«Questo è un tentativo di ripartire da zero»

Un padre in fin di vita si racconta al figlio. È un vecchio deciso a chiudere il cerchio della vita con una grande risata. “La fine è il mio inizio” parla del senso della vita e della morte. Intervista a Folco Terzani.
…e se io e te ci sedessimo ogni giorno per un’ora e tu mi chiedessi le cose che hai sempre voluto chiedermi e io parlassi a ruota libera di tutto quello che mi sta a cuore, dalla storia della mia famiglia a quella del grande viaggio della vita?
È Tiziano Terzani a chiamare al capezzale il figlio Folco. Questa volta lo fa però dal grande schermo. La fine è il mio inizio, il libro testamento scritto a quattro mani che racconta il dialogo tra un vecchio e un giovane, è stato trasposto in film. 466 pagine condensate in 98 minuti di pellicola, in cui un uomo chiude un cerchio, quello della vita.
Il film parla soprattutto della morte. Non delle tante avventure di un giornalista e scrittore, ma «dell’unico zero, del punto di partenza per discutere su cosa è fondamentale nella vita», afferma nell’intervista a swissinfo.ch Folco Terzani.
swissinfo.ch: Tuo padre affermava spesso che ci sono due forme di minima immortalità: una sono i libri, l’altra i figli. Tu gli hai regalato dei nipoti, un libro e ora anche un film. Un’altra possibilità per renderlo immortale, per rendere immortali le sue idee?
Folco Terzani: (Ride) È divertente come idea. Non ci avevo pensato che aveva detto così. E hai anche ragione a dire che non è la sua immortalità ad essere importante, bensì le idee. Idee non sue e già immortali prima, ma che lui ha colto e trasmesso in un linguaggio contemporaneo, nel linguaggio di uno che ha fatto il giornalista per trent’anni.
swissinfo.ch: Rileggendo alcuni passaggi del libro “La fine è il mio inizio”, mi sono chiesto come fosse possibile trasporre in un film la miriade di messaggi di Tiziano senza disorientare completamente lo spettatore. O uno degli obiettivi era proprio quello di far vacillare alcune pseudo certezze a cui ognuno si ancora?
F.T.: Certo, lo scopo era di far vacillare le certezze e di dare un altro punto di vista. La cosa determinante è la parte finale del film in cui viene ribaltata la visione normale della morte. Di solito, si pensa a questa figura nera e tragica come a colei che stronca una vita. È invece una cosa naturalissima. Non stronca, completa una vita, se la vediamo come un cerchio. Allora la morte è quasi come un trionfo, come l’ultimo gesto di una cosa completa.
Naturalmente, non abbiamo raccontato tutti gli esempi storici. Non volevamo disorientare troppo il pubblico. Prima di arrivare all’essenza del suo messaggio, il babbo aveva il pregio di raccontare tanti fioretti, aneddoti, parabole, che lui prendeva da una vita coloratissima vissuta in Asia. Così, quando voleva illustrare qualcosa tirava fuori un esempio dalla guerra in Vietnam, dalla Cina, dall’Unione sovietica, di quando era in mezzo ai ribelli nelle Filippine. E allora la storia stessa era interessante. C’era però poi una ragione perché ce la narrava.
Noi abbiamo cercato di asciugare le storie perché non c’era proprio il tempo per raccontarle tutte. Il libro spazia su trent’anni d’Asia e di storia, il film è invece più concentrato sulla morte.
Il film è anche incentrato sul rapporto tra padre e figlio; molto più forte che nel libro. E poi c’è la natura toscana che fa da sfondo alla narrazione.
swissinfo.ch: Mentre si racconta, tuo padre ti dice che è stato tante cose, ma che alla fine non era nessuno, o forse era tutto. Ma per te, per suo figlio, chi era Tiziano Terzani?
F.T.: Questa riflessione mi piace molto. Uno fa tutte queste cose per essere qui, per essere là, per avere, ma poi alla fine non è più niente. Tutto questo sforzo per non essere nessuno.
Per me, Tiziano Terzani era mio babbo, come sono tutti i babbi.
A casa, ero abituato al livello di discussione che ha poi dato vita al libro. E la sua è stata una progressione, di cui mi sono mancati purtroppo gli ultimi anni, quando si ritirò nell’Himalaya. Al suo ritorno, mi ha colpito molto perché era cambiato profondamente. Aveva una serenità che non possedeva prima, anche di fronte alla morte.
