Rousseau, uomo del dialogo

Ginevra rende omaggio a Jean-Jacques Rousseau nell'anno del 300° anniversario della nascita. Ma le celebrazioni in onore di uno dei massimi esponenti del pensiero europeo del XVIII secolo travalicano ampiamente i confini della sua terra natia.
Difficile mettere in discussione l’universalità di Rousseau. Come testimonia la smania planetaria di commemorazioni suscitata dai 300 anni dalla nascita. Dalla Svizzera al Brasile, passando per gli Stati Uniti, i paesi che partecipano alle celebrazioni del tricentenario, non si contano.
Conferenze, simposi, mostre, opere, concerti, spettacoli teatrali, film e tanto altro ancora sono in programma in tutto il mondo, a partire dal 19 gennaio a Ginevra, città natale di uno dei più grandi scrittori e filosofi del secolo dei Lumi.
“Ci sono giunte proposte dall’Europa, le Americhe, l’Africa… L’Unesco ci ha aiutato molto con la creazione di una rete di competenze che consente di ampliare le celebrazioni”, afferma François Jacob , direttore del Museo Voltaire e della Biblioteca Rousseau di Ginevra, che è capo progetti e uno dei responsabili del tricentenario.
swissinfo.ch: Qual è l’impatto di Rousseau sull’Europa di oggi?
François Jacob: Non utilizzerei il termine “Europa” per indentificare l’impatto di Rousseau, perché l’Europa è una realtà contemporanea. Non corrisponde all’Europa dell’Illuminismo del XVIII secolo. Allora c’erano divisioni tra i paesi che non hanno nulla a che fare con quelle odierne. La lingua internazionale all’epoca era il francese. La cultura circolava in modo diverso. E aggiungerei che era riservata a una ristretta cerchia di persone che vivevano in Francia, Svizzera e Russia, le quali leggevano Rousseau senza essere ostacolate dalla barriera linguistica, né da quella del pensiero.
swissinfo.ch: Ma allora in che misura Rousseau ha contribuito a definire il concetto di nazionalità, come dichiarato nel dossier del tricentenario?
F.J.: Tutto ciò che era paese nel XVIII secolo era definito con le famiglie regnanti. Caterina II di Russia era tedesca, i Borboni spagnoli erano di origine francese, e così via. Quindi non c’era sentimento nazionale. Quel che cambia con Rousseau è che dà una struttura a questo sentimento, tenendo conto di tutti i tratti (sociali, educativi, politici…) che disegnano l’immagine di un popolo. Quando nel 1770-71 redige le sue Considerazioni sul governo della Polonia, riflette in funzione dei polacchi e non degli svizzeri.
Un altro esempio è quando scrive il suo Saggio sull’origine delle lingue: dice insomma che un essere si forma in funzione al territorio dove è nato e alla cultura del gruppo in cui evolve. Secondo Rousseau, ognuno si nutre dunque della sua terra d’origine. Questa nuova concezione dell’identità in seguito sarà ripresa dalla Rivoluzione francese, che a sua volta darà nascita alla nozione di patria.
swissinfo.ch: Se Rousseau fosse vivo oggi e assistesse agli attriti tra Oriente e Occidente, a quello che, a torto o a ragione, vien chiamato lo “scontro di civiltà”, cosa direbbe?
F.J.: Penso che avrebbe una visione al contempo molto negativa e molto positiva di ciò che sta accadendo oggi. Negativa in primo luogo. Ciò che chiamiamo globalizzazione è una “cosa” orrenda perché annichilisce l’identità nazionale. Rousseau, a mio parere, non l’avrebbe apprezzata, contrariamente a Voltaire, grande internazionalista, il quale ne avrebbe certamente tratto profitto.
