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Perché l’influenza aviaria potrebbe rappresentare una minaccia per i tipici formaggi svizzeri

epidemia
La protezione civile si esercita simulando un'epidemia di influenza aviaria a Glarona, in Svizzera, il 4 maggio 2023. Keystone/Gian Ehrenzeller

Finora le mucche svizzere sono riuscite a sfuggire all'influenza aviaria H5N1. Ma se dovesse colpire anche le mandrie da latte, i formaggi simbolo del Paese, dalla raclette al vacherin, potrebbero essere a rischio.  

La maggior parte dei formaggi svizzeri tradizionali è prodotta con latte crudo. Questo li rende più rischiosi per i consumatori e le consumatrici, soprattutto per chi ha un sistema immunitario compromesso. Il motivo è dato dal fatto che saltano il processo di pastorizzazione, che serve a uccidere batteri e virus nocivi.    

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Sebbene nel corso degli anni l’industria casearia e il governo svizzero abbiano adottato misure per ridurre al minimo i rischi per la salute derivanti dal consumo di latte non pastorizzato, noto anche come latte crudo, una nuova minaccia incombe su questo processo di produzione secolare.  

Nel marzo 2024, l’H5N1, un ceppo del virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI), letale per gli uccelli e occasionalmente fatale per l’uomo, è stato rilevato in bovini da latte negli Stati Uniti, segnando il primo caso mondiale noto nelle mucche. Sebbene i bovini infetti sviluppino in genere solo una forma lieve della malattia, l’epidemia ha sollevato l’allarme sui potenziali rischi per i lavoratori agricoli e la sicurezza alimentare. 

Influenza aviaria

A luglio di quest’anno, sono stati riscontrati casi di H5N1 in più di mille mandrie di bovini da latte in 17 Stati degli Stati Uniti e si sa che 41 lavoratori del settore lattiero-caseario sono stati infettati attraverso l’esposizione a mucche malate o infette, secondo i dati del governo degli Stati UnitiCollegamento esterno.  

La California, il maggiore produttore di latte, che rappresenta quasi un quinto della produzione nazionale, ha dichiarato lo stato di emergenza nel dicembre 2024. Quel mese, il Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti (USDA) ha emanato un’ordinanza federale, che permette di aggirare le normali procedure in caso di emergenza, imponendo che campioni di latte non pastorizzato vengano raccolti dai silos presso gli stabilimenti di lavorazione lattiero-casearia in tutto il Paese e che vengano condivisi con l’USDA per le analisi nell’ambito della sua Strategia nazionale per i test sul latte (NMTS).  

La malattia, probabilmente trasmessa dal contatto con uccelli selvatici infetti, è stata confermata dagli scienziati e dalle scienziate dell’amministrazione statunitense dopo che gli allevatori hanno notato che le mucche stavano perdendo l’appetito e producevano un latte anomalo e scolorito. Nell’aprile 2024, ricercatrici e ricercatori hanno rilevato l’influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) nel 57,5% di 275 campioni di latte crudo prelevati da mandrie nei quattro Stati interessati: Texas, Kansas, Idaho e New Mexico. Ulteriori test hanno rivelato che un quarto dei campioni conteneva il ceppo H5N1 e uno studio ha dimostrato che la pastorizzazione neutralizzava il patogeno nel latte crudo contaminato artificialmente.  

Nemmeno il formaggio ne è esente

La Food and Drug Administration (FDA) statunitense, l’agenzia federale che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, ha testato per 60 giorni anche il formaggio prodotto con latte crudo stagionato per verificare la presenza di H5N1. Su 110 campioni analizzati all’inizio del 2025, 96 sono risultati negativi e si attendono ancora i risultati per 14 campioni. Sebbene i risultati suggeriscano che il virus potrebbe non essere presente nel formaggio stagionato con latte crudo potrebbe, uno studio della Cornell University, finanziato dalla FDACollegamento esterno, ha dimostrato che può sopravvivere in alcuni formaggi stagionati se il loro livello di acidità è troppo basso.  

“Il nostro studio evidenzia i potenziali rischi per la salute pubblica derivanti dal consumo di formaggio a base di latte crudo, sottolineando la necessità di ulteriori misure di mitigazione nella produzione del formaggio per prevenire l’esposizione umana al virus”, hanno scritto gli autori in un articolo pubblicato a marzo sulla piattaforma bioRxiv, che distribuisce ricerche prima che vengano sottoposte a revisione paritaria e pubblicati formalmente.    

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Il primo studio svizzeroCollegamento esterno sul potenziale impatto dell’influenza aviaria sui prodotti a base di latte crudo è stato pubblicato a giugno di quest’anno dall’istituto di ricerca agricola Agroscope e dall’Istituto di Virologia e Immuologia (IVI). Gli scienziati hanno testato il formaggio svizzero preparato con latte crudo iniettato con il virus H5N1, il quale era stato isolato dal latte di mucche infette in Texas. Hanno scoperto che nel latte non pastorizzato il virus H5N1 può sopravvivere ai processi di caseificazione se la temperatura durante la produzione rimane inferiore a 50 °C.  

