Everest: pace fatta tra Ueli Steck e sherpa, spedizione finita
(Keystone-ATS) Pace è fatta, almeno formalmente, fra i tre alpinisti europei malmenati sabato scorso al campo 2 dell’Everest e gli sherpa nepalesi che li hanno aggrediti. Le due parti hanno firmato un accordo in cui si parla di “caso sfortunato”, ha detto al “Migros-Magazin” il noto alpinista bernese Ueli Steck, vittima della rivolta sherpa insieme al suo compagno bergamasco Simone Moro e al fotografo britannico Jonathan Griffith.
L’intervista è stata pubblicata oggi su internet dal settimanale della Migros, che seguiva sin dall’inizio la spedizione, ormai defintivamente conclusa.
Rappresentanti delle due parti si sono incontrate lunedì al campo base per un colloquio, indica Steck. Nel documento firmato al termine dell’incontro si afferma che “entrambe le parti hanno il diritto di essere sulla montagna” e che un caso simile non deve più ripetersi: eventuali vertenze devono essere regolate tramite l’ufficiale di collegamento.
Steck definisce il testo “un passo avanti” ma “certamente non la soluzione del problema”. A suo avviso, l’odio sfociato nell’aggressione non è frutto dell’episodio singolo, ma si è accumulato nel corso degli anni. “Per voler ammazzare tre persone ci vuole più di un semplice diverbio”, afferma Steck.
Tutto è cominciato sabato 27 aprile nei pressi del campo 3 della via Sud dell’Everest, a oltre 7000 metri di quota, e su quanto avvenuto le versioni divergono. Secondo gli sherpa i tre alpinisti avrebbero intralciato il loro lavoro mentre stavano sistemando le corte fisse, cosa che gli interessati negano. Fatto sta che quando i tre sono ridiscesi al campo 2 sono stati accolti da una folla di un centinaio di sherpa inferociti.
“Ci hanno detto che se non lasciavamo il campo 2 entro un’ora ci facevano fuori”, ha raccontato il 45enne Simone Moro, che sarebbe riuscito a schivare una coltellata, andata poi a colpire lo zaino. Il 36enne bernese Steck, noto per le sue solitarie e record di velocità su impegnative pareti delle Alpi come la Nord dell’Eiger, conferma di essere stato colpito con una sassata in testa. Nell’intervista egli si dice convinto che lui e i suoi due compagni sulla montagna non abbiano fatto “nulla di sbagliato”, si sono semplicemente trovati “nel momento sbagliato al posto sbagliato”.
Al “Migros-Magazin” Steck dice di trovarsi a Katmandu, capitale del Nepal, e di essere in attesa di Simone Moro per una conferenza stampa. Poi dovrebbe anche incontrare il primo ministro nepalese.
Quanto alla spedizione, è definitivamente conclusa: “Per me, un grande sogno è sfumato. Eravamo un buon team con ottimi partner in Svizzera, e le condizioni sulla montagna erano eccellenti. Questo mi rende triste”, afferma.Per l’alpinista bernese è ora “importante rendere attenti alla problematica”. “Nelle nostre teste – afferma – abbiamo l’immagine di un pacifico popolo di montagna”. Ma “gli sherpa risolvono i problemi in modo diverso da noi nel mondo occidentale. Il farsi giustizia da sé in Nepal è ancora cosa di tutti i giorni”.