
L’agricoltura svizzera come moneta di scambio con gli USA?

La Svizzera continua a trattare per ridurre i dazi del 39% imposti dagli Stati Uniti. L’UE ha ottenuto una tariffa più bassa anche facendo concessioni su certe importazioni alimentari.
Il tradizionale brunch del primo agosto in fattoria quest’anno ha lasciato un gusto amaro in bocca, con l’annuncio da parte della Casa Bianca di dazi del 39% sulle importazioni di prodotti svizzeri negli Stati Uniti.
Le tariffe renderanno i già costosi prodotti svizzeri ancora più cari per i consumatori statunitensi e influenzeranno le vendite di prodotti di fascia alta come formaggi svizzeri, orologi o macchinari.
Sollevano anche la questione di quali concessioni la Confederazione possa mettere sul tavolo per placare l’amministrazione Trump, che accusa la Svizzera di avere un surplus commerciale con gli Stati Uniti. Una delle opzioni potrebbe essere la riduzione dei dazi sui prodotti agricoli statunitensi venduti in Svizzera. Questo significherebbe più prodotti americani in Svizzera e, potenzialmente, standard inferiori in termini di qualità e benessere animale.
“I dazi generalizzati del 39% sulle importazioni di prodotti svizzeri annunciati dal Governo statunitense stanno colpendo duramente l’industria casearia. L’attuale aliquota del 10% sarà quasi quadruplicata, con gravi conseguenze per le esportazioni,” afferma Désirée Stocker, portavoce di Switzerland cheese marketing.
L’associazione lattiero-casearia svizzera Swissmilk ha confermato che i consumatori americani dovranno pagare di più per il Gruyère. “Attualmente, circa 8’000 tonnellate di formaggio svizzero vengono esportate negli Stati Uniti. I dazi all’importazione statunitensi porteranno a un aumento dei prezzi sul mercato americano, il che potrebbe avere un impatto sulle vendite”, afferma la portavoce Christa Bruegger.
Dazi svizzeri
Il Gruyère viene venduto negli Stati Uniti a un prezzo medio di 50 franchi al chilo, più del doppio rispetto al costo in Svizzera. Con l’applicazione del dazio, il prezzo salirebbe a circa 65 franchi al chilo, il che significa che ne verrà venduto meno.
Il problema è aggravato dal fatto che il Gruyère non è una denominazione protetta negli Stati Uniti, e i consumatori americani possono acquistare Gruyère prodotto localmente a prezzi più bassi, oppure formaggi etichettati come Gruyère provenienti da altri Paesi europei soggetti a dazi inferiori.
L’Unione Europea, che ha negoziato dazi statunitensi molto più bassi (15%), ha concesso riduzioni tariffarie su alcuni prodotti alimentari americani importati. Tra questi figurano dazi ridotti su quote specifiche di prodotti come frutti di mare, frutta secca, latticini, frutta e verdura fresca e trasformata, alimenti lavorati, cereali e sementi, olio di soia, carne di maiale e di bisonte. Tuttavia, ha escluso dalla trattativa prodotti agricoli sensibili come manzo, pollame, riso ed etanolo.
La Svizzera può offrire lo stesso tipo di concessioni per placare Trump e negoziare un accordo migliore per sé? Il centro di sutdi liberale svizzero Avenir Suisse ne è convinto. “Chi chiede condizioni di commercio eque a Washington non dovrebbe ignorare le proprie barriere,” si legge in una recente analisiCollegamento esterno su ciò che la Svizzera dovrebbe fare per rimanere credibile nella politica economica.
Secondo i dati doganali, nel 2024 la Svizzera ha esportato prodotti agricoli verso gli Stati Uniti per un valore di 1,59 miliardi di franchi, più di cinque volte il valore delle importazioni svizzere di prodotti agricoli statunitensi.
Uno dei motivi di questo squilibrio commerciale è l’elevato livello dei dazi che la Svizzera impone sui prodotti agricoli importati, che può superare il 100% per alcuni articoli come formaggi, carne o verdure.
“Nel 2024, la tariffa media ponderata sul commercio agricolo [il totale dei ricavi da dazi diviso per il valore totale delle importazioni] era pari al 21,3% – quasi 2,5 volte superiore rispetto all’UE e cinque volte rispetto agli Stati Uniti”, afferma Michele Salvi, vicedirettore di Avenir Suisse.
Al contrario, i dazi medi svizzeri sui prodotti non agricoli sono trascurabili, pari solo allo 0,6%. Secondo Salvi, questo squilibrio indebolisce la posizione negoziale della Svizzera. Sostiene che i dazi agricoli svizzeri dovrebbero essere inclusi nelle trattative, soprattutto considerando che i prodotti agricoli rappresentavano solo circa il 3,5% delle esportazioni svizzere di beni nel 2024.
Margine di manovra
Il settore agricolo svizzero non è del tutto contrario all’idea di permettere l’ingresso di più prodotti statunitensi in Svizzera.
“La nostra industria è aperta a valutare concessioni specifiche per il formaggio. Naturalmente, deve essere garantita anche la protezione delle varietà di formaggio DOP [Denominazione di Origine Protetta] quando si importa formaggio americano in Svizzera,” afferma Désirée Stocker di Switzerland cheese marketing.
Anche l’influente Unione svizzera dei contadini è aperta a concessioni, ma non per tutti i prodotti. “Non abbiamo problemi con le riduzioni tariffarie proposte per prodotti come arance e frutti di mare. La situazione sarebbe diversa se la Svizzera dovesse fare concessioni sulla carne, ad esempio, che è un prodotto agricolo sensibile”, dichiara la portavoce Sandra Helfenstein.
Uno dei motivi per cui la carne in Svizzera è la più costosa d’Europa è che esistono limiti al numero di animali che possono essere allevati in una fattoria. La legge consente un massimo di 300 vitelli, 1’500 maiali o 18’000 galline per azienda agricola, mentre nei paesi dell’UE non esistono tali restrizioni.
“A livello politico, è compito del Consiglio federale porre su nuove basi l’attuale situazione doganale con gli Stati Uniti. Rafforziamo il nostro Governo restando in silenzio,” afferma Christa Bruegger di Swissmilk.
Contattato, il Dipartimento federale dell’economia non ha voluto commentare se i dazi agricoli svizzeri siano oggetto di negoziazione con gli Stati Uniti. “Le discussioni sono attualmente in corso a vari livelli. Il Consiglio federale fornirà ulteriori informazioni a tempo debito”, dichiara il portavoce Markus Spörndli.
Lasciare decidere al consumatore?
Anche le preferenze dei consumatori e delle consumatrici determineranno se le concessioni tariffarie saranno accettabili per il settore agricolo svizzero.
Prendiamo ad esempio la carne bovina proveniente dagli Stati Uniti, dove gli animali sono trattati con ormoni per stimolare la crescita. Tale carne può essere venduta in Svizzera, a condizione che i test effettuati nel Paese non rilevino residui di ormoni.
L’industria svizzera della carne è discretamente fiduciosa che la popolazione svizzera non accoglierà favorevolmente la carne statunitense, anche se più economica. “La carne bovina americana contiene ormoni e quindi non è molto richiesta in Svizzera. Di conseguenza, è il mercato a decidere cosa serve e cosa deve essere importato,” afferma Philippe Haeberli, di Proviande.

