statisticamente e scientificamente legata al passare del tempo. Il rischio di sviluppare un tumore aumenta infatti significativamente con l’avanzare dell’età, perché in genere servono decenni prima che in una cellula si accumulino mutazioni dannose, e ancora più tempo perché quella cellula si trasformi in un tumore invasivo.
Dei circa 46’700 nuovi casi di tumore diagnosticati ogni anno in Svizzera tra il 2017 e il 2021, quasi il 90% ha riguardato adulti di 50 anni o più, secondo gli ultimi datiCollegamento esterno dell’Ufficio federale di statistica. Ecco perché i tumori diagnosticati tra i 18 e i 49 anni sono considerati “a esordio precoce”: è possibile ammalarsi a qualsiasi età, ma è statisticamente meno probabile prima dei 50 anni.
Christina Grivea coordina il gruppo di sostegno per under 45 presso la CASS. “Quest’estate abbiamo avviato un gruppo dedicato a questa fascia di età perché negli ultimi due anni sono arrivati molti più pazienti giovani,” spiega. Non è chiaro se ciò rifletta un reale aumento dei casi o una maggiore capacità dell’organizzazione di raggiungerli, dice. Ma i dati indicano che il cancro prima dei 50 anni sta diventando più comune a livello globale.
Dal 1990 al 2019, le diagnosi globali di tumore tra gli adulti sotto i 50 anni sono aumentate del 79% e i decessi del 28%, secondo uno studioCollegamento esterno pubblicato su BMJ Oncology nel 2023. Gli incrementi più marcati sono stati osservati nella regione del Golfo, dove l’incidenza in Paesi come Emirati Arabi Uniti e Qatar è aumentata di dieci volte, in parte a causa di una maggiore diffusione dello screening. I tassi più elevati, però, rimangono da anni in Nord America, Oceania ed Europa occidentale.
Il trend sembra destinato a continuare: lo stesso studio prevede un aumento del 30% dei casi di tumore a esordio precoce tra il 2019 e il 2030.
In Svizzera il quadro è eterogeneo. Mentre l’incidenzaCollegamento esterno complessiva tra i 18-49 anni è rimasta sostanzialmente stabile dagli anni Novanta (con lievi aumenti tra le donne trentenni e cali modesti tra gli uomini), alcuni tumori – soprattutto a colon-retto, tiroide e seno – sono in aumento negli under 50.
Ricercatori e ricercatrici non sono ancora riusciti a identificare le cause dell’aumento, e senza una comprensione chiara del fenomeno non ci sono neanche strategie mirate di prevenzione. Anche per questo esperti ed esperte enfatizzano l’importanza dello screening.
Inoltre, “i tumori nei pazienti più giovani spesso si presentano in forme più aggressive,” afferma Michael Scharl, primario del Dipartimento di Gastroenterologia ed Epatologia dell’Ospedale universitario di Zurigo. Per questo “la diagnosi precoce diventa ancora più importante per migliorare le probabilità di sopravvivenza.”
Ricercatori e ricercatrici non hanno ancora una risposta definitiva, ma ritengono che la crescita di tumori a esordio precoce sia dovuta a un complesso insieme di fattori legati a stile di vita, ambiente e biologia.
Sono stati identificati diversi fattori di rischio – consumo di alcol, fumo, sedentarietà, diete ricche di carne rossa o processata e povere di fibre – sempre più diffusi negli ultimi decenni e in parte responsabili dell’aumento dei tumori in chi è nato dopo il 1950.
Ma le analisi statistiche suggeriscono che da soli questi elementi non bastano a spiegare il fenomeno. Alcuni scienziati e scienziate stanno studiando se i tumori a esordio precoce presentino caratteristiche genetiche o molecolari diverse da quelli che compaiono più avanti nella vita. Un altro filone di ricerca si concentra sul ruolo del microbioma intestinale. Si sospetta anche che l’esposizione durante la gravidanza a sostanze nocive, ancora non identificate, possa contribuire all’aumento del rischio di sviluppare un tumore in età giovanile.
