
In che modo è tutelata l’indipendenza della Banca nazionale svizzera in confronto a quella degli Stati Uniti?

A differenza degli Stati Uniti, l’indipendenza della Banca nazionale svizzera (BNS) è sancita nella Costituzione. Da dove nasce l’idea di indipendenza della banca centrale? E com’è attuato questo principio negli altri Stati?
Il presidente americano Donald Trump esprime chiaramente ciò che pensa sulle decisioni della Federal Reserve System (FED), la banca centrale degli Stati Uniti. Non solo esercita pressioni attraverso l’opinione pubblica, ma ha anche nominato Steve Miran, uno dei suoi più stretti consiglieri economici, come uno dei sette governatori della FED.
Molti esperti sono preoccupati del comportamento di Trump. “Così si mina il principio dell’indipendenza della banca centrale”, spiega a Swissinfo la professoressa Carolina Garriga dell’Università dell’Essex. “Ma, ahimé, questo modo di fare è esattamente in linea con altri comportamenti che minano altre istituzioni e principi democratici e tecnocratici”.
D’altronde, se la Costituzione degli Stati Uniti sancisce l’indipendenza della magistratura, non dice invece nulla sull’indipendenza della banca centrale.
Da dove nasce l’idea di garantire l’indipendenza della banca centrale?
L’indipendenza della banca centrale è un concetto recente, nato in risposta alle spinte inflazionistiche dopo la fine del sistema di Bretton Woods. Il principio dell’indipendenza delle banche centrali ha preso piede nel corso degli anni 1880 e 1990. In Svizzera, l’indipendenza della BNS dal 1999 è sancita anche nella Costituzione.
Hans Kuhn è giurista e dal 2001 al 2014 è stato a capo del servizio giuridico della BNS. “Negli anni Ottanta molte banche centrali erano ancora di fatto dipartimenti dei ministeri delle finanze, mentre vent’anni dopo la maggior parte aveva assunto una struttura più o meno indipendente”, spiega Kuhn.
Perché questa evoluzione? La spiegazione risiede nei risultati della ricerca economica. Kuhn precisa: “Numerosi studi economici hanno dimostrato empiricamente la correlazione negativa tra l’indipendenza delle banche centrali e l’inflazione”. In altre parole: le banche centrali indipendenti sono chiamate garantire la stabilità dei prezzi, senza curarsi dei governi che potrebbero essere indotti a compiere scelte a breve termine sotto la spinta delle contingenze politiche.
È anche quanto ribadisce Ana Carolina Garriga in un recente articolo scientifico.
Quanto è realmente diffusa l’indipendenza delle banche centrali?
I dati comparativi di GarrigaCollegamento esterno sull’indipendenza delle banche centrali mostrano la grande variabilità di questo principio da uno Stato all’altro. Secondo Garriga, Paesi come l’India, ma anche il Giappone e l’Australia, hanno banche centrali che non erano de jure indipendenti alla fine del 2023.
In Bielorussia, Venezuela e Turkmenistan, ma anche in Stati democratici come l’Ecuador, Garriga ha rilevato “significative restrizioni” dell’indipendenza dall’inizio del millennio. Secondo le sue ricerche, l’indipendenza delle banche centrali ha subito erosioni anche in Cina e Indonesia.
L’indipendenza delle banche centrali è contraria alla democrazia?
Sotto la spinta di quanto accade negli Stati Uniti, si levano più forti le voci di coloro che affermano che l’autonomia delle banche centrali è antidemocratica.
Una di queste è la politologa teorica Leah Downey. A suo avviso, l’idea che l’indipendenza delle banche centrali porti alla stabilità dei prezzi è assai discutibile. Le prove empiriche a sostegno di tale ipotesi sarebbero “più contrastanti di quanto generalmente si ammette”. La base dei dati degli studi più citati sarebbe limitata. Inoltre, secondo Downey, gli argomenti a favore dell’indipendenza implicano, secondo logica, che “la politica monetaria sia un ambito a sé stante” diverso da qualsiasi altro. Per Downey, la complessità della politica monetaria non è un motivo valido per “concedere agli esperti l’autonomia su questo ambito politico”.
A lungo termine, secondo Downey, l’indipendenza della banca centrale mina “la salute della democrazia”. A suo avviso, la politica monetaria dovrebbe continuare a essere “condotta da una banca centrale con molti esperti e rappresentanti di interessi”, ma “sotto il controllo attivo del potere legislativo”.
Downey ritiene comunque che il comportamento di Trump sia “chiaramente non democratico”. Se Trump volesse democratizzare la politica monetaria, porterebbe la questione davanti al Congresso, secondo Downey.