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La Svizzera ha integrato nella propria legislazione nazionale sulle barriere tecniche al commercio il principio del Cassis de Dijon, sviluppato dalla Corte di giustizia europea. Questo principio stabilisce che un prodotto conforme alle normative dell’UE e venduto in un Paese dell’Unione può essere commercializzato anche in Svizzera senza ulteriori requisiti. Tuttavia, esistono alcune eccezioni, come le uova provenienti da allevamenti in batteria o i prodotti contenenti organismi geneticamente modificati.
“È possibile che la gamma di prodotti disponibili per i consumatori svizzeri diventi un po’ più ampia, ma anche meno trasparente. Molti standard negli Stati Uniti sono inferiori rispetto a quelli della Svizzera o dell’UE, dai criteri sul benessere animale ai prodotti geneticamente modificati o gli additivi vietati in Svizzera” afferma Josianne Walpen, responsabile della nutrizione della Fondazione svizzera per la tutela dei consumatori.
Walpen vuole che i consumatori e le consumatrici in Svizzera siano informati su come vengono prodotti e trasformati gli alimenti americani, soprattutto se tali pratiche sono vietate nella Confederazione. Ad esempio, tramite etichette che dichiarino che la carne di pollo è stata disinfettata con soluzioni a base di cloro, o che nella carne bovina sono stati utilizzati ormoni e antibiotici per stimolare la crescita.
Tali dichiarazioni sono attualmente obbligatorie, ma Walpen teme che possano essere attenuate se verranno fatte concessioni agli Stati Uniti. “Resta da vedere se l’obbligo di dichiarazione per la carne e i prodotti geneticamente modificati rimarrà in vigore. Inoltre, i requisiti di etichettatura negli Stati Uniti sono meno favorevoli ai consumatori rispetto a quelli svizzeri,” conclude.
Altri sviluppi
A cura di Virginie Mangin/gw
Traduzione di RSI

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