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Arte coloniale trafugata, l’idea della restituzione prende slancio

Foto in bianco e nero
Soldati britannici in posa accanto a opere d'arte saccheggiate nel Palazzo reale del Benin. PD/CC

Anche i musei svizzeri hanno esposto per decenni opere d'arte saccheggiate dal regno africano del Benin, sostiene un nuovo rapporto. Tuttavia, nella Confederazione come altrove c'è più apertura all'idea della restituzione rispetto a qualche anno fa.

Nel Parco Rieter, nei pressi del lago di Zurigo, “lo splendore del XIX secolo è ancora presente oggi”, illustra Zurigo turismo. Qui crescono alti faggi centenari e il panorama abbraccia anche le Alpi. Vi si trova anche il Museo Rietberg, che espone opere d’arte e tesori da tutto il mondo.

Persona
Abba Tijani, Direttore generale dell’Autorità nazionale per i musei e i monumenti della Nigeria. Keystone / Oliver Berg

Nelle sale del museo c’è però qualcuno che rivuole qualcosa indietro. Il Direttore generale dell’Autorità nazionale per i musei e i monumenti della Nigeria, Anna Tijani, è in Svizzera a causa dei Bronzi del Benin.

Tijani fa parte della delegazione nigeriana che sta discutendo con un gruppo di musei della Confederazione – conosciuto come Benin Initiative Switzerland – il futuro di questi manufatti del XIX secolo. “Vogliamo dare ai musei l’opportunità di restituire le opere d’arte ai legittimi proprietari e di esporle legalmente – per fare la cosa giusta”, afferma.

Simboli di un dibattito globale

Molti di questi oggetti sono senza dubbio stati saccheggiati. Il 28 febbraio 1897, 1’200 soldati britannici invasero Benin City in una cosiddetta “spedizione punitiva”, bruciarono tutto e sottomisero il regno all’Impero britannico.

Ciò che trovarono di valore fu trafugato. I soldati portarono via migliaia di sculture, tavole commemorative e manufatti d’avorio. Oggi questi oggetti sono conosciuti con il termine generico di “Bronzi del Benin” e sono diventati un simbolo importante del dibattito sul modo di gestire i beni culturali dell’Africa.

Königinmutter-Anhängermaske - Iyoba;  Ikone des Kampfes für die Restitution.
Maschera che rappresenta la Regina Madre Idia. L’oggetto è un’icona della lotta per la restituzione dei bronzi del Benin dagli anni Settanta del XX secolo. CC0 1.0 Universal

Il saccheggio dei Bronzi del Benin mostra chiaramente la violenza simbolica del colonialismo. I bronzi erano di grande importanza per il regno del Benin: “Ogni volta che un nuovo Oba, come viene chiamato il re del Benin, veniva incoronato, veniva fuso uno di questi bronzi. Erano un simbolo di potere. I bronzi sono stati utilizzati per documentare la storia del regno”, spiega Abba Tijani.

I bronzi del Benin sono diventati così iconici per il dibattito sulla restituzione. Con il loro furto, infatti, è stata rubata la storia.

Dalle colonie, le sculture sono presto apparse sul mercato dell’arte in Inghilterra e da lì hanno raggiunto collezionisti e musei svizzeri. Le “spedizioni punitive” nel passato di questi oggetti sono state a lungo considerate un segno di autenticità.

Oggi è chiaro che, dei 96 bronzi del Benin esposti in Svizzera, 21 sono sicuramente stati saccheggiati, 32 verosimilmente saccheggiati – in altre parole, più della metà. Questa è la conclusione di un rapporto preparato dalla Benin Initiative Switzerland in collaborazione con esperti ed esperte di storia e curatori e curatrici dalla Nigeria.

In una dichiarazione congiunta hanno indicato l’apertura a un trasferimento di proprietà alla Nigeria per quanto riguarda gli oggetti sicuramente o verosimilmente saccheggiati.

Oggi nei musei svizzeri sono conservati quasi un centinaio di oggetti che si sospetta provengano dal regno del Benin. Sebbene non vi siano ancora richieste di restituzione, otto musei si sono uniti nella Benin Initiative Switzerland per indagare – in dialogo con ricercatori, ricercatrici e istituzioni nigeriane – sull’origine di queste collezioni.

Tijani apprezza molto l’iniziativa “anche perché i musei della Benin Initiative Switzerland hanno affrontato la questione del rimpatrio prima ancora che li contattassimo”.

Il rapporto, tuttavia, è solo l’inizio di un processo che in altri Paesi è in fasi molto più avanzate: la Germania ha accettato di restituire 1’300 bronzi nel 2021 e nel 2022 delle istituzioni britanniche e statunitensi hanno firmato il passaggio di proprietà alla Nigeria. Una mostra è in programma in collaborazione con lo Smithsonian di Washington, istituzione che ha restituito diversi bronzi.

L’alto valore simbolico di questi manufatti è dimostrato anche dal fatto che la loro restituzione è stata già paragonata alla caduta del Muro di Berlino. Tuttavia, a Tijani non piacciono molto questi paragoni. “Il rimpatrio dei beni africani merita molta attenzione, ma non lo si deve necessariamente paragonare ad altro. È un processo unico. Qualcosa che non ci si aspettava accadesse”, dice.

