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Il “si” ai bilaterali secondo la stampa elvetica

x Keystone

Nessuno parla di adesione accelerata. A vincere è stata la politica pragmatica dei piccoli passi. Ora occorre una profonda riflessione sulle possibili conseguenze di un'entrata nell'Ue. Il "no" della Svizzera italiana quale monito alle autorità federali.


Benvenuti i bilaterali, ma l’adesione deve attendere.
All’indomani del voto sugli accordi bilaterali tra Svizzera ed Unione europea, i principali quotidiani nazionali non si lasciano andare a facili entusiasmi. Il popolo elvetico ha accettato sette dossier economici ben precisi. Niente di più, niente di meno.

Nessuno legge l’esito della votazione come un «sì» all’entrata nell’Ue. Anche se guardando al futuro i toni scelti sono piuttosto diversi.
Più entusiastici i romandi, tradizionalmente molto sensibili alla questione europea. Il giornale Le Temps parla addirittura di una fine dei «Neinsager» e di una riconciliazione nazionale, che fa dimenticare il Röstigraben emerso nettamente nel ’92, quando la Svizzera rifiutò l’adesione allo Spazio economico europeo. Un risultato raggiunto anche grazie al Consiglio federale, che ha saputo scegliere la giusta strategia per ricreare la necessaria fiducia.
E con questa fiducia occorre ora analizzare attentamente le conseguenze sulle istituzioni svizzere di un’adesione all’Ue.

Il Tages Anzeiger sposta invece subito lo sguardo verso l’Onu e la Nato: dopo aver normalizzato i propri rapporti con l’Ue, la Svizzera deve ora normalizzarli anche con l’Organizzazione delle nazioni unite, alla quale versa annualmente 500 milioni di franchi, senza tuttavia esserne membro. E una normalizzazione è auspicata anche nei confronti della Nato, alla quale si mettono a disposizione dei soldati disarmati, che devono poi essere protetti dai militi dell’Alleanza atlantica.

Per la Neue Zürcher Zeitung un fondamentale banco di prova per la politica europea della Svizzera è rappresentato dall’iniziativa «Sì all’Europa», sulla quale dovrà esprimersi il Parlamento già il mese prossimo. Anche se un rifiuto non risulterebbe poi tragico. Legittimerebbe piuttosto la politica pragmatica di avvicinamento di Berna a Bruxelles.

Un pragmatismo (ed un’assenza di slanci d’entusiasmo) messo in risalto da Der Bund: l’adesione non riuscirebbe ancora a raccogliere la maggioranza dei consensi nel paese. Occorre dunque un periodo di apprendistato di alcuni anni, durante i quali vincere le paure nei confronti dell’apertura e realizzare nel contempo che gli accordi bilaterali non saranno sufficienti alla Svizzera per risolvere tutti i propri problemi.

In Ticino infine i giornali si concentrano logicamente sul largo fronte di «no» ai bilaterali emersi nella Svizzera italiana. Per laRegione Ticino e per il Corriere del Ticino è ovvio che questa opposizione debba servire da monito alle autorità federali, rese attente sul particolare impatto che gli accordi avranno in una zona considerata più debole rispetto ad altre regioni di confine.

Il Giornale del Popolo parla di una fine della debolezza contrattuale svizzera sul piano internazionale e di una vittoria della politica dei piccoli passi. Passi forse un po’ lenti, sottolinea laRegione Ticino, ma sicuri come quelli del montanaro, che vince la diffidenza attraverso la conoscenza. E non con la fretta.

Pierre Ograbek, Berna

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