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Perché grandi aziende temono l’iniziativa per multinazionali responsabili

una donna con una pala in spalla, in mezzo a una miniera di rame.
Poche aziende sanno esattamente da dove provengono tutti i loro prodotti, per non parlare delle condizioni per le persone che li producono o li estraggono. Keystone / Nyein Chan Naing

Le grandi multinazionali in Svizzera hanno respinto quasi all'unanimità l'iniziativa per rendere le imprese più responsabili delle proprie azioni anche all'estero. Di cosa hanno paura?

In una lettera pubblicata la settimana scorsa, 15 membri del consiglio di amministrazione di grandi multinazionali con sede in Svizzera hanno esortato il popolo svizzero a votare contro la cosiddetta “Iniziativa per imprese responsabiliCollegamento esterno – a tutela dell’essere umano e dell’ambiente” il 29 novembre. In un’intervista al quotidiano ginevrino Le Temps, il presidente del consiglio di amministrazione del produttore svizzero di cemento LafargeHolcim ha definitoCollegamento esterno “una gigantesca assurdità” le richieste dell’iniziativa. Dal canto loro, i membri del consiglio di amministrazione di Novartis e di Nestlé hanno dichiarato di temere un’ondata di cause legali, che li porterebbe a riconsiderare gli investimenti nei paesi ad alto rischio, se essa fosse approvata.

La ragione della loro preoccupazione è la clausola di responsabilità legale prevista dall’iniziativa che consentirebbe a un individuo di citare in giudizio una società per violazione dei propri diritti. Tuttavia, l’iniziativa offre alle aziende una via di fuga. Il testo precisa che le aziende non sono ritenute responsabili, “se dimostrano di aver usato tutta la diligenza richiesta” per la garanzia del rispetto dei diritti umani e dell’ambiente.

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“Le aziende responsabili non hanno nulla da temere, anzi hanno tutto da guadagnare da una tale legislazione”, dice Johannes Blankenbach del Business & Human Rights Resource Centre, una ONG di ricerca che analizza l’impatto di 10’000 aziende in tutto il mondo.

Alcuni esperti di diritto sostengono che le imprese possono già essere ritenute responsabili per danni compiuti all’estero secondo il diritto svizzero vigente e che l’iniziativa porta maggiore chiarezza in materia. Inoltre, tutte le grandi multinazionali in Svizzera si sono impegnate a favore dei diritti umani e dell’ambiente e hanno politiche e pratiche a sostegno di tale impegno. Perché sono così nervose?

Cos’è “sufficiente”?

Yann Wyss, responsabile per Nestlé in materia di diritti umani, afferma che permettere all’azienda di dimostrare di aver usato la dovuta diligenza per evitare i rischi non attenua le sue preoccupazioni in materia di responsabilità. “Si possono mettere in atto politiche rigorose, ma non si può mai essere sicuri al 100% di come si comportano le persone. Non possiamo correre questo rischio”.

A ciò ha fatto eco un dirigente di uno dei maggiori operatori finanziari di materie prime che ha detto che la società sa dove sono i suoi rischi, ma “qualunque cosa faremo non sarà mai abbastanza”.

Altre aziende condividono queste preoccupazioni, affermando che la definizione di “abbastanza” non è chiara. Nel 2011, dopo oltre cinque anni di discussioni, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità i Principi guidaCollegamento esterno dell’ONU. Essi affermano che non spetta solo ai governi proteggere i diritti umani; anche le aziende hanno una responsabilità nelle loro operazioni e in tutta la catena di fornitura.

Questi principi chiedono alle aziende di individuare, prevenire e attenuare i propri rischi, ma non stabiliscono ciò che è “sufficiente” per liberarle dalla responsabilità.

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Non è mai stata questa l’intenzione, spiega Nicolas Bueno, ricercatore di diritto dell’Università di Zurigo. L’obiettivo dei Principi era invece quello di ridurre i rischi relativi ai diritti umani e di prevenire le violazioni.

Secondo Mladen Stojiljković, avvocato internazionale in materia di contenziosi e arbitrato presso lo studio legale Vischer di Zurigo, le società svizzere possono già essere ritenute responsabili legalmente per le loro azioni all’estero sulla base dei quattro elementi di responsabilità legale (danno, illecito, nesso di causalità, errore) contenuti nell’articolo 41 del Codice delle obbligazioniCollegamento esterno. Alcuni studiosi di diritto interpretano anche l’articolo 55 come base per definire la responsabilità legale delle imprese per le azioni di ampio spettro di partner all’interno della catena di fornitura.

