Repubblicani favoriti da dipendenti di grandi società svizzere negli USA
Pende dalla parte di Donald Trump e delle politiche economiche repubblicane l'ago della bilancia delle donazioni di dipendenti americani di multinazionali svizzere nell'ambito delle presidenziali statunitensi del prossimo novembre. Tuttavia ci sono delle differenze a seconda dei rami di attività.
Attualmente le donazioni di dipendenti – con il passaporto USA o con il permesso di residenza permanente negli Stati Uniti – di diverse società elvetiche, le cui azioni fanno parte dello Swiss Market Index (SMI), ammontano complessivamente a 6,1 milioni di dollari. Il 55% sono a beneficio dei repubblicani.
Il quadro è simile al 2012. Allora i tre quinti degli 8,5 milioni di dollari donati andarono ai candidati repubblicani, secondo un’analisi di swissinfo.ch basata sui dati del Center for Responsive Politics, un organismo non governativo che studia gli effetti delle donazioni e delle lobby sulle elezioni e sui politici, con sede a Washington.
Nel 2008, le donazioni per un totale di 9,7 milioni di dollari, erano suddivise quasi in parti uguali tra i candidati dei due partiti.
I dati indicano i contributi a partire da 200 dollari di comitati di azione politica (PAC) e di singoli cittadini registrati dalla Commissione elettorale federale. Il denaro è ripartito tra 25 candidati alla presidenza, 2’049 candidati alla Camera dei rappresentanti e 433 candidati al Senato.
Divisione intrigante
La maggior parte del denaro è stato versato da impiegati delle società finanziarie UBS, Zurich e Credit Suisse, dalle due più grandi aziende farmaceutiche svizzere, Novartis e Roche, e dal gigante agroalimentare Syngenta.
Guardando più da vicino i dati della campagna di finanziamento, tuttavia, si scopre una spaccatura tra i settori di attività. I dipendenti americani di UBS, Zurich e Credit Suisse apparentemente favoriscono il magnate immobiliare e altri repubblicani, mentre quelli di Novartis, Roche e Nestlé sembrano propendere di più per Hillary Rodham Clinton e altri democratici.
“Cercano di influenzare le campagne o candidati in favore ai propri affari”, dice Candice Nelson professoressa di scienze politiche presso l’American University, che conduce ricerche incentrate sul finanziamento delle campagne e il comportamento degli elettori. “Il denaro tende ad affluire verso le persone che possono influenzare il processo politico”.
Nei due anni di ciclo elettorale che conduce alle elezioni di novembre affluiscono miliardi di dollari affluiscono attraverso campagne federali, partiti politici e altri gruppi. I candidati presidenziali finora hanno raccolto oltre 993 milioni di dollari; mentre i 2’482 candidati al Congresso in totale hanno ottenuto più di 1,28 miliardi di dollari.
Una goccia nel mare
Gli oltre 6 milioni di donazioni provenienti da persone che lavorano in grandi società svizzere sono dunque “una goccia nel mare”, dice Candice Nelson. Tuttavia, aggiunge, in generale i soldi stranieri sono diventati un problema perché hanno un effetto indiretto. Essi animano i dibattiti sulle questioni legate agli investimenti di Trump e sul grado d’influenza di donatori stranieri attraverso la Fondazione Clinton.
Per imprenditori e impiegati è abbastanza comune coprirsi le spalle con donazioni a tutto lo spettro politico, mentre gruppi di interesse e associazioni in genere supportano i candidati che riflettono le loro posizioni politiche.
Poiché la raccolta di fondi di Trump non è convenzionale – ha promesso di pagare tutto, senza limiti, di tasca propria – le donazioni per la sua candidatura sono inferiori a quelle per Hillary Clinton. Alla fine di settembre, Trump aveva ricevuto 160 milioni di dollari, ossia un po’ più di un terzo 435 milioni raccolti dalla Clinton.
