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Per la Svizzera l’esecuzione di Saddam Hussein «non è giustificabile»

L'esecuzione di saddam Hussein è stata ripresa dalla televisione irachena al Iraqiya Keystone

Il Dipartimento federale degli affari esteri ha preso atto dell'esecuzione dell'ex presidente iracheno Saddam Hussein, sottolineando che per la Svizzera la pena di morte «non è giustificabile».

Saddam Hussein è stato impiccato sabato all’alba a Bagdad. Era stato condannato a morte per crimini contro l’umanità.

Il Dipartimento degli affari esteri (DFAE) ha condannato i «gravi crimini» commessi da Saddam Hussein, ma disapprova la sua esecuzione.

In un comunicato, il DFAE indica che «per la Svizzera, la pena di morte non è giustificabile, anche per i crimini più gravi». La Confederazione rinnova il suo impegno per l’abolizione di questa sentenza e «questa posizione fondamentale vale anche nel caso di Saddam».

Il DFAE si dice inoltre molto preoccupato per «l’insicurezza drammatica» che prevale in Iraq e spera che gli iracheni possano «sormontare le prove del passato» e trovare le basi di una riconciliazione per costruire una società dove prevalgano la stabilità, la democrazia e la pace.

Giustiziato all’alba

Dopo ore convulse nelle quali si sono susseguite conferme e smentite circa un’imminente esecuzione dell’ex presidente iracheno, Saddam Hussein è stato giustiziato a Bagdad per impiccagione poco dopo le 6 locali (le 4 in Svizzera).

«È stato rapido ed è morto subito», ha dichiarato uno dei funzionari iracheni presenti, aggiungendo che l’ex rais aveva il volto scoperto ed aveva l’apparenza tranquilla. In mano teneva il corano.

Secondo i testimoni che hanno assistito all’impiccagione – avvenuta nella sede dei servizi segreti militari, attualmente usata come base dell’esercito iracheno – Saddam Hussein avrebbe esortato gli iracheni a «rimanere uniti», denunciando al contempo la «coalizione iraniana».

Massacro di 148 sciiti

Saddam Hussein era stato condannato a morte il 5 novembre scorso dal Tribunale speciale iracheno per il massacro di 148 sciiti del villaggio di Dujail, a nord di Bagdad, avvenuto nel 1982.

Dopo essere stato consegnato dalle forze americane che lo costudivano alle autorità irachene, i legali di Saddam hanno tentato invano una serie di mosse disperate nel tentativo di bloccare l’esecuzione.

Il consigliere per la sicurezza nazionale, Moaffaq al-Rouba, ha indicato che il suo cadavere sarà sepolto in un luogo segreto fino a quando non sarà deciso di consegnarlo alla sua tribù o alla sua famiglia.

L’impiccagione del fratellastro Al Tikriti (all’epoca dei fatti capo dei servizi segreti) e dell’altro coimputato Awad al Bandar (ex presidente del tribunale rivoluzionario) è stata invece rinviata.

Giubilo e disordini

L’annuncio della morte di Saddam ha suscitato reazioni contrastanti in Iraq. Alle scene di giubilo si sono contrapposti disordini, in particolare nella roccaforte sunnita di Falluja. A Kufa, un’autobomba è esplosa nei pressi del mercato facendo diverse vittime. In mattinata, la situazione era invece relativamente calma a Bagdad.

Il primo ministro iracheno Nuri al Maliki – felicidandosi per «l’esecuzione del criminale Saddam» – ha lanciato un appello alla riconciliazione ai partigiani dell’ex regime.

A Washington, il presidente statunitense George Bush ha parlato di una «tappa importante del processo di democratizzazione dell’Iraq». «È stato un atto di giustizia, la stessa giustizia negata per decenni alle vittime del suo brutale regime», ha commentato Bush, riconoscendo tuttavia che l’esecuzione non porrà fine alla violenza nel paese.

Il vice ministro degli affari esteri iraniano, Hamid Reza Assefi, ha salutato l’esecuzione come «una vittoria degli iracheni». Per Israele, «giustizia è stata fatta».

Esecuzione ingiustificabile

Reazioni inverse al Vaticano, per il quale ogni esecuzione capitale rappresenta un evento tragico.

Il Consiglio d’Europa, pur riconoscendo in Saddam un «criminale senza pietà», ha denunciato la condanna a morte, giudicata un atto barbaro e crudele. Il segretario generale, Terry Davis, ha sottolineato che gli iracheni «hanno bisogno di giustizia, di riconciliazione e di pace, non di impiccagioni o vendette».

Analogamente, l’Unione europea ha condannato sia i crimini di Saddam, sia la sua esecuzione. In termini simili si sono espressi anche Francia, Gran Bretagna e Italia.

Il presidente del Consiglio italiano Romano Prodi non ha nascosto la sua preoccupazione: secondo lui, l’esecuzione rischia di aumentare la tensione nel paese. Il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, ha parlato di «errore politico e storico».

«Saddam Hussein si è reso responsabile di numerose e terribili violazioni dei diritti umani. I suoi atti non possono tuttavia giustificare la sua esecuzione, una punizione crudele e disumana», ha dal canto suo reagito l’organizzazione a difesa dei diritti umani Human Rights Watch.

swissinfo e agenzie

Saddam Hussein ha diretto l’Iraq dal 1979 alla caduta del regime, nell’aprile 2003.

L’ex rais è stato catturato dall’esercito statunitense il 13 dicembre 2003 nella città natale di Tikrit, a nord di Bagdad. Le immagini umilianti della sua cattura hanno fatto il giro del mondo.

I suoi figli Uday e Qusay, despoti a sua immagine, sono stati uccisi tre mesi più tardi dalle forze americane.

Durante il processo (iniziato il 19 ottobre 2005), il 69enne Saddam si è spesso mostrato arrogante e pugnace, ricusando il Tribunale speciale iracheno incaricato di giudicarlo.

Saddam Hussein nasce il 28 aprile del 1937 a Awaja, nella regione di Tikrit.

Dopo aver aderito al partito Baath metà anni Cinquanta, Saddam sale alla ribalta della cronaca nel 1959 quando tenta di assassinare il presidente Abdel Karim Kassem, responsabile dell’abbattimento della monarchia un anno prima.

Nel 1968 partecipa al colpo di Stato che porta il partito laico al potere.

La sua ascesa è rapida. Nel 1979 è al contempo capo di Stato, segretario generale Baath e capo supremo dell’esercito.

Saddam non tollera alcuna dissidenza. L’Occidente, terrorizzato dall’Iran (contro il quale l’Iraq è in guerra dal 1980 al 1988), chiude entrambi gli occhi sui crimini del suo regime e lo sostiene militarmente.

L’esercito iracheno invade il Kuwait nel 1990, prima di subire una cocente sconfitta da parte di una coalizione guidata dagli USA sette mesi dopo.

Nonostante l’embargo decretato dall’ONU, il rais continua a provocare e a sfidare gli Stati Uniti. La controversa invasione americana nel marzo 2003, condotta in nome della lotta al terrorismo e delle armi di distruzione di massa (mai trovate), mette fine al suo regno.

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