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Claudel e Rodin, amore e mito

"L'âge mûr": prima versione di uno dei capolavori di Camille Claudel Keystone

Già presentata in Canada negli Stati Uniti, la mostra «Claudel et Rodin, la rencontre de deux destins» fa ora tappa al Museo Gianadda di Martigny.

Una ghiotta occasione di ritrovare insieme il gigante della scultura e la giovane allieva, con una ricca messe di documenti d’epoca.

«Eroina preferita: Lady Macbeth. Virtù: nessuna, sono tutte noiose». L’appunto contenuto in un quadernetto di pensieri – esposto a Martigny tra una serie di teste di marmo, creta, onice realizzate da Auguste Rodin («Camille au bonnet») – la dice lunga sul «temperamento selvaggio» (sono ancora parole dello scultore) della sua amante, modella, allieva.

Così pure la drammatica immagine che chiude l’esposizione: Camille Claudel invecchiata e infagottata, al manicomio di Montdevergues a Monfavert, in una foto scattata da William Elborne nel 1929.

La scultrice pesa 47 chili, spento è lo sguardo azzurro e intenso che il celebre fratello poeta, Paul Claudel, ha definito «così raro, che in genere si incontra solo nei romanzi».

Sta ad anni luce dal 1881, in cui la bella e volitiva Camille arriva a Parigi dalla nativa Fêre-en-Tardenois, a diciotto anni espone al Salon, per poi diventare l’amante, la complice, la creatrice sfrenata al fianco di un uomo di 43 anni sulle soglie della gloria, per un decennio di furore e creazione.

Adjani, il mito

Se gloria ci sarà, per Camille Claudel, sarà breve come il passaggio di una cometa e spesso all’ombra del maestro-amante.

Già dopo la separazione, nel 1892, Camille dà i primi segni di paranoia, accentuatasi sul nascere del nuovo secolo: la madre e il fratello la faranno internare nel 1913 e per trent’anni l’artista non disegnerà, non modellerà, dimentica di tutto.

Bisognerà attendere una grande mostra parigina nel 1984 e ancor più il fluviale lungometraggio di Bruno Nuytten, con gli occhi strabuzzati di Isabelle Adjani e il fascino carnoso di Depardieu per ridare alla scultrice la statura di un mito. L’«amie féroce» di uno dei più grandi scultori di tutti i tempi diventerà allora una sorta di icona del connubio sfrenato (e romanticissimo) tra passione e creazione, tra genio e follia.

Fu vera gloria?

Il mito bio-romanticheggiante non manca di infastidire gli storici dell’arte (il direttore del Museo Rodin di Parigi l’ha tacciato d’«orpello mediatico»), ma è proprio possibile sfuggire al suo fascino?

La mostra di Martigny ci riesce egregiamente, proprio accogliendo in toto la componente biografica: propone un percorso scandito attraverso le tappe di avvicinamento (furibondo) e allontanamento (altrettanto furibondo) dei due artisti. Il prima, il durante, il dopo.

Costellato di lettere, diari, documenti; purtroppo una parte dei materiali presentati a Québec non sono esposti nella mostra vallesana: si trovano comunque in un denso, puntiglioso, ricchissimo catalogo di cinquecento pagine, affidato alla cura di quattordici specialisti.

Lo spettatore è invitato a non dimenticare gli accidenti della biografia: la fusione di due anime debordanti e creatrici nel decennio comune (1882-1992), l’orrenda gelosia che Camille sviluppa nei confronti dell’amante stabile di Auguste, Rose Beuret, la ricerca disperata di una «voce propria» da parte dell’allieva e la progressiva mania di persecuzione, il trionfo del genio di Rodin nella tarda età.

Ma il percorso si fa anche attraverso la scultura. Compito non facile, sia chiaro, dacché Rodin ha lasciato un’opera ciclopica e potente, mentre Claudel – le cui sculture si sono in parte perse ma sono anche state distrutte dall’artista medesima enragée – conta oggi solo un’ottantina di pezzi superstiti, quasi tutti esposti anche a Martigny.