Generalmente, il latte crudo utilizzato per produrre formaggi a pasta dura ed extradura viene riscaldato a circa 51-58 °C durante la produzione, un processo che riduce la presenza di agenti patogeni, rendendo il prodotto finale più sicuro per il consumo. Tuttavia, il latte crudo utilizzato per produrre formaggi a pasta molle o semidura viene riscaldato rispettivamente a circa 35 °C e a meno di 50 °C. Le temperature di pre-coagulazione per la maggior parte dei formaggi svizzeri a latte crudo raggiungono i 57 °C per il Gruyère, i 52-54 °C per l’Emmentaler, i 43-45 °C per l’Appenzeller e i 42 °C per la Raclette. 

Anche l’acidità riduce le possibilità di sopravvivenza del virus. Lo studio della Cornell University ha dimostrato che l’agente patogeno era ancora presente nel formaggio prodotto con latte crudo iniettato con H5N1 anche dopo 60 giorni di stagionatura a livelli di pH acido fino a 5,8. Non sopravviveva invece al processo di caseificazione a un pH più acido di 5,0.  “Sia il pH che la temperatura influenzano la sopravvivenza del virus H5N1 nel formaggio a latte crudo. La completa inattivazione dipende dalla carica virale iniziale e dalla ricetta specifica di ciascun formaggio”, afferma l’autrice principale Nicole Lenz-Ajuh. 

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Ma temperatura e acidità non sono gli unici fattori che ne determinano la presenza nel formaggio acquistato dai consumatori. Anche altri parametri, come la concentrazione salina o la quantità di acqua disponibile per la crescita microbica (nota come attività dell’acqua), possono determinare se il virus attivo sopravvive alla lavorazione.  

Le condizioni esatte di produzione dei formaggi svizzeri non sono riportate sulla confezione, ma sono riportate nel disciplinare dei formaggi a Denominazione di origine protetta (DOP), come il Gruyère. Per altre varietà, i consumatori devono contattare il produttore.  

Switzerland Cheese Marketing monitora la situazione, ma avverte i consumatori e le consumatrici di non trarre conclusioni affrettate sulla base di uno studio sperimentale condotto in condizioni di laboratorio. 

“Seguiamo da vicino gli sviluppi scientifici e siamo in contatto costante con istituti di ricerca e autorità”, afferma la portavoce Desiree Stoker. “Per i consumatori, vale ancora quanto segue: il consumo di formaggio svizzero, anche quello prodotto con latte crudo, è generalmente sicuro”.  

Contattato da Swissinfo, l’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria (USAV) ​​ha risposto di essere a conoscenza dello studio, ma di non vedere ancora la necessità di adottare misure preventive, poiché al momento non è stato documentato alcun caso di H5N1 nelle mucche da latte in Svizzera.   

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L’attenzione potrebbe intensificarsi qualora venissero segnalati focolai in numerosi allevamenti avicoli situati nei pressi di aziende con mucche da latte, avverte Barbara Wieland, direttrice dell’Istituto di virologia e immunologia di Mittelhäusern e Berna

“La probabilità che qualcosa del genere accada in Svizzera è pari a zero al momento, perché ci vuole una pressione infettiva molto elevata perché il virus raggiunga le mucche”, afferma. “Attualmente non c’è influenza nel pollame svizzero, mentre negli Stati Uniti centinaia di milioni di polli e uccelli selvatici sono morti prima che le mucche venissero infettate”.    

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La Svizzera ha anche un vantaggio fondamentale che manca agli Stati Uniti: un sistema di analisi e monitoraggio del latte ben collaudato. Nell’ambito del programma di garanzia della qualità del latte dell’industria lattiero-casearia svizzera, ogni azienda agricola viene sottoposta a test due volte al mese per la mastite, un sistema che potrebbe essere facilmente esteso anche al rilevamento dell’influenza aviaria, se necessario, afferma Wieland. 

C’è anche un altro motivo per cui bisogna essere cauti nell’estrapolare dati dall’esperienza dell’industria lattiero-casearia statunitense: il diverso comportamento del ceppo americano H5N1 rispetto agli altri.  

“Abbiamo potuto osservare differenze tra i virus utilizzati nello studio svizzero sull’influenza aviaria”, afferma Wieland. “Il ceppo americano si è comportato in modo molto diverso dagli altri, il che significa che è difficile trarre conclusioni generalizzate sulla sopravvivenza dei virus nei prodotti lattiero-caseari e i ceppi virali locali dovranno essere rivalutati”.  

Pertanto, sebbene l’influenza aviaria non sia ancora stata identificata nelle vacche da latte svizzere e il protocollo di analisi del latte potrà tornare utile in caso di contagio, restano comunque molte incognite per quanto riguarda il potenziale impatto sul settore caseario svizzero. Dopo due anni di esportazioni mediocri, il settore è appena tornato a festeggiare nel 2024, registrando un aumento del 5,3% del valore delle esportazioni rispetto al 2023, attestandosi a 748,5 milioni di franchi svizzeri (circa 929 milioni di dollari).  

L’annuncio del presidente americano Donald Trump, il 1° agosto (in vigore dal 7 agosto), di una tariffa del 39% sulle importazioni di prodotti svizzeri, più elevata del previsto, minaccia però di far deragliare la ripresa: l’11% delle esportazioni di formaggio svizzero è destinato agli Stati Uniti, e la quota di Gruyère è di addirittura un terzo. L’ultima cosa che l’industria desidera è un’epidemia di influenza aviaria tra gli allevamenti di bovini da latte svizzeri. 

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Articolo a cura di Nerys Avery/ds 

Tradotto con il supporto dell’IA/MaMi

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