Le banche svizzere mirano al mercato israeliano

A lungo assenti, le principali banche elvetiche sono ora ben insediate nella città israeliana. Il fenomeno è sintomatico dell'importanza crescente di Tel Aviv sul mercato finanziario mondiale.
L’UBS e il Credit Suisse sono nettamente in testa agli istituti elvetici attivi nell’area della grande Tel Aviv dei capitali che ammontano a decine o addirittura a centinaia di milioni di dollari. A cosa è dovuto questo improvviso interesse? Che fattori spingono i banchieri zurighesi e ginevrini ad adocchiare Tel Aviv?
Jacques Bendelac, economista, ricercatore in scienze sociali, autore di diverse opere di riferimento, ha una spiegazione. “L’economia israeliana ha attraversato la crisi mondiale praticamente indenne. Ha un fortissimo potenziale di crescita che attira gli investitori stranieri, in particolare nei settori dell’alta tecnologia, delle energie rinnovabili, della chimica e della farmaceutica”, afferma.
“L’high tech è il cuore dell’economia israeliana. Non si deve poi dimenticare nemmeno l’industria diamantifera, fra le prime a livello mondiale”, aggiunge.
Circa il successo delle banche svizzere in Israele, secondo Bendelac è dovuto a “una gestione patrimoniale molto personalizzata e alla discrezione. È inoltre legato al finanziamento del commercio estero, dei grandi lavori infrastrutturali e in subappalto”.
Grazie ai loro legami con le principali piazze finanziarie internazionali, gli istituti elvetici agevolano la raccolta di capitali ed evitano costi di delocalizzazione.
Una moneta forte
“Lo shekel è il riflesso della buona salute di cui gode l’economia del paese”, assicura Jacques Bendelac. La moneta israeliana dall’inizio dell’anno si è ulteriormente rafforzata nei confronti dell’euro, del dollaro e del franco. Le riserve monetarie di Israele si avvicinerebbero ai 60 miliardi di dollari: una cifra record dalla creazione dello Stato ebraico nel 1948.
Il ricercatore evidenzia però anche le sacche di povertà, in particolare nelle piccole città eufemisticamente chiamate “di sviluppo”. Le disuguaglianze sociali qui si accentuano. Certe fasce della popolazione fra le più sfavorite nella società dei consumi (famiglie monoparentali, famiglie numerose, disoccupati, ebrei ultraortodossi, minoranze arabe…) non hanno accesso al paniere della prosperità.
“Ciò non toglie che l’economia israeliana sia una delle più affidabili al mondo”, aggiunge. In proposito rileva che “l’impatto della politica e del militare sull’economia del paese diventa sempre più marginale. La guerra a Gaza non ha minimamente diminuito le esportazioni. All’estero si pensa spesso che la situazione politico-militare influisca o influirà a lungo termine sullo sviluppo economico del paese. Ma si tratta di esagerazioni. I diagrammi della crescita economica dimostrano il contrario”.
Nicolas Lang, direttore dell’ufficio di rappresentanza del Crédit Agricole Suisse, l’ultima banca elvetica in ordine cronologico ad avere aperto le porte, due anni fa, a Tel Aviv, stila un bilancio quasi identico. “Nonostante la crisi, Israele ha chiuso il 2009 con una leggera crescita del prodotto interno lordo (Pil). Il Tesoro e la Banca centrale hanno corretto al rialzo le previsioni per il 2010. Ora calcolano una progressione del Pil fra il 3,5 e il 4%”, rammenta.
Pur giudicandolo ancora troppo elevato, Lang sottolinea che il tasso di disoccupazione, che alla fine del 2009 era del 7,7% è inferiore a quello medio dei paesi dell’OCSE (8,2%).
“Gli investimenti stranieri in Israele hanno raggiunto dei picchi nell’ultimo trimestre 2009”, precisa. Nel solo mese di novembre, la Borsa di Tel Aviv ha registrato un flusso di oltre 580 milioni di dollari di investimenti di non residenti (fra cui 330 milioni provenienti da investitori non istituzionali).
Diversificazione
In più c’è un fattore suscettibile di dare nuove prospettive economiche. “L’anno scorso, sono state scoperti importanti giacimenti di gas al largo della costa nel nord del paese”, rileva Nicolas Lang. Una scoperta che in futuro alleggerirà la bolletta energetica di Israele e che lo renderà meno dipendente dalle importazioni.
La locomotiva dell’economia israeliana resta comunque l’high tech, sottolinea Lang. Quasi tutti i leader mondiali delle nuove tecnologie sono presenti in Israele, soprattutto perché c’è una manodopera molto qualificata. Nicolas Lang si rammarica però delle “vendite di start up a grandi gruppi internazionali che hanno impedito a queste società locali di diventare le Microsoft o le Apple di domani”.
Gli investitori israeliani negli ultimi anni si sono resi conto che si erano esposti eccessivamente sul proprio mercato. “Non è raro, infatti, per un investitore israeliano avere tutti gli averi – immobiliari, industriali e finanziari – unicamente in Israele”, dice Lang.
Rispondendo al bisogno di diversificazione di questi uomini d’affari, gli istituti bancari elvetici si estendono nello Stato ebraico.
Serge Ronen, Tel-Aviv, swissinfo.ch
(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)
Principali società svizzere insediate nello Stato ebraico:
Crédit Suisse
UBS
UBP (Union Bancaire Privée)
Crédit Agricole Suisse
Banque Safra Suisse
Zurich Insurance Company
ABB Technology Ltd
Novartis
Roche
Nestlé
Mövenpick
Per attirare la clientela israeliana e integrarsi meglio nel mercato israeliano, il Crédit Agricole Suisse non ha solo aperto un ufficio di rappresentanza a Tel Aviv.
Ha pure reclutato un gruppo di professionisti che parlano la lingua ebraica, per servire la clientela israeliana dagli uffici di Ginevra.
Nato nel 1956, Jacques Bendelac ha conseguito il dottorato in economia all’università di Parigi.
Trasferitosi a Gerusalemme nel 1983, esercita le professioni di economista, docente e ricercatore.
Ha insegnato economia in università francesi e israeliane.
Oltre ad articoli e lavori di ricerca sulle economie israeliana e palestinese, ha pubblicato numerosi libri su questi temi.
Fra le sue opere si ricordano: “Les Fonds extérieurs d’Israël: La fin de l’Israël connection?” (1982), “L’économie palestinienne: De la dépendance à l’autonomie” (2000), “Israël à crédit” (2000), “La Nouvelle Société israélienne” (2006), “Les Arabes d’Israël: Entre intégration et rupture” (2008).

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