Questa centralizzazione del potere nelle mani di una singola persona è anche in contrasto con la Costituzione. Downey ricorda che “i padri della Costituzione degli Stati Uniti hanno espressamente attribuito il potere in materia di bilancio e il potere di coniare e regolare la moneta al Legislativo e non all’Esecutivo”.
Qual è la situazione in Svizzera?
Negli Stati Uniti l’indipendenza della FED è disciplinata a livello di legge. In Svizzera, nella primavera del 1999, quasi il 60% delle cittadine e dei cittadini ha approvato la nuova Costituzione federale, accettando così, consapevolmente o inconsapevolmente, anche l’indipendenza della BNS. L’articolo 99 stabilisce che la BNS “in quanto banca centrale indipendente, conduce una politica monetaria nell’interesse generale del Paese” e che “è amministrata con la collaborazione e sotto la vigilanza della Confederazione”.
In Svizzera ogni modifica costituzionale è sottoposta al voto del Popolo. Pertanto, in caso di cambiamento della situazione politica, sarebbe più difficile per il Consiglio federale e il Parlamento mettere in discussione l’indipendenza della banca centrale rispetto agli Stati Uniti. L’economista Ernst Baltensperger, interpellato in merito, parla di un “ostacolo molto più grande dal punto di vista della democrazia”. Ritiene però ancora più decisivo il fatto che, secondo lui, in Parlamento e nella popolazione sia radicata l’idea che la banca centrale debba essere indipendente.
In Svizzera, un Consiglio di banca composto da 11 membri sorveglia e controlla l’operato della Banca nazionale. La BNS è una società per azioni i cui azionisti di maggioranza sono i Cantoni. Cinque membri del Consiglio di banca sono eletti dall’Assemblea generale, sei dal Consiglio federale. I membri del Consiglio di bancaCollegamento esterno devono provenire dal mondo scientifico, economico e politico e disporre di competenze in economia.
Attualmente ne fanno parte, ad esempio, un professore di finanza e la presidente del più grande sindacato svizzero. In qualità di organo di vigilanza, il Consiglio di banca propone al Consiglio federale i nuovi membri della Direzione generale in caso di sostituzione. Il Consiglio federale li elegge poi per un mandato di sei anni, più lungo di una legislatura parlamentare.

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La BNS è un pilastro della democrazia?
La BNS è quindi un’istituzione della democrazia svizzera? Secondo l’ex responsabile del servizio giuridico della BNS, Hans Kuhn, “l’articolo 99 della Costituzione conferisce un potere enorme. Tuttavia, l’attuazione è disciplinata dalla legge. È previsto un obbligo di rendiconto. Si tratta di un campo di tensione che deve essere compreso e bilanciato”.
Ma, soprattutto, secondo Kuhn, l’indipendenza della BNS è “ampiamente accettata e rispettata”: «il rispetto è grande, a volte troppo; percepisco quasi troppa cautela, perché non si comprende bene la materia».
Tuttavia, nel Parlamento svizzero vengono costantemente presentati interventi che riguardano la BNS. Alla fine del 2024, l’organizzazione padronale economiesuisse ha presentato la sua analisi “Un vento di Trump soffia sulla Svizzera”. Vi si legge che dal 2014 tutti i partiti politici hanno presentato interventi parlamentari riguardanti la BNS, ma la maggior parte proveniva dalla sinistra. Circa il 15% degli interventi parlamentari ha riguardato il mandato della BNS, mentre poco meno di un terzo ha riguardato l’utilizzo del bilancio. economiesuisse non è in grado di indicare quanti di questi interventi parlamentari siano andati a buon fine.
Hans Kuhn ha un punto di vista differenziato in merito alle discussioni in Parlamento e nell’opinione pubblica su come utilizzare gli utili della BNS: “Non è vietato riflettere sulla Banca nazionale. Ma non ci devono essere interferenze per quanto riguarda il suo mandato fondamentale”. Se i deputati pretendessero di intervenire sui tassi di interesse, la questione sarebbe delicata.
“Rispetto agli Stati Uniti, la BNS come istituzione è solida e duratura”, afferma Kuhn. Ad esempio, la FED non ha un consiglio di banca che propone i candidati. In Svizzera, se un governo si mettesse in testa di sostituire i dirigenti della BNS per disaccordi, ciò avverrebbe solo lentamente.
Quali conseguenze può avere a livello internazionale l’evoluzione negli Stati Uniti?
“Negli Stati Uniti questo può accadere in modo relativamente rapido”, afferma Kuhn. Anche perché le convenzioni sociali vengono ignorate: “Gli attori politici che non si sentono vincolati alle convenzioni sociali possono facilmente infliggere danni a strutture già fragili”. Kuhn ritiene che Steve Miran, a differenza degli altri due governatori della FED nominati da Trump, non disponga delle necessarie competenze economiche, peraltro richieste dalla legge.
Secondo Hans Kuhn è difficile fare previsioni sulle ripercussioni delle azioni di Trump, ma ha “fiducia che prevalga il buon senso”. Ritiene che molti paesi si atterranno al principio dell’indipendenza della banca nazionale. Gli dà speranza il fatto che anche nel campo della politica doganale gli altri Stati non ricorrano a misure di ritorsione. Donald Trump non è il primo capo di governo a esercitare pressioni sulla banca nazionale. Ad esempio, è quanto aveva fatto nel 2013 Shinzo Abe con la Banca del Giappone.
Tuttavia, se il governo degli Stati Uniti esercita pressioni sulla FED, ciò ha una dimensione economica globale. “Il dollaro è la valuta di riferimento mondiale”, afferma Kuhn, “se il valore di riferimento crolla, il rischio è elevato”.
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Articolo a cura di David Eugster
Traduzione di Adriano Bazzocco

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