Poi positiva. Rousseau è per il dialogo. Per lui, i popoli devono discutere tra loro, senza uniformare le loro sensibilità al punto di essere costretti a vivere nello stesso modo a Ginevra, Berlino o Londra.
swissinfo.ch: L’Europa, che Rousseau ha percorso in lungo e in largo, contribuisce in modo significativo alle celebrazioni del tricentenario. Ciò non è sorprendente. Lo è invece la partecipazione di paesi come il Brasile e gli Stati Uniti. A cosa è dovuto il loro interesse?
F.J.: Il Brasile è un buon esempio perché è il luogo dove le celebrazioni del tricentenario saranno più importanti. Il simposio previsto in settembre a San Paolo riunirà 100 relatori. È enorme. Questo entusiasmo è dovuto al fatto che il pensiero di Rousseau corrisponde perfettamente alle preoccupazioni contemporanee dei brasiliani, vale a dire il loro rapporto con la lingua e soprattutto con la natura. D’altra parte non è un caso che i migliori interpreti del pensiero di Rousseau siano originari del Brasile. Il Brasile è alla ricerca di un’identità politica, di un quadro nel quale la sua costituzione possa “vivere” bene.
E a proposito di costituzione, preciso che in quella degli Stati Uniti si trovano molti elementi del Contratto sociale di Rousseau. Questo spiega l’attuale interesse degli americani per il tricentenario. In proposito la prossima estate ci saranno un convegno e una mostra a Washington, organizzate dalla Biblioteca del Congresso, in collaborazione, tra gli altri, con la Biblioteca di Ginevra.
swissinfo.ch: Rousseau “cittadino di Ginevra”, che insegnamenti offre al mondo del XXI secolo?
F.J.: Un insegnamento politico, a due livelli. Prima di tutto a livello collettivo. Rousseau dice che si deve pensare un modo di vivere insieme che permetta ad ogni individuo di essere soddisfatto. Poi a livello personale. Secondo lui, ognuno può essere felice nel proprio paese. La Svizzera, dove è nato, a questo proposito fornisce un modello di equilibrio, come egli avrebbe voluto. Un modello retto, non proprio dal federalismo (lo scrittore non ha usato questo termine), ma da un’intesa basata su principi semplici che favoriscono l’armonia.
Se questa lezione politica fosse stata ascoltata dall’Europa del giorno d’oggi, questa sarebbe sfuggita a molti problemi. In ogni caso non avrebbe sacrificato il benessere delle sue popolazioni per l’illusione di una prosperità economica.
Scrittore, filosofo e musicista nato a Ginevra nel 1712 e morto a Ermenonville (Francia) nel 1778.
1712-1728: la sua adolescenza è divisa tra l’entusiasmo repubblicano e la spensieratezza di un lungo soggiorno a Bossey, dove era stato dato in affidamento a un pastore protestante, e la prima esperienza di ingiustizia vissuta da Abel Ducommun, mastro incisore di cui fu apprendista.
1728-1742: trova la felicità presso la signora de Warens, la sua tutrice con la quale vive dapprima ad Annecy e poi a Chambéry. Evocherà quei momenti felici nelle Fantasticherie del passeggiatore solitario
1742-1756: in questi 15 anni si compie il suo destino musicale e letterario. Pubblica l’opera in un atto L’indovino del villaggio e frequenta la cerchia dei filosofi a Parigi.
1756-1762: scrive alcune delle sue opere più famose: La nuova Eloisa, Emilio e Il Contratto sociale.
1762-1770: sono gli anni più cupi della sua vita. L’Emilio è molto contestato. Si rifugia in Inghilterra dove litiga con il filosofo David Hume. Rientra poi in Francia e si sposa con la compagna Thérèse Levasseur. È a quell’epoca che scrive Le confessioni, che saranno pubblicate dopo la sua morte.
Con la moglie si stabilisce dapprima a Parigi. Poi si trasferisce dal marchese de Girardin a Ermenonville, dove muore.
1794: le sue ceneri sono trasferite nel Pantheon a Parigi.
(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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