Al centro dell’arena quadrata della Fondazione Gianadda campeggia l’enorme, rivoluzionario gesso patinato di Balzac, realizzato da Rodin nel pieno della gloria, mentre le sculture di Camille Claudel, di dimensioni più piccole, mostrano spesso donne in ginocchio, giri di valzer e di trance, creature sovrastate da un destino distruttore, come nella celebre Onda del 1897.

Liberarsi da Rodin

E’ allora soprattutto nella terza e quarta parte dell’esposizione che si scoprono – in formati più piccoli ma non meno intensi – i tratti distintivi della scultrice selvaggia: una più marcata attenzione agli arabeschi dell’art nouveau (nella celebre La valse, presente in molteplici e ammalianti versioni, in gesso e bronzo), qualche primo accenno alle arti primitive, e soprattutto una volontà di allontanarsi dall’epico sensualismo del maestro, per composizioni quasi quotidiane (Le causeuses, Rêve au coin du feu).

Infine, un’espressività quasi narrativa e fin troppo evidente anche agli occhi dei contemporanei, nel capolavoro L’age mûr ou la fatalité, che «è al contempo il soggetto, l’illustrazione e la messinscena di episodi vissuti da Camille» (John R. Porter).

Vi si scopre una donna inginocchiata e implorante, che cerca di trattenere un uomo anziano trascinato altrove dalla morte (o forse da Rose Beuret).

La scultura è dunque l’espressione dei rapporti complessi e tormentati tra i due artisti, dopo la rottura: Rodin da un lato continuò a sostenere, anche finanziariamente, quella che considerava un genio (mentre Camille lo accuserà di tramare contro di lei), dall’altro non mancò di far valere la sua fama e la sua influenza, per impedire la realizzazione in bronzo del grande gruppo scultoreo.

Un Rodin che nel frattempo, e siamo sul ciglio tra i due secoli, sviluppa un’arte ancor più potente e allusiva: definisce ormai il celebre Le baiser come una «grande cianfrusaglia scolpita» e porta alle estreme conseguenze il «non finito» michelangiolesco, scolpendo opere in cui la potenza della materia si fa miracolo d’arte: nel Pensiero del 1895 (così come nell’Aurora) è il volto di Camille – amata con furore e ormai persa – che spunta appena dal biancore frastagliato di un blocco di marmo grezzo.

Un’immagine potente e tragica, in perfetto contrasto con la contemporanea realizzazione della Claudel, dal titolo simile, La pensée profonde: una donna inginocchiata davanti a un camino freddo, dalle fauci aperte.

swissinfo, Pierre Lepori, Martigny

Camille Claudel nasce a Fêre-en-Tardenois l’8 dicembre 1864: a dodici anni decide di diventare scultrice; a 18 diventa l’amante, la musa e l’allieva di Auguste Rodin (Parigi, 1840-1918), nel 1913 viene internata in manicomio, dove morirà nel 1943.
La fortuna postuma di Camille Claudel e della sua opera (che comprende oggi non più di 80 sculture) rinasce nel 1984, con una grande esposizione presentata al Musée Rodin di Parigi. Nel 1987 un film interpretato da Isabelle Adjani rende il mito di Camille Claudel noto anche al grande pubblico.

La mostra «Claudel et Rodin, la rencontre de deux destins» è aperta alla Fondation Gianadda di Martigny fino all’11 giugno 2006.

Il museo vallesano aveva già in precedenza dedicato tre retrospettive a Rodin (1984 e i disegni delle collezioni svizzere nel 1994) e Camille Claudel (1990).

Un catalogo di 497 pagine, curato da Yves Lacasse e Antoinette Le Norman-Romain è pubblicato per l’occasione: raccoglie i saggi di quattordici specialisti internazionali, presentando per la prima volta numerose lettere, fotografie e testimonianze d’epoca.

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