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Obama: incubo recessione per debito, repubblicani aprono

(Keystone-ATS) Incubo ‘fiscal cliff’ (precipizio fiscale) per il presidente americano Barack Obama. Sul nodo della stretta alla spesa pubblica e dell’aumento delle tasse per il 90% delle famiglie sono puntati gli occhi del mondo perchö se l’economia statunitense dovesse scivolare in una nuova recessione costretta fra più tasse e meno spese, la fragile ripresa economica globale rischia di deragliare.

Obama – come primo atto del suo secondo mandato – interverrà nelle prossime ore (dopo le 19 ora svizzera di oggi) proprio per delineare la strategia per “continuare a crescere e ridurre il debito”, e in qualche modo rassicurare anche Wall Street, in calo per il secondo giorno consecutivo proprio per i timori sul debito.

E se l’agenzia di rating Standard & Poor’s appare fiduciosa, intravedendo solo il 15% di possibilità che non ci sia un’intesa in Congresso per evitare il fiscal cliff, il Congressional Budget Office (CBO) lancia l’allarme. L’organismo indipendente per le analisi economiche al Congresso prevede che senza un’intesa, l’economia americana scivolerà in recessione nel 2013, con una contrazione del PIL dello 0,5% e un balzo del tasso di disoccupazione al 9,1%.

Il CBO ritiene che un’eventuale fine degli sgravi fiscali ai più ricchi avrebbe un impatto limitato sull’economia, con un peso di solo 0,25 punti percentuali: il PIL americano crescerà infatti del 2,2% il prossimo anno se gli sgravi fiscali dell’era Bush per i più ricchi saranno estesi.

Da poco più di 24 ore alla Casa Bianca, Obama è quindi subito alle prese con un’emergenza. E ha già iniziato a tessere la sua tela per far pressione sui repubblicani ed evitare il braccio di ferro del 2011 per l’aumento del tetto del debito. Una partita in salita che lo vede di nuovo scontrarsi con l’amico-nemico John Boehner, lo speaker della Camera a maggioranza repubblicana. Proprio da Boehner è arrivato un messaggio distensivo: i repubblicani sono disposti a trattare maggiori entrate fiscali a fronte di una riforma più ampia del sistema di imposizione fiscale.

Un tono conciliante che mostra l’impegno a trovare un “terreno comune” e che fa eco alle parole del leader della maggioranza democratica in Senato, Harry Reid: “Compromesso non è una parolaccia, abbiamo bisogno che i repubblicani ci aiutino”.

I repubblicani attendono una prima mossa da Obama: vogliono vedere le sue proposte per capire il margine di manovra. E i tempi sono stretti, all’inizio del 2013 mancano poco più di 50 giorni e senza un accordo in Congresso gli Stati Uniti si troveranno a fare i conti con tagli automatici alla spesa pubblica e un aumento delle tasse. Misure che avranno un impatto sull’economia da 600 miliardi di dollari solo per il 2013, poco meno del maxi-piano di stimolo varato da Obama all’inizio della sua presidenza nel 2009.

L’apertura repubblicana è accolta positivamente dai democratici e da Obama che, comunque, non dimenticano le trattative sul debito del 2011, quando Boehner e il presidente avevano raggiunto un accordo: un’intesa poi naufragata a causa dell’opposizione repubblicana, con Boehner costretto a tornare sui propri passi per non essere riuscito a imporsi nel suo stesso partito. Il mancato accordo aveva spinto a mettere a punto le norme del fiscal cliff, che ora riportano gli stessi attori a sedersi al tavolo, incluso l’ex candidato alla vice presidenza Paul Ryan.

Obama, consapevole che non è escluso un ripetersi della battaglia ma anche che l’oltranzismo mostrato dai repubblicani allora si è ritorto contro il partito alle urne, cerca di prevenire uno scontro serrato, soprattutto sui tagli alle tasse per i ricchi che i conservatori vorrebbero mantenere a tutti i costi.

Obama punta a un’alleanza con le grandi imprese americane, che in più occasioni hanno invitato le parti a raggiungere un accordo per evitare il fiscal cliff e quindi evitare di indebolire ulteriormente l’anemica crescita americana. Per le aziende si tratta di una buona opportunità, perché appoggiando il presidente nel fare pressing sui repubblicani e hanno la possibilità di seguire da vicino e influenzare le trattative per la riforma delle aliquote fiscali, cercando allo stesso tempo di spuntare vantaggi o almeno limitare i danni.

Gli amministratori delegati americani hanno già teso la mano all’amministrazione, sperando di riuscire a ricucire un rapporto danneggiato da quattro anni di crisi e attacchi reciproci.

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