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“Nel giardino dei suoni”

Oltre le immagini, la magia dei suoni. solothurnerfilmtage.ch

Presentato in prima mondiale e in concorso per il Prix de Soleure, il documentario di Nicola Bellucci racconta la storia di Wolfgang Fasser, un musicoterapeuta che ha fatto della sua cecità e del suo amore per la musica una risorsa per aiutare gli altri.

Oltre le immagini, la magia dei suoni. solothurnerfilmtage.ch

Quorle, un piccolo villaggio tra Arezzo e Poppi, nell’Appennino toscano. Una ventina di abitanti, una chiesa e un atelier di musicoterapia. Qui vive e lavora Wolfgang Fasser, cinquantatrè anni e una vita all’insegna del coraggio e della fantasia.


Nato nel canton Glarona, in Svizzera, Wolfgang perde la vista all’età di 22 anni in seguito a una malattia ereditaria, la Retinite pigmentosa. Un destino che colpisce anche altri due suoi fratelli e che lo scaraventa in un mondo sconosciuto, diverso, dove i suoni e i gesti acquistano forza e valore. «Quando ho smesso di vedere, mi sono sentito sollevato. Tutto è diventato più semplice e chiaro», racconta Wolfgang. Come se in fondo l’arrendersi all’handicap fosse l’unico mezzo per affrontarlo e superarlo.


«Nel giardino dei suoni» è la storia di un musicoterapeuta e di un mondo dove il buio non fa più paura e dove i suoni diventano lo specchio della realtà. È la storia di un amore per i bambini più fragili e di un atelier dove l’unica regola possibile è la libertà di lasciarsi andare e di sperimentare.

Nicola Bellucci nasce nel 1963 ad Arezzo, in Italia.. Studia filosofia, letteratura e film all’università degli studi di Firenze. Nel 1988 si diploma all’Istituto di scienze cinematografiche a Firenze.

Tra il 1992 e il 1996 lavora come regista e cameraman in Italia. Nel 1996 si trasferisce a Basilea, dove lavora come cameraman e ingegnere del suono. Quattro anni più tardi fonda la Neuland Film.

Al suo attivo ha due cortometraggi, “Era la nostre fonte” (1989) e “Do It” (2001) e due documentari “Onoma” (2002) e “Nel giardino dei suoni” (2010).

Oltre l’handicap

«Ho seguito il lavoro di Wolfgang per due anni, cercando di conquistare la sua fiducia e quella dei bambini», racconta a swissinfo il regista Nicola Bellucci, nato e cresciuto ad Arezzo e poi emigrato a Basilea. «Non è stato facile scegliere cosa raccontare di Wolfgang: lo psicologo, il musicista, il fisioterapista, il musicoterapeuta o semplicemente l’amico? È tutto questo e molto altro ancora, ma soprattutto è un faro che riesce a guidare questi ragazzi gravemente ammalati verso una maggiore consapevolezza del loro corpo, di ogni singola cellula che lo compone».


Senza mai diventare melodrammatico o scontato, il documentario di Bellucci riesce ad emozionare e a far riflettere sulla necessità di superare le barriere dell’handicap e di ascoltare il richiamo ancestrale della natura e del corpo. Camminiamo con Wolfgang, tastiamo con lui il terreno, gli alberi, la roccia. Attraversiamo boschi e colline per seguire un cervo, uno sciame d’api o semplicemente un pettirosso. Accompagniamo la piccola Jenny mentre impara a dire le vocali ed Ermanno a giocare a palla.


«Nel giardino dei suoni» è un invito a guardare il mondo da un’altra prospettiva, un mondo che non è forzatamente bianco e nero ma un insieme di colori e note da scoprire. «Quando passeggio nel bosco di notte, racconta Wolfgang, sono gli altri che diventano ciechi. Io sono l’unico che riesce a vedere, perché sento».

L’arte dell’ascolto

Anche se le immagini della campagna toscana al tramonto non lasciano certo indifferenti, a condurre lo spettatore per mano è soprattutto la musica, quella di Wolfgang e dei suoi bambini, quella della natura e del paesaggio. La musicoterapia è improvvisazione: è una manina che scorre sui tasti del piano, una bacchetta che picchia su un piatto, un gorgoglio appena sussurrato.


«Abbiamo cercato di creare delle zone di incertezza nel film, con immagini solo accennate e fotografie parziali, seppure spettacolari. L’idea era di permettere a chi le guarda di immaginare, di crearsi la propria rappresentazione attraverso i suoni, così come accade per chi questo film davvero non può vederlo», spiega Nicola Bellucci. In una società in cui le immagini e i rumori si impongono e si sovrappongono, il documentario di Bellucci ci aiuta a catturarli, a distinguerli e ad assaporarli, anche solo per gli ottantaquattro minuti che ci separano dalla sigla finale.

Tra Svizzera e Italia, tra passato e presente

Cresciuto ad Arezzo, Nicola Bellucci ha sperimentato in prima persona la magia di questo atelier di musicoterapia. È proprio in questa casa di Quorle, infatti, che la sorella handicappata ha conosciuto il potere della musica e la paziente guida delle mani di Wolfgang. Diversi anni dopo, Nicola è tornato nella sua terra natale da regista per raccontare la storia di questo incantatore di suoni.
Con Wolfgang, Nicola condivide anche l’esperienza dell’emigrazione.

Da Firenze – dove si è laureato in scienze cinematografiche – si è trasferito a Basilea per lavorare come cameraman e ingegnere del suono, prima di fondare la Neuland Film. «Non è sempre facile vivere da straniero in Svizzera, comunicare in una lingua che non è la tua, trovare l’ispirazione in un paese con una cultura diversa», ammette Bellucci.


E questo amore per la sua terra d’origine – patria di Dante e Paolo Uccello – traspare in tutta la sua forza anche da questa produzione italo-svizzera «Nel giardino dei suoni». Un documentario che ha entusiasmato il pubblico delle Giornate di Soletta, affluito in massa nonostante la proiezione mattutina, e che ha tutte le carte in regola per conquistare anche la giuria del Prix de Soleure.

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