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Il mito di Venezia in due secoli di pittura

Shelburne Museum, Vermont

La Fondazione Beyeler di Riehen (Basilea) dedica l'esposizione autunnale alla rappresentazione della città lagunare nell'arte tra Settecento e Novecento.

Attraverso un percorso espositivo d’eccezione che parte da Canaletto e arriva a Monet, la mostra testimonia l’evoluzione del sistema vedutistico nella pittura e racconta, insieme, le trasformazioni storico-sociali della città lagunare.


Magica, sensuale e ambigua, Venezia non è solo una città ma una leggenda unica che da secoli ammalia e seduce. Le testimonianze di questa grande fascinazione per la città sull’acqua, per i suoi maestosi palazzi, le sue chiese, per le piazze, i campielli e i canali sono numerosissime, sia nella letteratura che nella pittura.

Gli artisti di tutti i tempi hanno trovato in Venezia una fonte d’ispirazione inesauribile e con le loro creazioni hanno contribuito alla nascita del mito di Venezia, come dimostra in modo tangibile anche l’esposizione “Venezia. Da Canaletto e Turner a Monet” in corso alla Fondazione Beyeler.

Tra oli, acquerelli e foto d’epoca, le vedute veneziane presentate in mostra sono circa 150 e in esse si riconoscono famose panoramiche di Piazza San Marco e Palazzo Ducale, scorci sul Canal Grande, dettagli della chiesa di Santa Maria della Salute e di quella palladiana di San Giorgio Maggiore, ma anche scene della vita quotidiana veneziana, nei mercati e sui canali.

Dal vedutismo settecentesco al cromatismo di Monet

Protagonisti dell’esposizione 12 artisti che hanno vissuto o visitato Venezia tra la fine del 18° e l’inizio del 20° secolo. Ai poli estremi di quest’arco temporale, da un lato, alcune famose tele di Canaletto (1697-1768) e Francesco Guardi (1712-1793) – gli esponenti più importanti del vedutismo veneziano – e dall’altro la serie realizzata da Claude Monet (1840-1926) a Venezia nel 1908, che non si vedeva riunita dall’esposizione parigina del 1912.

Se l’esattezza quasi scientifica di palazzi, piazze e canali delle panoramiche prospettiche di Canaletto, ci rimanda a una visione trionfale e quasi teatrale della Venezia illuminista e le vedute del Guardi, più evanescenti e irreali, si avvicinano alla sensibilità e alla melanconia preromantica, le immagini dissolte nel cangiante cromatismo delle tele di Monet, così vicine alle ricerche del post-impressionismo, trasformano gli splendori della Serenissima in quelli di una città appena evocata.

Venezia, città simbolo del 19° secolo

Nel 19° secolo Venezia diventa più che mai un luogo simbolo che accende la fantasia dei più importanti uomini di cultura. Scrittori come Marcel Proust e Thomas Mann, poeti come Lord Byron e Rainer Maria Rilke, musicisti del calibro di Richard Wagner o Frédéric Chopin e filosofi come Friedrich Nietzsche contribuiscono alla creazione di rappresentazioni eterogenee e ambivalenti su Venezia: immagini di potere e di decadenza, di amore e di morte, di bellezza e di caducità, di gioia di vivere e di malinconia.

Le più famose creazioni iconografiche di Venezia proposte da questa mostra sono realizzate da artisti stranieri, per lo più nordeuropei e americani. L’inglese William Turner (1775-1851) che a Venezia si recò tre volte e rimase stregato da tutta quell’acqua e dai suoi riflessi di luce sugli edifici, ci ha regalato immagini esistenziali che traducono in colore la tensione emotiva delle poesie del connazionale Byron.

Se per lo statunitense Singer Sargent (1856-1925) Venezia costituì il senso stesso della sua pittura e nel corso dei suoi numerosi soggiorni realizzò più di 180 dipinti a olio e acquarelli, per Eduard Manet (1832-1883) che vi arrivò nel 1874, fu la spinta ad una incessante e duratura ricerca di soggetti in balia della luce.

