Frontalieri: poco amati in Svizzera, apprezzati in Lussemburgo
Quasi un lavoratore su due è un frontaliere in Lussemburgo. Eppure la loro presenza massiccia non suscita molte resistenze nella popolazione locale. Un esempio da seguire per la Svizzera? Le riflessioni della ricercatrice Isabelle Pigeron.
Con quasi 320’000 persone che attraversano ogni giorno la frontiera elvetica per guadagnarsi da vivere, la Svizzera rappresenta un eldorado per i lavoratori frontalieri d’Europa. Questo almeno in cifre assolute. Da un esame più attento emerge infatti che in proporzione c’è un altro Paese ad attirarne ancora di più: il Lussemburgo.
Nel più piccolo degli Stati fondatori dell’Unione europea, circondato da Germania, Belgio e Francia, i lavoratori frontalieri (quasi 180’000) costituiscono il 45% del totale della forza lavoro locale.
Specialista in questioni transfrontaliere all’Università del Lussemburgo, Isabelle PigeronCollegamento esterno fa parte lei per prima del flusso migratorio che confluisce ogni giorno nel Granducato, contribuendo in modo decisivo al suo spettacolare sviluppo economico.
In collaborazione con l’Università di Basilea, la Scuola superiore di assistenza sociale di Ginevra, la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana e l’Università della Lorena, la ricercatrice francese sta attualmente lavorando su uno studio comparativo sulla situazione dei frontalieri in Svizzera e in Lussemburgo.
swissinfo.ch: Perché il Lussemburgo ha bisogno di così tanti frontalieri?
Isabelle Pigeron: In Lussemburgo la popolazione nazionale occupa meno del 28% del totale dei posti di lavoro salariati. Per poter alimentare la sua forte crescita economica, il Paese fa affidamento sia sull’immigrazione sia sul frontalierato. Quest’ultimo presenta diversi vantaggi, come ad esempio l’impagabile possibilità di preservare degli spazi non edificati in un territorio così ristretto.
Ciò è ancora più vero se consideriamo che il Lussemburgo è circondato da tre grandi vicini: la Germania, il Belgio e soprattutto la Francia, che forniscono importanti forze lavoro. Così, in alcuni settori come ad esempio quello industriale, commerciale o finanziario, la manodopera frontaliera costituisce ormai la maggioranza.
swissinfo.ch: La storia del Lussemburgo è sempre stata legata ai lavoratori frontalieri o si tratta di un fenomeno relativamente nuovo?
I. P.: Gli scambi transfrontalieri di manodopera erano importanti già nel XIX secolo. All’epoca della rivoluzione industriale, il Lussemburgo e le regioni limitrofe condividevano lo stesso tessuto economico, essenzialmente orientato verso l’industria siderurgica.
Ma il vero boom del lavoro transfrontaliero è avvenuto alla fine degli anni ’80, quando il Lussemburgo ha abbandonato la via in declino di un’industria unica e ha sviluppato il settore dei servizi, in particolare quelli finanziari.
Nel 1985 i lavoratori transfrontalieri in Lussemburgo erano meno di 20’000. Oggi il loro numero è praticamente dieci volte più grande.
swissinfo.ch: La maggior parte dei frontalieri attivi in Lussemburgo proviene dalla Francia. Per quale motivo?
I. P.: Il decollo dell’economia lussemburghese ha coinciso con il declino dell’industria siderurgica in Lorena. Molti lavoratori francesi rimasti senza lavoro hanno così approfittato delle opportunità offerte dall’altro lato della frontiera.
Un’altra spiegazione è di natura demografica: il dipartimento della Mosella, vicino al Lussemburgo, ha con il suo milione di abitanti il bacino di popolazione più numeroso della ‘Grande Région’.
swissinfo.ch: Anche la lingua è un fattore importante?
I. P.: Sì, il francese ormai è la lingua più parlata in Lussemburgo, quella che si usa maggiormente per la comunicazione quotidiana. Questo è dovuto al fatto che la maggior parte dei frontalieri francesi sono attivi nel settore del commercio e della ristorazione, per cui operano in un contesto linguistico a loro favorevole.
swissinfo.ch: Il lussemburghese e il tedesco – le altre due lingue ufficiali del Paese – sono quindi minacciate dall’arrivo massiccio dei frontalieri francesi?
I. P.: È un po’ più complicato di così. Il Lussemburgo presenta un’ampia segmentazione linguistica. Nel settore bancario e nelle imprese multinazionali è l’inglese ad essere diventato la norma. Il lussemburghese invece è molto impiegato nell’amministrazione pubblica, un settore altamente frammentato e praticamente riservato solo ai lavoratori locali.
swissinfo.ch: A volte capita di leggere o sentir dire che i frontalieri francesi non sono altro che la manovalanza dei lussemburghesi, la quale si occupa soltanto di lavori di poco conto. Le statistiche dicono la stessa cosa?
