“La struttura per la sicurezza europea è completamente in rovina”
La Svizzera non fa parte della NATO: la sua neutralità glielo vieta. Negli ultimi decenni ha tuttavia stretto dei partenariati internazionali per mantenere e promuovere la pace. La guerra in Ucraina ha ora stravolto l'intera politica di sicurezza.
Henrik Larsen è direttore del Centro per gli studi di sicurezza (CSS) del Politecnico federale di Zurigo. Le sue ricerche si concentrano soprattutto sulla NATO e sulla sicurezza transatlantica. A colloquio con SWI swissinfo.ch, l’esperto illustra la politica di sicurezza della Svizzera negli ultimi decenni.
SWI swissinfo.ch: Lunedì, il Governo svizzero ha deciso di adottare le sanzioni contro la Russia. È una decisione che l’ha sorpresa?
Henrik Larsen: No. La Svizzera è da tempo uno Stato neutrale, ma quale sarebbe stata l’alternativa? La Confederazione doveva forse rimanere l’unico Stato della comunità occidentale che non aderiva alle sanzioni? Una scelta simile poteva essere male interpretata. Si poteva essere tentati a pensare che la Svizzera approvasse il comportamento della Russia. La Svizzera è integrata economicamente e culturalmente in Europa. Inoltre, la Confederazione si adopera a favore di relazioni pacifiche. Per questo motivo non può semplicemente rimanere alla finestra a guardare se un Paese viola palesemente le leggi e le norme internazionali.
Ripercorriamo la politica di sicurezza della Svizzera. La Confederazione non fa parte della NATO. Dal 1996 partecipa però al Partenariato per la pace della NATO. Come mai?
Alla fine della Guerra fredda, la Svizzera voleva salvaguardare il suo statuto di Paese neutrale, nello stesso tempo intendeva contribuire al mantenimento della pace e alla creazione di una struttura di sicurezza globale, soprattutto per le questioni di “soft security”. Per la Svizzera, il Partenariato con la NATO è una sorta di strumento per fare osservare le norme internazionali. La Confederazione non ha mai fornito sostegno operativo.
Da allora, com’è cambiato il rapporto tra Svizzera e NATO?
Gli anni Novanta possono essere considerati un periodo d’oro. Nell’ambito del Partenariato per la pace, la Svizzera ha potuto difendere i suoi valori e impegnarsi per il mantenimento della pace e dei diritti internazionali. Con l’occupazione da parte della Russia di una parte della Georgia nel 2008 e la susseguente guerra in Afghanistan, la NATO si è concentrata sulla difesa territoriale. Per la Svizzera è stato più difficile mantenere una partnership forte con la NATO. Infatti, partecipare alle missioni della NATO significava diventare complice dell’uccisione di esseri umani. In quanto Stato neutrale, la Confederazione se n’è guardata bene. L’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014 ha ridotto ulteriormente l’importanza del partenariato NATO-Svizzera.
Tre anni fa, in un articolo sosteneva che la Svizzera doveva riavvicinarsi alla NATO. Perché?
A cinque anni circa dall’annessione della Crimea, la situazione in Europa sembrava più tranquilla e le priorità della NATO erano cambiate: la presenza in Europa dell’Est era stata rafforzata e temi “soft” erano al centro dell’attenzione, quali la sicurezza informatica, le nuove tecnologie e la protezione delle infrastrutture. La NATO era anche disposta ad allacciare nuove partnership con Stati che non volevano unire questi temi alla difesa collettiva.
Visti i suoi valori e le interdipendenze economiche e sociali con i Paesi occidentali, in quel momento era sensato pensare a un riavvicinamento della Svizzera alla NATO per valutare altre possibilità di collaborazione. Si erano inoltre tenuti colloqui del gruppo informale formato dagli Stati non-membri della NATO, ossia Austria, Svezia, Finlandia, Irlanda e Svizzera, con la partecipazione occasione di Malta. L’attenzione era rivolta al “soft power”.
Come può la Svizzera partecipare alla politica di sicurezza europea e nello stesso tempo salvaguardare il suo ruolo di mediatrice con Stati terzi?
