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Salvataggio di Credit Suisse: il Parlamento esprime (invano) malumore

Karin Keller-Sutter
La ministra delle finanze Karin Keller-Sutter è stata sconfessata dal Parlamento. © Keystone / Alessandro Della Valle

La strategia adottata dal Consiglio federale per gestire il tracollo di Credit Suisse non ha ottenuto l'avallo del Parlamento. La sessione speciale dedicata a questo tema scottante finisce con un affondo a vuoto del legislativo, un voto di sfida senza impatti giuridici, che non fa tremare i mercati finanziari e che interessa poco all'estero.

Il 19 marzo, il Consiglio federale ha fatto ricorso al diritto di necessità per mettere a disposizione 109 miliardi di franchi al fine di garantire l’acquisizione di Credit Suisse da parte della rivale UBS. Il Parlamento non ha avuto dunque voce in capitolo sulla strategia per il salvataggio della seconda banca elvetica.

Il rifiuto della Camera bassa del Parlamento (il Consiglio nazionale) di approvare le garanzie federali è una sorta di schiaffo al Governo che vede in questo modo la sua gestione della crisi sconfessata dal legislativo. Ma la decisione è solo simbolica.

Davanti ai e alle parlamentari, la ministra delle finanze Karin Keller-Sutter ha ripetuto invano che il Governo ha dovuto agire d’urgenza per evitare seri danni al Paese. “Avevamo a che fare con un paziente già colpito da una malattia cronica”, ha detto. Anche il presidente della Confederazione Alain Berset ha tentato di calmare gli animi, sdrammatizzando: “La sparizione di Credit Suisse non è quella della Svizzera”.

Gli argomenti del Governo non sono bastati però a convincere la maggioranza del Consiglio nazionale che ha rifiutato una prima volta i crediti al termine di un dibattito-fiume nella notte tra martedì e mercoledì.

Alleanza “contro natura”

Da parte sua, la Camera alta (il Consiglio degli Stati) ha dato il suo sostegno alla strategia governativa, facendo però un passo in direzione del Nazionale. Senatrici e senatori hanno proposto delle condizioni alla concessione di garanzie finanziarie della Confederazione: una revisione della legge sulle grandi banche avrebbe dovuto essere intrapresa e il Consiglio federale avrebbe dovuto esaminare un possibile innalzamento dei fondi propri degli istituti bancari così come una riduzione dei bonus dei dirigenti.

Promesse giudicate insufficienti dalla maggioranza della Camera bassa, che ha rifiutato una seconda volta di avallare i crediti. Un’alleanza “contro natura” tra il Partito socialista (PS), i Verdi e l’Unione democratica di centro (UDC, destra sovranista) ha respinto il compromesso elaborato dalla Camera alta.

Socialisti ed ecologisti non si sono fidati  delle promesse per quanto concerne fondi propri e bonus.  L’UDC, invece, si è opposta ad ogni tipo di garanzia. Per il partito conservatore, le banche troppo grandi per fallire non dovrebbero semplicemente più esistere in Svizzera.

Questo secondo rifiuto del Consiglio nazionale ha messo fine alla sessione straordinaria dopo due giorni, al posto dei tre previsti.

Un rifiuto con poca eco all’estero

Lo schiaffo parlamentare al Governo ha avuto poca risonanza al di là delle frontiere elvetiche. La stampa internazionale ha dedicato poco spazio alla decisione.

Durante la sessione, alcuni parlamentari temevano che un rifiuto dei crediti potesse destabilizzare di nuovo i mercati finanziari, macchiando ulteriormente la reputazione della Svizzera all’estero. Ma non è il caso. “Le garanzie finanziarie della Confederazione sono comunque effettive. La decisione parlamentare non ha avuto nessun impatto sui mercati e non ci sono destabilizzazioni in vista”, constata l’economista Stéphane Garelli.

Il professore all’International Institute for Management Development ritiene che il voto del Parlamento non abbia nessun effetto a livello internazionale. “È un dibattito interno in stile svizzero. Era prevedibile una simile reazione politica”, commenta. Le questioni che suscitano interesse all’estero sono ben altre, dice l’economista. “All’estero ci si chiede soprattutto se le 29 altre banche troppo grandi per fallire nel mondo rischiano un tracollo simile a quello di Credit Suisse e se in Svizzera verranno introdotte nuove regole per controllare questo tipo di istituti”.

“Bisogna convivere con il rischio”

La Svizzera potrebbe finire nuovamente sotto i riflettori quando discuterà di misure concrete per evitare una nuova crisi bancaria. Tuttavia, per ora il Parlamento è solo riuscito a mettersi d’accordo per chiedere al Governo dei rapporti su vari aspetti, tra cui un’eventuale limitazione dei bonus e un aumento dei fondi propri delle grandi banche.

Da parte sua, Garelli si mostra scettico: “Bisogna convivere con il rischio. Lo si può gestire, ma non lo si può evitare”. Secondo lui, il mondo politico ha solo uno stretto margine di manovra: “I settori finanziari evolvono talmente rapidamente, in particolare con le nuove tecnologie, che le regolamentazioni sono sempre in ritardo. Si dipende soprattutto dall’etica di lavoro dei dirigenti degli istituti bancari e dal controllo dei consigli di amministrazione”.

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