I. P.: Per quanto riguarda il passato, era effettivamente così. Oggi invece si constata una grande diversificazione nei profili della forza lavoro frontaliera. Da un lato vi sono lavoratori frontalieri attivi nel commercio, nell’edilizia, o nell’industria che – in generale – hanno un livello di qualificazione piuttosto basso.
D’altro canto le grandi imprese internazionali e le banche hanno sempre più bisogno di manodopera qualificata o altamente qualificata. Il numero di frontalieri informatici, avvocati, ricercatori e specialisti finanziari è in aumento. Alcuni provengono da Parigi, o addirittura anche da più lontano, attratti dalle grandi opportunità offerte dal Lussemburgo.
Si tratta di un fenomeno che si osserva anche a Basilea e a Ginevra, dove si sta vivendo un profondo cambiamento nel mercato del lavoro transfrontaliero.
swissinfo.ch: Come sono percepiti i frontalieri dai residenti lussemburghesi?
I. P.: I lussemburghesi hanno una visione piuttosto benevola dei lavoratori frontalieri, che considerano «stranieri familiari», come sottolinea il mio collega Christian Wille dell’Università del Lussemburgo. La popolazione e i leader politici sanno che l’economia lussemburghese non sarebbe la stessa senza di loro. Per questo si sta facendo il possibile – su più livelli – per favorire la mobilità e l’occupazione dei frontalieri.
swissinfo.ch: In Svizzera, e in particolare nei cantoni di Ginevra e Ticino, alcuni partiti politici hanno basato le loro campagne elettorali sul rifiuto dei lavoratori frontalieri. Quindi non succede la stessa cosa in Lussemburgo?
I. P.: Non ho mai sentito nessun discorso anti-frontalieri uscire dalla bocca di un politico lussemburghese, compresi i populisti del Partito di Alternativa Democratica e Riformista (ADR).
Certo, qualche piccola tensione o frizione si presenta di tanto in tanto. Ad esempio se una persona anziana che parla esclusivamente lussemburghese si ritrova di fronte a un impiegato di un supermercato che si esprime solo il francese, questa può sentirsi infastidita. Lo stesso discorso vale per un frontaliere che non capisce quello che i suoi colleghi si dicono in lussemburghese.
Tuttavia siamo su un altro pianeta rispetto al fenomeno di rifiuto massiccio che si sta verificando a Ginevra o in Ticino. Personalmente, in quanto lavoratrice frontaliera attiva da più di vent’anni in Lussemburgo, non ho mai provato il benché minimo risentimento nei miei confronti da parte della popolazione locale.
“In Lussemburgo si sta facendo il possibile per favorire la mobilità e l’occupazione dei frontalieri”
swissinfo.ch: Ma la presenza massiccia di frontalieri in Lussemburgo dovrà pur generare qualche problema, no?
I. P.: La problematica maggiore sono i trasporti. Le autostrade sono completamente sature nelle ore di punta e diversi frontalieri faticano ad arrivare al lavoro in tempo. Nonostante gli sforzi intrapresi – collegamenti transfrontalieri con autobus, treni più frequenti, ricerche di alternative all’automobile – le infrastrutture di mobilità non hanno retto il passo con la straordinaria crescita del flusso di persone degli ultimi anni. Se consideriamo che il Lussemburgo potrebbe aver bisogno dai 72’000 ai 132’000 frontalieri supplementari entro il 2035, c’è motivo di preoccuparsi per il futuro.
swissinfo.ch: Come percepiscono questo boom di impieghi frontalieri le regioni e i comuni limitrofi al Lussemburgo?
I. P.: Gli effetti positivi sono numerosi: contenimento della disoccupazione, crescita democratica dopo un lungo periodo di declino, salari alti reinvestiti nell’economia locale. Ma ci sono anche delle critiche da parte di certi comuni. La più sollevata riguarda la mancata restituzione dell’imposta sul reddito dei frontalieri riscossa dal Lussemburgo. L’aumento della popolazione residente sta generando costi significativi per le comunità locali, che stanno incontrando sempre più difficoltà a farvi fronte.
swissinfo.ch: In questo caso ci sono delle analogie con la Svizzera…
I. P.: Sì, ma in misura minore. Come nei distretti confinanti con il canton Ginevra, alcuni sindaci francesi accusano il Lussemburgo di approfittare del lavoro frontaliero senza sostenerne i costi, in termini di infrastrutture, costruzioni di nuovi alloggi o formazione della manodopera importata.
Possono inoltre sorgere tensioni tra frontalieri e non frontalieri in questi comuni limitrofi: i lavoratori attivi in Lussemburgo a volte suscitano gelosie per il loro tenore di vita e sono accusati di far aumentare i prezzi degli immobili locali.
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