Oggi in Svizzera
Care svizzere e cari svizzeri all’estero,
tra un drastico calo del numero di nascite e le preoccupazioni per l'approvvigionamento elettrico del Paese, nell'attualità svizzera di questo lunedì prevale una certa inquietudine.
Nella nostra selezione odierna anche i risultati delle elezioni per il Governo giurassiano e il seguito (e di certo non la fine) della saga dei negoziati con il presidente Trump.
Buona lettura!
L’elettorato giurassiano si è recato alle urne questo fine settimana per eleggere il suo nuovo Governo. Quest’ultimo sarà composto da una ministra e due ministri socialisti e due del Centro. Nei loro commenti, i giornali di questo lunedì sottolineano tre elementi che hanno reso queste elezioni un po’ fuori dall’ordinario.
Queste elezioni rappresentano un successo per la sinistra, per la prima volta maggioritaria in Governo dalla creazione del Cantone. Si tratta invece di una chiara sconfitta per l’UDC, che non è riuscita a entrare nell’Esecutivo. Resta ora da vedere come questo Governo di sinistra collaborerà con un Parlamento a maggioranza di destra.
Un altro risultato che può essere considerato “storico” è l’elezione del socialista Valentin Zuber, di Moutier. È la prima volta che la cittadina, che passerà ufficialmente dal canton Berna a quello del Giura il 1° gennaio, partecipa a elezioni giurassiane. Infine, nessun “miracolo” per Martial Courtet. Dopo 10 anni in Governo, l’ex ministro del Centro era stato scaricato dal suo partito in seguito a polemiche sulla gestione “autoritaria” del suo dipartimento. Rientrato come candidato indipendente, aveva sorpreso superando il primo turno, ma è stato infine sconfitto al ballottaggio.
Infine, nessun “miracolo” per Martial Courtet. Dopo 10 anni in Governo, l’ex ministro del Centro era stato scaricato dal suo partito in seguito a polemiche sulla gestione “autoritaria” del suo dipartimento. Rientrato come candidato indipendente, aveva sorpreso superando il primo turno, ma è stato infine sconfitto al ballottaggio. L'”impresa” del consigliere di Stato ginevrino Pierre Maudet, che aveva seguito lo stesso percorso, non ha quindi potuto essere replicata nel Giura.
La popolazione svizzera finirà per scomparire? La domanda può sembrare bizzarra, ma le cifre presentate lunedì dall’Ufficio federale di statistica (UST) mostrano che la fecondità è crollata drasticamente.
Il numero medio di figli per donna in Svizzera era di 1,29 nel 2024, rispetto al 2,04 del 1971. Si tratta del livello più basso mai registrato dall’inizio delle rilevazioni, sottolinea l’UST. Le donne straniere (1,5) hanno in media un numero leggermente superiore di figli rispetto alle svizzere (1,2), ma il divario tra i due gruppi tende a ridursi.
Si osserva che a diminuire maggiormente sono state le nascite del terzo figlio (-13,6%) tra il 2019 e il 2024. Le prime e le seconde nascite sono invece calate rispettivamente dell’8,5% e del 9%. Le statistiche mostrano inoltre che le donne hanno il primo figlio sempre più tardi, in media a 31,3 anni.
Anche se il desiderio più diffuso rimane quello di avere due figli, la volontà di averne è in calo. La quota di persone tra i 20 e i 29 anni che non desiderano figli è passata dal 6% nel 2013 al 17% nel 2023. Nella fascia 30-39 anni, questa percentuale è salita dal 9% al 16%.
Esponenti del mondo politico ed economico esprimono preoccupazione per l’approvvigionamento elettrico della Svizzera. Sulla stampa domenicale, il consigliere federale Albert Rösti, responsabile del Dipartimento dell’energia, ha avvertito che il Paese non potrà garantire il proprio approvvigionamento elettrico invernale senza ricorrere al nucleare.
Secondo Rösti, le energie rinnovabili progrediscono troppo lentamente per coprire il fabbisogno e il rischio di una penuria rimane concreto. Per evitare un blackout, il ministro esorta ad accelerare le procedure per le infrastrutture rinnovabili, preparando al contempo il terreno per un ritorno al nucleare.
Albert Rösti sostiene un controprogetto all’iniziativa “Stop al blackout”, che mira a riaprire la strada alla costruzione di nuove centrali nucleari. Questa posizione segna una svolta rispetto alla Strategia energetica 2050, adottata dopo Fukushima, che prevede l’abbandono progressivo del nucleare.
Il consigliere federale non è il solo a essere preoccupato. In un’intervista al quotidiano La Liberté, Alain Sapin, direttore di Groupe E (azienda di produzione energetica della Svizzera romanda), ritiene che il crescente ricorso alle energie rinnovabili, unito all’abbandono del nucleare, “porti a un aumento dei rischi”.
La saggezza popolare insegna che le mosche non si acchiappano con l’aceto. Questo detto sembra particolarmente calzante con Donald Trump. I media hanno ora appreso qualche dettaglio in più sui doni che una delegazione di dirigenti di aziende svizzere ha fatto al presidente statunitense nel quadro dei negoziati sui dazi doganali.
Come vi avevamo indicato la settimana scorsa, una delegazione composta da sei delle principali figure dell’economia svizzera è stata ricevuta martedì da Donald Trump nello Studio Ovale della Casa Bianca. Scopo della manovra: tentare di rabbonire il presidente statunitense affinché alleggerisca la tassa del 39% che colpisce i prodotti svizzeri importati negli Stati Uniti.
Secondo la stampa domenicale svizzero-tedesca, questi alti dirigenti avrebbero proposto di investire nel settore farmaceutico e nelle infrastrutture statunitensi e di delocalizzare le fonderie d’oro negli Stati Uniti. E, secondo il vecchio adagio per cui i piccoli regali mantengono viva l’amicizia, avrebbero anche offerto al presidente statunitense un orologio Rolex e un lingotto d’oro con dedica.
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