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Indagato in Cina l’abate del Tempio Shaolin, culla del kung fu

Keystone-SDA

Le autorità cinesi stanno indagando su Shi Yongxin, l'abate del Tempio Shaolin dove è nato il kung fu per "l'appropriazione indebita di fondi per progetti e beni del tempio e le gravi violazioni dei precetti buddisti".

(Keystone-ATS) Queste ultime violazioni comprendono contestazioni su presunte relazioni con diverse donne e paternità di almeno un figlio illegittimo.

È stato lo stesso tempio a comunicarlo nella nota postata domenica sull’account ufficiale della piattaforma social WeChat a conferma delle voci circolate online, aggiungendo che Shi è stato sospeso dal suo prestigioso incarico di guida nella culla del buddismo zen e nella patria delle arti marziali.

L’Associazione buddista cinese ha dichiarato oggi in una nota di “sostenere e di appoggiare con fermezza” le misure adottate, incluso il “ritiro dell’ordinazione di Shi”, nell’ultima controversia che ha travolto il cosiddetto ‘monaco Ceo’, noto per il suo spiccato senso per gli affari. È stato infatti un promotore di alto profilo del tempio, risalente a 1500 anni fa e situato sul sacro monte Song, nella provincia centrale dell’Henan, fin dalla sua nomina ad abate nel 1999.

Ora Shi è sottoposto a “un’indagine congiunta da parte di più dipartimenti”, in merito a polizia o autorità religiose o anticorruzione cinesi. A lui è attribuito il merito di aver trasformato il Tempio Shaolin in un marchio globale negli ultimi due decenni, incurante delle critiche dei fedeli sull’eccessiva commercializzazione di uno dei siti buddisti più importanti del Dragone.

I monaci del tempio sono noti in tutto il mondo per la disciplina e i complessi sistemi di combattimento da loro inventati. Sotto la guida di Shi, formarono una compagnia che viaggiò in tutto il mondo per esibirsi a pagamento in spettacoli ad hoc, inviò discepoli a centinaia di accademie di kung fu e centri di meditazione legati allo Shaolin e sfruttò il nome del tempio per innumerevoli film. Insomma, un’attrazione per il business che a buon titolo valse a Shi l’impietoso soprannome di ‘monaco Ceo’ da parte dei media cinesi.

L’ex abate, tra l’altro, non è nuovo ad addebiti del genere: nel 2015 scomparve da ogni evento pubblico per diversi mesi dopo le accuse simili mossegli su relazioni e appropriazione indebite, finendo però per essere scagionato due anni dopo.

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