Per il resto è semplicemente stato mio padre che mi diceva di mettermi il golf quando faceva freddo.
swissinfo.ch: Parlando della mamma, tuo padre afferma che lei costituiva una certezza attorno alla quale tutto girava, una certezza di libertà e un senso di sicurezza. E nel film, nella produzione del film quale ruolo ha avuto Angela Terzani?
F.T.: Mio babbo diceva anche che è stata il palo a cui l’elefante si fa legare con un filo di seta. Se l’elefante dà uno strattone può scappare quando vuole, ma non lo tira.
La mamma ha seguito sempre da vicino la produzione del film. Era una grande responsabilità per noi perché in fondo c’è una persona che si è espressa bene con le parole e con il cinema si rischiava di storpiare molto.
Il cinema, diceva il babbo, è un po’ come una grossa scoreggia. Fa un grosso puzzo per un momento e poi va via. E il rischio è che questo grosso puzzo in questo momento sia quello sbagliato. Per fortuna, non è sbagliato in questo film perché sono stati bravi e perché hanno permesso alla famiglia di controllare che non si sbagliasse il tiro.
La mamma non voleva far sembrare Tiziano bello, buono e bravo e nemmeno un guru. Alla fine aveva sì questo aspetto un po’ all’indiana, ma in fondo era un giornalista, un fiorentino schietto e con un forte senso dell’umorismo. Dovevamo essere attenti che queste caratteristiche fossero preservate.
Non c’era tuttavia pericolo, perché Bruno Ganz non è il tipo che va a fare una cosa new age. E infatti ha reso bene.
swissinfo.ch: Ed Elio Germano, come se l’è cavata? Ti rivedi nella sua interpretazione?
F.T.: È stato bravissimo. Anzi, ha migliorato molto il personaggio originale. Nel film lui è un non personaggio. Deve solo rispondere, reagire e basta. Eppure ha una fortissima presenza perché lui ce l’ha sempre. Gli viene dal di dentro. E Bruno si è reso conto subito, dopo un giorno o due, che aveva a che fare con un vero attore, uno che gli teneva testa.
È strano essere rappresentato da un altro. Ma mi ritrovo perfettamente in Elio. È strano da dirsi. Addirittura mi sarebbe piaciuto essere un po’ com’era lui, più preciso, più netto. Ha purificato l’essenza di quel ruolo, invece di lasciarlo nella quotidianità un po’ confusa.
swissinfo.ch: È un buon momento per questo film, per riproporre i pensieri di Tiziano Terzani?
F.T.: Perfetto. Non poteva essere migliore. Ora, è davvero perfetto. È il momento di ripensare, di ricominciare da zero. E l’unico vero zero è la morte che abbiamo evitato per moltissimo tempo e che vediamo come una cosa oscura, minacciosa e brutta. Invece non lo è proprio.
È il punto di partenza per discutere su cosa è fondamentale nella vita, su cosa è una bella vita e su cosa è importante avere fatto prima di questo appuntamento. Se vivi bene, puoi morire bene. È incominciando da un discorso sulla morte, come lo è quello del film, che ci si fanno le grosse domande e si riparte da zero. Questo è un tentativo di ripartire da zero. Un tentativo in chiave antica, ossia un dialogo tra un vecchio e un giovane.
È nato a New York nel 1969. È cresciuto fra Singapore, Hong Kong, Pechino, Tokio, Bangkok e Nuova Delhi, seguendo gli spostamenti del padre giornalista e scrittore, Tiziano Terzani (1938-2004).
Folco ha frequentato le scuole pubbliche a Pechino, si è laureato in lettere moderne a Cambridge e in cinema a New York.
Ha vissuto un anno a Calcutta, lavorando alla casa dei morenti di Madre Teresa. Da questa esperienza ha tratto il documentario “Il primo amore di Madre Teresa”. Nel 2006, ha curato il libro “La fine è il mio inizio”, il libro postumo di Tiziano Terzani.
Folco ha curato anche l’edizione “Un mondo che non esiste più”, raccolta di immagini scattate da Tiziano Terzani durante i viaggi e la mostra “Tiziano Terzani. Clic! 30 anni d’Asia” aperta fino al 29 maggio presso il Palazzo Incontro di Roma.
Il film “La fine è il mio inizio” uscirà il 15 aprile nelle sale della Svizzera italiana.
È l’adattamento per il grande schermo del libro omonimo, scritto a quattro mani da Folco e Tiziano Terzani e pubblicato nel 2006.
Il compito di tramutare il testo in immagini e suoni è stato affidato al regista tedesco Joe Baier. La sceneggiatura è stata curata da Ulrich Limmer e da Folco Terzani.
Tiziano Terzani è stato interpretato da Bruno Ganz, Folco da Elio Germano.

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