Il conflitto palestinese approda all’ONU
L'Autorità palestinese intende presentare una candidatura di adesione alle Nazioni Unite e chiedere così il riconoscimento a pieno titolo dello Stato palestinese. Una richiesta che irrita Israele e che si scontrerà verosimilmente con il veto statunitense al Consiglio di sicurezza.
La decisione di rivolgersi alle Nazioni Unite non rappresenta la soluzione ideale per i palestinesi, anche se avrà il pregio di sbloccare una situazione da tempo paralizzata. Lo sostengono il politico israeliano Yossi Beilin e l’ex ministro palestinese Yasser Abed Rabbo, che venerdì a New York hanno ribadito il ruolo cruciale dell’iniziativa di Ginevra.
Nel corso degli ultimi 18 anni, Rabbo e Beilin hanno svolto un ruolo chiave nelle trattative di pace in Medio Oriente. Secondo i due politici, l’accordo di pace extra governativo sostenuto dalla Svizzera – e di cui sono i promotori – potrebbe rivelarsi decisivo nella risoluzione del conflitto israelo-palestinese.
L’iniziativa di Ginevra, hanno sottolineato, evidenzia in modo concreto e pragmatico che una soluzione a due Stati è possibile. L’accordo lanciato nel 2003 contempla infatti tutti gli aspetti cruciali del conflitto.
Situazione bloccata
L’ex ministro di giustizia israeliano e il segretario generale dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, nonché consulente del presidente Mahmud Abbas, si sono espressi nel corso di un evento a sostegno dell’iniziativa di Ginevra organizzato dall’Istituto internazionale della pace e dalla missione svizzera all’ONU.
Non si conoscono ancora i dettagli della candidatura palestinese alle Nazioni Unite, ha detto l’ambasciatore svizzero all’ONU Paul Seger durante l’incontro, poche ore dopo l’annuncio ufficiale di Abbas. A Ramallah, il presidente dell’Autorità palestinese aveva dichiarato di voler sottoporre al Consiglio di sicurezza il riconoscimento dello Stato palestinese sulla base dei confini del 1967.
Quest’azione presso l’ONU, sostiene Rabbo, non costituisce la via ideale da seguire per i palestinesi. Rappresenta tuttavia l’ultimo tentativo per muoversi in direzione di una risoluzione del conflitto. «Non vediamo altre alternative se non quella di una soluzione a due Stati», ha detto, sottolineando che con l’espansione delle sue colonie, il governo israeliano sta vanificando la possibilità di giungere a un compromesso.
Per l’israeliano Beilin, l’intenzione dei palestinesi di rivolgersi al Consiglio di sicurezza costituisce «una tragedia che non soddisferà nessuno». Né i palestinesi, né gli israeliani, ma neppure Stati Uniti ed Europa, la quale appare alquanto divisa. Sul terreno non cambierà nulla, anche nel caso di un’adesione della Palestina alle Nazioni Unite, ritiene il politico israeliano, secondo cui sarebbe stato meglio presentare una domanda all’Assemblea generale.
Nonostante le enormi difficoltà, concordano comunque i due ex ministri, c’è ancora la speranza di giungere a una soluzione duratura. È però indispensabile il sostegno della comunità internazionale.
Nessuna illusione
La speranza è viva, ma non ci facciamo illusioni, hanno puntualizzato Abed Rabbo e Yossi Beilin. È scoraggiante constatare che tutti questi anni di processo di pace non abbiano portato a sviluppi concreti, ha detto Rabbo di fronte alla stampa.
Sia da parte israeliana, sia da quella palestinese ci sono in effetti forze estremiste che si oppongono a qualsiasi risoluzione pacifica del conflitto. «A queste forze, il mondo deve dire chiaramente che “il gioco è finito”», ritiene Rabbo.
«Non credo che l’attuale governo israeliano sia pronto ad accettare una soluzione duratura», ha osservato dal canto suo Beilin. «Potrebbe però essere aperto a soluzioni transitorie».
Molto dipenderà dalla formulazione della risoluzione, che potrebbe contribuire a rafforzare il campo di chi vuole un compromesso di pace in seno all’opinione pubblica israeliana. Ad esempio nel caso in cui la risoluzione riconoscesse Gerusalemme Est quale capitale dello Stato palestinese e Gerusalemme Ovest capitale israeliana. «Si tratterebbe allora di una risoluzione importante per entrambe le parti».
Il tempo però stringe e bisogna agire in fretta, poiché la sicurezza nei territori palestinesi e in Israele è minacciata. Secondo Rabbo, più la soluzione a due Stati si allontana, più la guerra diventa probabile.
La pace passa da Ginevra
Su un punto Rabbo e Beilin sono assolutamente d’accordo: l’importanza dell’iniziativa di Ginevra, l’unica base possibile per un’intesa nel caso di un’effettiva volontà politica di giungere alla pace da parte di tutti. «È diventata un punto di riferimento. D’altronde, in materia di accordi di pace per il Medio Oriente non vi è molta scelta», dice Beilin.
Anche per Rabbo l’iniziativa di Ginevra rappresenta «un documento credibile, pragmatico e dettagliato che affronta tutti gli aspetti centrali, tra cui la questione dei confini, dei rifugiati, lo statuto di Gerusalemme o il diritto all’acqua». Ora manca “soltanto” che il documento diventi una realtà politica.
Da diversi anni la Svizzera svolge un ruolo attivo per facilitare la risoluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese.
Celebre in questo senso è l’Iniziativa di Ginevra, un piano di pace alternativo appoggiato dalla Svizzera e elaborato in particolare dagli ex ministri israeliano Yossi Beilin e palestinese Yasser Abed Rabbo.
Il concetto principale dell’accordo è lo stabilimento di uno Stato palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, in cambio del riconoscimento palestinese dello Stato di Israele come patria di diritto del popolo ebraico.
Il documento prevede in particolare una condivisione della sovranità su Gerusalemme, che diventerebbe capitale dei due Stati e il ritorno alle frontiere del 1967. Il testo fissa pure le modalità per il ritorno dei rifugiati palestinesi.
Anche se il presidente palestinese Mahmud Abbas dovesse presentare la richiesta del riconoscimento dello Stato palestinese, come ha annunciato qualche giorno fa, la decisione delle Nazioni Unite potrebbe richiedere parecchio tempo.
La richiesta deve dapprima essere esaminata dal segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon, il quale la trasmetterà assieme alle sue raccomandazioni al Consiglio di sicurezza.
Per un pieno riconoscimento all’ONU sono necessari i due terzi dei voti all’Assemblea generale e l’approvazione del Consiglio di sicurezza. Gli Stati Uniti hanno già annunciato l’intenzione di voler ricorrere al veto.
La Svizzera non ha finora comunicato quale posizione adotterà durante il voto all’Assemblea generale.
Traduzione di Luigi Jorio
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