Per capire davvero le cause, tuttavia, serve tempo, e soprattutto dati: servono studi longitudinali che monitorino le persone per decenni, dicono gli esperti, ma si tratta di ricerche costose e difficili da realizzare, che richiedono coordinamento tra molte strutture in vari Paesi.
Team interdisciplinari e terapie dedicate
Sempre più linee guida internazionali raccomandanoCollegamento esterno di istituire team clinici dedicati agli adolescenti e ai giovani adulti: unità oncologiche o gruppi multidisciplinari che facciano da ponte tra pediatria e adulti, con oncologi, psicologi, specialisti della fertilità e assistenti sociali.
In alcuni Paesi, come Stati Uniti, Canada e Australia, i programmi AYA sono già una realtà avviata. Nel 2015 in Europa è stato istituito il gruppo di lavoro AYA come iniziativa congiunta della European Society for Medical Oncology e della European Society for Paediatric Oncology. Nel 2021 il gruppo ha pubblicato un documentoCollegamento esterno che definisce i requisiti minimi per un centro AYA e mette in evidenza le disuguaglianze tra i diversi Paesi europei.
In Svizzera al momento non esiste un programma formale né reparti dedicati, ma alcuni ospedali hanno lanciato progetti pilotaCollegamento esterno stabilendo team interdisciplinari proprio per i pazienti oncologici under 40.
Inoltre, le sperimentazioni cliniche e i protocolli di trattamento si concentrano in gran parte su pazienti pediatrici o anziani, mentre adolescenti e giovani adulti sono spesso sottorappresentati. La conseguenza è che pazienti come Weiss possono ritrovarsi senza un piano terapeutico pensato su misura per la loro età.
“Il tumore che ho avuto di solito si manifesta da bambini o adolescenti, e poi nelle persone sopra i 60 anni. L’esperienza clinica per i miei coetanei è molto limitata,” spiega. “Così ho seguito la stessa terapia di un’adolescente, con dosi molto alte. A volte ho avuto l’impressione che stessero testando i limiti di sopportazione del mio corpo.”
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Manca un supporto olistico pensato per i giovani
Molti programmi di supporto in Svizzera sono iniziative locali, che non fanno parte di una strategia nazionale coordinata. Ci sono moltissime idee e servizi eccellenti nel Paese, ma restano frammentati, osservano esperti ed esperte.
“Tecnicamente chiunque può accedere al nostro programma, anche se è basato a Basilea,” spiega Miriam Döbeli, coordinatrice del programma AYACollegamento esterno presso la sede locale della Lega svizzera contro il cancro. “La sfida è che le persone ci trovino.”
Per rispondere a questa frammentazione, nel 2021 è stata lanciata l’AYA Cancer SupportCollegamento esterno, un’associazione che riunisce servizi e risorse per i giovani malati oncologici in un’unica piattaforma. “È un’iniziativa ancora recente,” dice Döbeli, “ma speriamo possa diventare un punto di riferimento centrale – un luogo a cui i giovani pazienti sanno di potersi rivolgere.”
L’assenza di dati riguardo le persone malate AYA rappresenta un’altra sfida. La Svizzera dispone di dati molto completi sui tumori pediatrici e negli adulti più anziani, ma non esiste un registro nazionale specifico per i tumori a esordio precoce. Senza una raccolta sistematica di queste informazioni, dicono gli esperti, è difficile individuare tendenze o sviluppare politiche adeguate.
La preservazione della fertilità, ad esempio, è un tema centrale per molti pazienti in questa fascia d’età. Ma un recente studioCollegamento esterno dell’Ospedale universitario di Berna ha rilevato che solo il 58% di quasi 400 pazienti AYA ha partecipato a sessioni di consulenza sulla fertilità.
Le cartelle cliniche spesso però non riportano il motivo per cui un paziente non ha usufruito della consulenza, e non è quindi chiaro se si tratti di una scelta informata o meno.
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Pressione per il reintegro lavorativo e sociale
Sempre più persone tra i 20 e i 30 anni ricevono una diagnosi di tumore, e dunque aumenta anche il numero di giovani che sopravvive al cancro e affronta un lungo percorso di recupero. “Sono sopravvissuti, ma la loro vita non sarà mai più la stessa,” osserva Grivea. Lei stessa ha ricevuto una diagnosi oncologica poco dopo i 30 anni.