La NATO si augurava un sostegno maggiore da parte della Svizzera in materia di sicurezza informatica. Ora la situazione è cambiata rispetto al 2014. Allora, l’annessione della Crimea alla Russia si era svolta in maniera quasi pacifica. I soldati russi non indossavano nemmeno un’uniforme. Nel 2022 è tutto diverso: la Russia ha deciso di invadere uno Stato. Sembra quasi che Vladimir Putin voglia ridare vita all’antico impero russo. Fintanto che la Svizzera non è disposta a scendere in campo a favore di una difesa territoriale, la NATO la considererà un partner secondario, non importante.
La guerra in Ucraina altera la politica di sicurezza globale?
La struttura per la sicurezza europea è completamente in rovina. Tra le nazioni non c’è più alcun equilibrio. Gli Stati occidentali non possono più fidarsi della Russia: tutte le menzogne e le macchinazioni che hanno portato alla guerra in Ucraina hanno eroso quel poco di fiducia che nutrivano in Putin. Al momento non si può ancora fare una previsione sulla politica di sicurezza dopo la guerra.
Anche in Stati come la Finlandia o la Svezia ci si chiede se non sia giunto il momento di entrare nella NATO.
Già nel 2014 si erano espresse queste richieste, anche se erano meno insistenti. Secondo me è un passo molto rischioso perché non sappiamo come potrebbe reagire la Russia. Anche se la retorica di Putin era più aggressiva, gli Stati Uniti si erano finora concentrati piuttosto sull’Asia, visto che la Cina è il suo principale concorrente. Gli USA vogliono naturalmente mantenere la NATO, ma spetta agli europei inviare le loro truppe. Da soli, gli USA non scenderanno in campo con il loro esercito.
Cosa significa sul lungo termine per la politica europea?
È probabile che buona parte degli Stati chiedano un aumento della spesa a favore degli armamenti e della difesa. La Germania ha già preso una decisione in questo senso. Si tratta di un cambiamento fondamentale della sua strategia, un cambio di rotta che non si vedeva dai tempi della Guerra fredda.
Come finirà la guerra in Ucraina?
Nel peggiore dei casi, si giungerà a una guerra tra la NATO e la Russia, se quest’ultima attaccherà gli Stati membri poiché hanno sostenuto militarmente l’Ucraina. La Russia li ha già avvisati: le nazioni straniere che si immischiano nella guerra dovranno pagarne le conseguenze. Putin non esclude l’uso di armi atomiche. Speriamo però che non si giunga a tanto.
L’altra possibilità è che la Russia occupi l’Ucraina, o almeno Kiev, la parte orientale e meridionale, mentre la parte ad occidente si separi dal resto del Paese. Occupando l’Ucraina, la Russia corre il rischio di essere confrontata con una forte opposizione del popolo ucraino, sostenuto dall’Occidente. La Russia è militarmente superiore, ma la questione sarà se, in patria, riuscirà a sopportare il prezzo politico della guerra.
Quale effetto avranno le sanzioni economiche?
Al momento hanno un grande effetto simbolico. Tanto più che la Svizzera ha aderito alle sanzioni. Queste sanzioni vogliono colpire l’economia russa e gli oligarchi affinché facciano sentire il loro malcontento nei confronti del Cremlino, indebolendolo. Le proteste a Mosca e il fatto che i primi oligarchi hanno espresso il loro dissenso, evidenziano che non tutti sostengono la decisione di Putin. Inoltre, l’Occidente sta cercando di sostenere militarmente e finanziariamente l’Ucraina per aumentare i costi dell’invasione. Più danni causa questa guerra, meno popolare sarà il conflitto armato in Russia.
La Svizzera è uno dei pochi Stati tra l’Atlantico e l’Ucraina che non fa parte né dell’Unione europea (UE) con la sua politica di sicurezza e di difesa né della NATO. Come Paese partner della NATO, la Svizzera partecipa solo al Partenariato per la pace e al Consiglio di partenariato euro-atlantico. Le forze armate svizzere possono partecipare a operazioni di sostegno alla pace all’estero sotto la guida della NATO, dell’UE e delle Nazioni Unite. Inoltre, la Svizzera può prendere parte a missioni civili e militari dell’UE a favore della pace nell’ambito della politica di sicurezza e difesa comune.
Traduzione dal tedesco: Luca Beti
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