Dal 1966, la legge degli Stati Uniti, per ragioni di “sicurezza interna”, proibisce agli stranieri di fare donazioni direttamente o indirettamente. La legge vieta pure ai candidati di ricevere consapevolmente donazioni da stranieri o società estere. Sono invece autorizzate le donazioni di residenti permanenti. Inoltre, società statunitensi di proprietà straniera o controllate statunitensi di una multinazionale estera possono farle creando un comitato di azione politica, a precise condizioni.
Chi è più favorevole alle imprese?
Anche se i repubblicani promuovono politiche generalmente propagandate come più favorevoli alle imprese, l’opposizione a Trump, ampiamente pubblicizzata, da parte dell’establishment del Partito repubblicano ha complicato le cose. Anche nelle cerchie imprenditoriali la sua candidatura è controversa a causa delle sue posizioni a favore dei dazi doganali protezionistici e contro la permanenza degli Stati Uniti nell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), con sede a Ginevra.
Donald Trump ha promesso di “far ripartire l’America” abbassando le tasse e riducendo la burocrazia, con l’obiettivo di stimolare la crescita delle imprese, la creazione di posti di lavoro e l’aumento dei salari.
Anche Hillary Clinton è però considerata favorevole all’economia. La candidata del Partito democratico vuole aumentare i prestiti alle imprese e ha sollecitato l’investimento di almeno 275 miliardi di dollari in progetti finanziati dallo Stato, per risanare autostrade, ponti, ferrovie, aeroporti e altre infrastrutture fatiscenti.
I giganti farmaceutici in generale hanno cercato di ingraziarsi la Clinton, benché non sia mai stata considerata loro amica e la sua campagna proponga misure per abbassare i prezzi dei medicamenti. Dal canto suo, Trump vuole abrogare l’Obamacare, promuovere la concorrenza tra gli assicuratori sanitari, negoziare con le case farmaceutiche per risparmiare denaro e dare ai consumatori un maggiore accesso ai farmaci importati.
Se non sei americano…
Martin Naville, direttore generale della Camera di commercio americana-svizzera a Zurigo, puntualizza che non sono le banche o le grandi società farmaceutiche a dare i soldi o a decidere i destinatari, ma sono i loro dipendenti, che devono essere cittadini statunitensi o residenti permanenti, che versano donazioni, a titolo individuale o tramite comitati di azione politica.
“Perché se non si è americani, è illegale fare donazioni. Si può fare lobbying, utilizzare lobbisti per informare e influenzare, ma non si possono dare soldi a candidati se si è stranieri”, sottolinea, precisando che “la maggior parte del denaro non va ai candidati presidenziali, ma ai candidati al Senato e alla Camera”.
Anche se la legge americana sul finanziamento delle campagne non pone limiti alle somme – enormi – che sono versate ai comitati indipendenti (i Super PAC) e ad altri gruppi, il sistema degli Stati Uniti è molto più trasparente di quello di alcuni dei più grandi partner commerciali europei della Svizzera.
“Non c’è alcun divieto per gli stranieri e le aziende estere di dare soldi ai candidati”, dice Naville alludendo a donazioni elvetiche ad alcuni candidati europei. “Ci sono leggi contro la corruzione; partiti e candidati devono dichiarare quanto ricevono e come spendono il denaro, ma non devono dichiarare da chi proviene”.
I maggiori partner commerciali della Svizzera sono Germania e Stati Uniti, seguiti da Italia, Francia, Cina, Gran Bretagna, Austria, Paesi Bassi, Spagna e Hong Kong. Ma il mercato statunitense sta diventando una “locomotiva” sempre più forte per le esportazioni svizzere, afferma Naville.
Una cattiva allieva
Sul fronte della trasparenza nel finanziamento dei partiti e delle campagne elettorali la Svizzera è nettamente in ritardo rispetto agli Stati Uniti. È d’altronde stata ripetutamente bacchettata dal Consiglio d’Europa per l’opacità che regna in questo campo ed esortata a correggere il tiro, ma finora senza successo.
Svizzera e Svezia sono gli unici paesi tra i 47 membri del Consiglio d’Europa in cui non c’è una legge che disciplina la divulgazione dei dati riguardo al finanziamento di campagne politiche, partiti, candidati e rappresentanti eletti.
(Traduzione e adattamento: Sonia Fenazzi)
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