Per i giovani le aspettative di un pieno ritorno al lavoro e alla normalità sono più alte rispetto agli over 50, ma gli effetti a lungo termine delle terapie – stanchezza, difficoltà cognitive, problemi cardiaci – possono aggiungersi al trauma psicologico e rendere complesso il ritorno alla vita quotidiana pre-malattia.
“Da una parte è una cosa positiva: le persone sono incoraggiate e sostenute nel tornare al lavoro e riprendere il controllo della vita che hanno dovuto sospendere,” osserva Döbeli. “Ma dall’altra, c’è molta pressione.”
Weiss, che nel 2022 si è sottoposta a un trapianto di cellule staminali e ora è in remissione, racconta di aver sentito questa pressione in prima persona. “Dopo il trattamento ci si aspettava che tornassi al lavoro, ma avevo difficoltà a concentrarmi. Ce l’ho ancora oggi,” racconta. “Chi mi vede pensa che stia bene, ma non mi sono ancora ripresa del tutto. Ho ancora diverse difficoltà.”
In Svizzera, i dipendenti sono generalmente coperti da un’assicurazione per l’incapacità lavorativa, che si sostituisce al reddito fino a un massimo di due anni, a seconda della polizza. Se allo scadere di questo periodo il recupero non è ancora completo, si rischia di perdere il lavoro – come è accaduto a Weiss.
Anche l’impatto psicologico della sopravvivenza deve essere affrontato, aggiunge Grivea. “Una volta che il tumore è in remissione, colleghi e amici spesso pensano che per l’ex paziente tutto sia finito. Ma non è così. Serve tempo per elaborare ciò che è successo.”
È per questo che CASS lavora con pazienti e datori di lavoro per sostenere il rientro e assicurarsi che non siano lasciati soli in questa transizione, aggiunge.
Dopo una diagnosi di cancro, il modo di riorganizzare e ridefinire la propria vita è molto personale. A Martin Inderbitzin la diagnosi ha “insegnato una lezione preziosa,” racconta. “Mi ha dato una nuova comprensione di ciò che conta davvero e di come voglio trascorrere il mio tempo.” Nel 2012 aveva appena completato un dottorato in neuroscienze quando ha ricevuto una diagnosi di tumore al pancreas. Lo stress e la paura erano stati argomenti della sua tesi, “ma viverli in prima persona è tutta un’altra cosa,” osserva.
Da allora Inderbitzin ha attraversato vari cicli di remissione e recidiva. Racconta come la sua iniziale combattività fosse “un po’ ingenua” – col tempo si è trasformata in resilienza. “Ho un controllo medico ogni tre mesi,” dice. “Sta a me decidere come voglio vivere quel tempo: nella paura, o sfruttandolo al massimo.” Inderbitzin ha raccolto le sue riflessioni e intuizioni come neuroscienziato e paziente di cancro nel suo libro Dare to Live.
Il “diritto all’oblio”
Anche dopo la guarigione, per chi è sopravvissuto al cancro può essere difficile accedere ad assicurazioni sulla vita o a coperture sanitarie complementari.
In Svizzera l’assicurazione sanitaria di base, infatti, è garantita (e obbligatoria), ma le compagnie che offrono coperture complementari e polizze vita possono visionare la storia medica di una persona e di conseguenza decidere se rifiutare la sua richiesta. Oppure possono imporre periodi di attesa, escludere determinate condizioni o applicare premi più elevati. Questo può influire anche sull’accesso ai mutui, dato che per alcuni istituti bancari è necessario possedere un’assicurazione.
Diversi Paesi europei – tra cui Francia, Italia, Spagna e Portogallo – hanno introdotto leggi sul cosiddetto “diritto all’oblio” che consentono ai sopravvissuti di omettere precedenti diagnosi oncologiche dopo un periodo di remissione (in genere da cinque a dieci anni). Ma la Svizzera non dispone di una legislazione analoga, né ha in corso discussioni formali per introdurla.
A cura di Nerys Avery/vm/ds
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