Al fascino di Venezia non rimasero indifferenti nemmeno altri importanti esponenti dell’arte moderna quali McNeill Whistler (1834-1903), Auguste Renoir (1841–1919), Odilon Redon (1840–1916), Paul Signac (1863–1935) che, più intenti a cogliere l’essenza della luce, ognuno secondo la propria tecnica, liberarono la città lagunare dagli stereotipi iconografici del passato, lasciando solo intuire i famosi dettagli architettonici dietro pennellate quasi vaporizzate.

Una mostra dinamica, moderna e originale

Scegliere come tema Venezia per una grande mostra è a prima vista un’operazione scontata che corre il rischio di risultare banale, tanto più che le esposizioni dedicate a questo tema, anche nella stessa Venezia, sono state numerose.

Ma come ci conferma Giandomenico Romanelli, direttore dei Musei Civici Veneziani, la ricca esposizione proposta dalla Fondazione Beyeler propone una chiave di lettura più spigliata, originale e suggestiva.

“È una mostra che io trovo di una ricchezza e di un’articolazione rare. Una specie di grande caleidoscopio in cui le cose cambiano, mutano, si trasformano, divengono altro e questo è documentato splendidamente da una rassegna di opere che è rarissimo riuscire a vedere in un film continuo ma non antologico, non scontato, non banale, un film dinamico, moderno, di grandissima originalità.”

“Occorrerà fare, e sarà molto interessante farlo, una nuova lettura del patrimonio artistico che Venezia oggi possiede anche alla luce delle riflessioni che questa mostra suggerisce. Troveremo delle cose singolari e innovative.”


swissinfo, Paola Beltrame, Riehen

Nel quadro della mostra la Fondazione Beyeler dedica una sala speciale alla presentazione di un repertorio di fotografie storiche messe a disposizione dalla Collezione Herzog di Basilea, che ritraggono i monumenti e la vita quotidiana di Venezia.

Al piano inferiore della mostra vengono inoltre presentati i lavori fotografici di 2 artisti contemporanei, Vera Lutter e David Claerbout, contrassegnati da un particolare approccio visivo alla città lagunare.

Servendosi della camera oscura, l’artista tedesca Vera Lutter ha realizzato vedute veneziane di grande formato che hanno per oggetto il rapporto tra l’architettura della città e l’acqua alta e tematizzano la transitorietà. Grazie ai lunghi tempi di esposizione in queste immagini la città acquista una dinamica tutta propria e sembra senza gravità.

“Venice lightboxes” di David Claerbout, comprende 4 pannelli luminosi sui quali sono visibili (dopo un paio di minuti, quando l’occhio si è abituato alle condizioni di luce) immagini realizzate con speciali macchine per fotografare opere architettoniche. L’artista gioca con i profili della città e l’ampia superficie della laguna, concentrandosi sul tema della visibilità e non visibilità dei diversi oggetti.

“Venezia. Da Canaletto e Turner a Monet” sarà visitabile solo alla Fondazione Beyeler fino al 25 gennaio 2009. La mostra presenta 150 opere tra cui 80 quadri, 50 lavori su carta e 20 fotografie d’epoca. Punta d’eccezione della mostra, la serie di tele su Venezia realizzata da Monet nel 1908 che non veniva esposta insieme dal 1912.

12 gli artisti protagonisti: Canaletto (1697–1768), Francesco Guardi (1712–1793), J. M. William Turner (1775–1851), James McNeill Whistler (1834–1903), John Singer Sargent (1856–1925), Anders Zorn (1860–1920), Edouard Manet (1832–1883), Pierre-Auguste Renoir (1841–1919), Pietro Fragiacomo (1856–1922), Odilon Redon (1840–1916), Paul Signac (1863–1935), Claude Monet (1840–1926). Tra essi solo 3 sono italiani.

Un programma di manifestazioni parallele accompagna l’esposizione. Tra gli eventi spiccano una lettura di brani di Donna Leon a cura dell’autrice e una serata di Canzoni con un ensemble del Teatro dell’Opera di Basilea. Il programma dettagliato è disponibile in rete nel sito della Fondazione.

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