Tuttavia, tutto ciò è giuridicamente complesso perché il “torto legale” è normalmente definito dalla legge nel luogo in cui si è verificata l’azione. Ma, in questi casi, la legge locale potrebbe non considerare le azioni illegali o le persone potrebbero non avere accesso alla giustizia. L’iniziativa per imprese responsabili (IIR) vuole definire per tali situazioni un modello più rigoroso, ovvero un modello svizzero o internazionale.

I sostenitori e i critici dell’IIR dibattono se l’iniziativa creerà una nuova legge o se si limiterà a chiarire la legge esistente. Stojiljković afferma che “la verità sta probabilmente nel mezzo, perché non c’è un precedente, nessun tribunale svizzero ha stabilito che le imprese sono perseguibili in base al diritto svizzero per le loro azioni all’estero che comportano violazioni dei diritti umani e dell’ambiente”.

Alcuni hanno sostenuto che l’onere della prova è invertito per l’intero processo, cosa che secondo Stojiljković non avviene.

La responsabilità legale che l’iniziativa propone non richiede la prova della colpa, in modo che “non vi sia anche l’inversione dell’onere della prova. D’altra parte, il fatto che le aziende possano dimostrare di non avere colpa [attraverso l’obbligo di diligenza], può essere considerato come un’inversione di tendenza. Entrambe le parti hanno un’argomentazione”.

Preoccupati per le lacune

Sibylle Baumgartner di Focusright, una società con sede a Zurigo che fornisce consulenza alle aziende su questi temi, ha affermato che l’obbligo di diligenza – il tracciamento di ciò che accade lungo tutta la catena di fornitura – è astratto per alcune imprese.

Come decidere quali fornitori sottoporre a verifica? Si dovrebbe dare priorità alle questioni relative al lavoro minorile o alla lotta alla discriminazione sul posto di lavoro? Cosa succede quando un modello di business si basa sulla vendita di farmaci costosi o sul commercio di combustibili fossili, che per loro natura comportano dei rischi?

I Principi delle Nazioni Unite offrono una guida, ma rimangono delle lacune. Ciò significa che potrebbe emergere un rischio che un’azienda non aveva previsto. Le imprese sono preoccupate proprio a causa di queste lacune e del potenziale rischio legale.

“Bisogna iniziare laddove ci sono le più gravi violazioni dei diritti umani”, dice Baumgartner. Per esempio, se si acquista cobalto da commercianti internazionali, si deve presumere che provenga dal Congo, dove sono noti problemi di lavoro minorile nelle miniere”.

Sibylle Baumgartner aggiunge che non è più sufficiente, presso il “tribunale” dell’opinione pubblica, che le aziende dicano di non essere state consapevoli. Ma poche grandi aziende possono ritracciare i loro prodotti fino alla fonte.

Nestlé compra da sei milioni di agricoltori ogni giorno. “Se vuoi conoscere i tuoi rischi, devi sapere da dove provengono le materie prime”, dice Yann Wyss. Nestlé sa da dove proviene il 70% della merce, ma non c’è la certezza che sarà mai in grado di risalire al 100% alla fonte.

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Questione di fiducia

La forte opposizione all’iniziativa da parte delle aziende dice qualcosa sulla loro fiducia – o sulla loro mancanza di fiducia – rispetto ai loro sforzi in materia di responsabilità, dice Florian Wettstein, professore di etica aziendale all’Università di San Gallo.

“Le aziende dicono di essere allineate ai Principi delle Nazioni Unite, ma molti sanno che non stanno facendo ciò che dovrebbero in materia di obbligo di diligenza”, dice, pur riconoscendo che “è un compito difficile”.

Uno studio commissionato dal governo elveticoCollegamento esterno nel 2018 ha rilevato che solo il 20% di circa 130 aziende svizzere faceva valutazioni approfondite dei propri rischi.

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Responsabili ma non perseguibili

Le aziende sono a disagio anche per il fatto che, ai sensi dell’iniziativa per imprese responsabili, potrebbero essere ritenute responsabili per le azioni di terzi. L’emendamento costituzionale proposto afferma che le imprese sarebbero perseguibili solo per gli abusi commessi da entità sotto il loro controllo economico, ma non è chiaro cosa questo significhi.

