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L’oggetto dell’esilio

Vivian Olmi è fuggita dal Cile di Pinochet a 20 anni, portando con sé un album fotografico della sua terra. Un ricordo che conserva ancora oggi, a 57 anni. Forte di questa esperienza, la fotografa ha chiesto a 38 giovani immigrati in Svizzera di posare per lei, con l’oggetto simbolo del loro esilio. Ritratti intrisi di sensibilità, esposti alla Galérie Focale a Nyon.

Si chiamano Samira, Adjzen, Wanderson e hanno tra i 13 e i 16 anni. Sono nati in paesi come la Somalia, l’Afghanistan e il Brasile e hanno in comune l’esperienza dell’esilio, che un giorno li ha portati fino in Svizzera. Al liceo Bethusy, per la precisione, nella città di Losanna.

È qui che la fotografa Vivian Olmi, 57 anni, li ha incontrati e ha chiesto loro di posare di fronte all’obiettivo con un oggetto, quello che hanno portato dal loro paese o che avrebbero voluto, se ne avessero avuta l’opportunità. Uno scialle, un pupazzo, una fotografia e perfino un dromedario… piccoli e grandi ricordi, che talvolta rappresentano l’unico legame con la loro terra d’origine.

Vivian Olmi ha coltivato l’idea di questo progetto per decenni. «Sono anch’io un’immigrata. Quando ho lasciato il Cile, ho portato con me un album fotografico inciso con un paesaggio, per ricordami della mia terra e della mia famiglia», ha spiegato Vivian Olmi alla trasmissione Vertigo della Radiotelevisione svizzera (RTS).

Tutti i ritratti sono stati scattati nel liceo di Bethusy, davanti a una lavagna, lo sguardo rivolto verso l’obiettivo a sottolineare la «dignità» di questi ragazzi. «Guardare qualcuno in faccia significa rimuovere la maschera che ciascuno di noi porta all’adolescenza», ha dichiarato ancora la fotografa alla rivista ginevrina La CitéCollegamento esterno. «Volevo che perfino i minorenni traumatizzati lasciassero tutti i loro problemi da parte il tempo di uno scatto. Poiché malgrado le circostanze, hanno tutti un futuro davanti».

(Tutte le immagini: Vivian Olmi)

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