Pubblico sotto veranda
Nel 1977, in occasione del Black African Festival of Arts and Culture (Festac) in Nigeria, la maschera trafugata della Regina Madre Idia appare come simbolo sugli striscioni. CC 2.0

Un film d’azione sulla restituzione

In realtà, dalle prime richieste alla reazione attuale è passato molto tempo: la Nigeria aveva preteso la restituzione di alcuni oggetti già negli anni Trenta. Ulteriori rivendicazioni sono rimaste inascoltate negli anni Cinquanta e Sessanta benché in quest’ultima decade la problematica fosse già discussa a livello internazionale.

Negli anni Settanta, si volle prendere in prestito dal British Museum la maschera d’avorio della Regina Madre Idia per il festival culturale Festac77, in Nigeria. Il prestito non fu concesso per motivi curatoriali. Da quel momento, la maschera è un’icona delle richieste di restituzione.

 Nel 2021, il protagonista di un film d’azione del regista di Nollywood Lancelot Oduwa Imasuen cerca di riappropriarsi dell’eredità dei suoi antenati, dei manufatti conservati al British Museum.

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Quando viene arrestato dalle guardie del museo, con le sculture in mano, grida: “Lasciatemi!!!” Appartengono a me!”. La pellicola mostra quanto è ritenuta insensata, in Nigeria, la riluttanza alla restituzione.

Non c’è un limite

Il fatto che questa riluttanza stia ora scemando è anche legato alla visita di Stato a Ouagadougou, in Burkina Faso, del presidente francese Emmanuel Macron, nel 2017. L’inquilino dell’Eliseo ha annunciato che la Francia era pronta a restituire i beni culturali africani e ha richiesto la stesura di un rapporto che fungesse da base alle discussioni per la restituzione. Un contributo l’hanno dato anche movimenti come “Rhodes must fall” e “Black lives matter”, oltre a varie iniziative minori, spiega Tijani. “L’accresciuta attenzione internazionale sulla privazione dei diritti subita dalle comunità nere ha contribuito a cambiare le cose”.

Rhodes Must Fall protesta
Movimenti come “Rhodes must fall” hanno attirato l’attenzione internazionale sulla discriminazione razziale. Reuters / Mike Hutchings

Tijani ha scritto lettere a diversi musei chiedendo di affrontare la questione.

SWI swissinfo.ch: Qual è stata la reazione? Incontra ancora delle resistenze?

Abba Tijani: No, incontriamo poca resistenza. Anche le persone private proprietarie di opere prestate ai musei sono in gran parte d’accordo e pensano che sia la cosa giusta da fare. È la cosa giusta da fare. Solo il British Museum è bloccato in questo senso.

Cosa succede in caso di restituzione? Come si decide se un’opera sarà rimandata in Nigeria o resterà in prestito?

Questi oggetti sono stati rubati illegalmente, per questo motivo dovrebbero appartenere al 100% alla Nigeria. Ma alcune devono restare esposte nelle mostre, affinché i musei possano raccontare la storia del saccheggio e della restituzione, che è parte della storia degli oggetti stessi.  Decidiamo cosa prestare e cosa rimpatriare discutendo con i musei. Siamo disposti a tenere in considerazione i concetti espositivi.

Gli oggetti saranno esposti in modo diverso in Nigeria?

In Europa, i Bronzi sono spesso esposti come semplici opere d’arte, sebbene avessero chiare funzioni rituali. In Nigeria, esporremo gli oggetti come parte di un santuario, ad esempio, insieme a video che mostrano le cerimonie in cui vengono utilizzati.

È possibile ridare agli oggetti la loro funzione rituale dopo la loro restituzione?

Per motivi di sicurezza probabilmente non potranno lasciare il museo di destinazione, come succede in alcuni musei viventi, dove gli oggetti possono essere presi in prestito anche per i rituali. Ma abbiamo intenzione di creare spazi in cui le persone che hanno un rapporto speciale con le opere possano ritirarsi. Lì, potranno guardarli in pace e usarli anche per i rituali. Per noi è importante anche lavorare con artisti e artiste contemporanee.

Nel caso dei bronzi del Benin, è chiaro che si tratta di arte saccheggiata. Per molti altri oggetti portati in Europa durante il colonialismo, le circostanze sono meno evidenti. Quali sono le richieste di risarcimento ancora in sospeso?

Il saccheggio dei Bronzi del Benin è ampiamente riconosciuto e ben documentato. Ecco perché i Bronzi sono in prima linea nel dibattito sul rimpatrio. Tuttavia, ci sono tanti altri oggetti che sono stati rubati o presi con la forza. Ci sono anche manufatti che sono stati acquistati, ma in condizioni ingiuste. Ad esempio, perché chi le ha vendute si trovava in una situazione di completa povertà. In futuro dovremo indagare ancora di più su questi casi. Non c’è limite a quali oggetti possono essere rimpatriati.

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