Sibylle Baumgartner, che ha lavorato presso l’agenzia di viaggi Kuoni e il rivenditore svizzero Coop prima di fondare la Focusright, afferma che “le aziende non raggiungeranno le miniere o le fattorie, dove ci sono i veri problemi, controllando gli importatori”. A volte ci sono quattro o cinque livelli tra la multinazionale e la miniera. L’obiettivo non è quello di controllare l’intera catena, ma di trovare il modo di aumentare la loro influenza. È qui che sta il problema”.

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I promotori dell’iniziativa per imprese responsabili hanno riconosciuto questo problema e hanno cercato di restringere l’ambito della responsabilità nel testo sottoposto agli elettori. Florian Wettstein, che fa parte del comitato che ha lanciato l’iniziativa, dice che le aziende “non saranno citate in giudizio per le azioni di un piccolo coltivatore di cacao in Costa d’Avorio, ma lo saranno se non si preoccuperanno di garantire che il loro fornitore diretto rispetti i diritti umani. Non è irragionevole aspettarsi questo da un’azienda”.

Un portavoce di ABB ha detto a swissinfo.ch che l’azienda “si aspetta che tutti coloro che lavorano per ABB, direttamente come dipendenti o indirettamente nella nostra catena di fornitura, rispettino i diritti umani di ogni singolo individuo”.

Anche Roche ha affermato che l’azienda ha una “grande responsabilità” nei confronti della stretta osservanza delle norme di legge e degli standard etici e fa rispettare le sue politiche in tutto il mondo, sia nelle filiali, sia nei rapporti con i fornitori.

Molte aziende sono comunque preoccupate per la differenza che intercorre tra responsabilità e responsabilità legale. Non sono inoltre convinte che il concetto di controllo limitato dell’iniziativa sarà effettivamente applicato.

“Il concetto di imputabilità è un’altra cosa: è una responsabilità legale per ciò che accade nella catena di fornitura dell’azienda”, afferma Yann Wyss di Nestlé.

“Ci sentiremmo più a nostro agio se la formulazione dell’iniziativa fosse limitata ai nostri fornitori di primo livello. Abbiamo un rapporto contrattuale con 150’000 fornitori e abbiamo una clausola nei contratti che prevede che essi rispettino le nostre politiche. Li controlliamo ogni anno”, aggiunge Yann Wyss.

Nestlé sta già affrontando una causa legale da parte di un gruppo di ex schiavi bambini in Costa d’Avorio. I querelanti sostengono che la consociata americana di Nestlé e altre aziende produttrici di cioccolato avrebbero aiutato e favorito la schiavitù infantile acquistando consapevolmente cacao prodotto con tale manodopera. Nestlé ha dichiarato che sta affrontando il caso e si è adoperata per combattere il lavoro minorile nella produzione di cacao.

Alternativa sdentata

I sostenitori dell’iniziativa per imprese responsabili affermano che il suo obiettivo non è quello di far sborsare alle aziende denaro per le cause legali e per il risarcimento delle vittime. L’obiettivo è in primo luogo quello di assicurarsi che gli abusi non si verifichino.

Secondo Florian Wettstein, sulla base di esempi di altri paesi, come il Regno Unito, che richiedono alle aziende multinazionali di riferire sugli sforzi fatti per prevenire la schiavitù, è chiaro che “se non ci sono sanzioni, poche aziende faranno qualcosa”. Dubita che qualcosa cambierà se la controproposta, che non include conseguenze legali, sarà approvata.

Johannes Blankenbach è d’accordo. “Senza responsabilità legale, senza denti, non ci sarà un vero e proprio campo di gioco alla pari, poiché i requisiti nei confronti delle aziende potranno essere elusi troppo facilmente nella pratica”.

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L’UE sta per emanare leggi che vanno oltre quanto inscritto nella controproposta. Florian Wettstein dice che “se la Svizzera non adotterà l’iniziativa, saremo già in ritardo”.È difficile sapere se ci sarà una marea di cause legali nel caso in cui l’iniziativa passerà. L’avvocato Mladen Stojiljković, specializzato in controversie internazionali e arbitrato, afferma che “la Svizzera non è un paese molto conteso. L’onere della prova che un querelante deve soddisfare è elevato”. È anche difficile ottenere l’accesso alle prove in possesso della parte avversa”. Questo rende molto complicato provare la colpa nei tribunali svizzeri.

Il ricercatore Nicolas Bueno giudica che “se ci fosse davvero un profluvio di cause legali, significherebbe che le aziende svizzere hanno un problema molto grande con i diritti umani”.

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Traduzione dall’inglese: Mattia Lento

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