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Oggi in Svizzera

Care svizzere e cari svizzeri all’estero,

In carica da poche settimane, il nuovo CEO di Nestlé è passato rapidamente all'azione. Oggi ha comunicato la soppressione di 16'000 impieghi in tutto il mondo.

Nella nostra rassegna stampa scopriremo inoltre quali sono le ragioni che hanno spinto i lavoratori edili ad annunciare uno sciopero, evento molto raro in Svizzera, e quanto ha guadagnato il Governo degli Stati Uniti con i dazi imposti alle importazioni elvetiche.

Parleremo poi della scioccante vicenda di un anziano cittadino svizzero-tunisino incarcerato in Tunisia.

Buona lettura!

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Il CEO di Nestlé, Philipp Navratil. Keystone/ Nestle/William Gammuto

Il nuovo direttore generale di Nestlé, Philipp Navratil, ha annunciato la soppressione di 16’000 impieghi in seno alla multinazionale alimentare elvetica, che nel mondo conta 277’000 collaboratori e collaboratrici, di cui 8’600 in Svizzera.

Saranno tagliate 12’000 posizioni con funzioni direttive e altre 4’000 saranno soppresse nei settori della produzione e dell’approvvigionamento. Lo scopo è ridurre i costi di 1 miliardo di franchi entro la fine del 2027. I tagli toccheranno anche l’attività nella Confederazione, ma Navratil, in una teleconferenza con i media, non ha precisato l’entità della riduzione dell’organico su suolo elvetico.

Da inizio 2022, le azioni del gigante alimentare, molto gettonate nel portafoglio di investimenti dei fondi pensionistici elvetici, hanno perso più del 40%, facendo svanire miliardi di valore borsistico, si legge su Le Temps.

Oggi, tuttavia, dopo i dati trimestrali sui ricavi, che hanno sorpreso in positivo, e l’annuncio dei tagli di posti di lavoro, visto dagli investitori come il segnale di un incisivo approccio del nuovo CEO, il titolo era in forte rialzo all’apertura della borsa di Zurigo, scrive Keystone-ATS.

Orologiaio al lavoro
Circa l’80% delle entrate del Governo USA ottenute con i dazi sulle importazioni svizzere riguardano il settore tecnologico e l’industria orologiera. Keystone / Salvatore Di Nolfi

Quanti soldi sono finiti nelle casse del Governo statunitense grazie all’aumento delle tariffe sulle importazioni svizzere? Il Tages-Anzeiger cerca oggi di rispondere, stimando un incasso di circa 1 miliardo di dollari da aprile.

I dazi sui prodotti svizzeri hanno rappresentato lo 0,8% delle entrate doganali statunitensi totali nei quattro mesi dal “Giorno della liberazione” (2 aprile) a luglio. In questo periodo era ancora in vigore l’aliquota tariffaria generale del 10%.

Da agosto, quest’ultima è salita al 39% per le importazioni dalla Confederazione, una delle più alte imposte dall’amministrazione USA. Sebbene le esportazioni elvetiche verso gli Stati Uniti siano calate del 31% ad agosto rispetto a luglio, è probabile che le entrate doganali che hanno originato siano aumentate, sottolinea il Tages-Anzeiger. I dati di settembre non sono disponibili a causa dello shutdown dell’amministrazione statunitense in corso.

Nel frattempo, la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) ha rivisto al ribasso le previsioni congiunturali per l’economia elvetica, soprattutto a causa dei dazi statunitensi. “Si attende una crescita economica nettamente inferiore alla media, dell’1,3% nel 2025, seguita da una flessione fino allo 0,9% nel 2026”, si legge in un comunicato.

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Il termine massimo consentito per la detenzione preventiva è scaduto. Eppure, Mustapha Djemali è ancora incarcerato in una prigione tunisina. ZVG

Si è aperto oggi a Tunisi il processo nei confronti dell’81enne svizzero-tunisino Mustapha Djemali, un caso che, secondo Amnesty International, è emblematico della crescente repressione nei confronti del personale umanitario che caratterizza la Tunisia.

Djemali è in carcere da maggio del 2024 con l’accusa di aver creato un’organizzazione criminale che avrebbe aiutato il collocamento illegale di migranti. Si tratta del Consiglio tunisino per i rifugiati (CTR), un’ONG finanziata quasi esclusivamente dall’Alto commissariato dell’ONU per i rifugiati (UNHCR) – per cui Djemali ha lavorato 25 anni a Ginevra – e sostenuta da diversi Paesi europei.

“Pensavamo si trattasse di un errore, che in due giorni si sarebbe risolto e che [le autorità tunisine] si sarebbero scusate”, dichiara a Le Temps il figlio, Fadhel Djemali, residente a Ginevra.

Un anno e mezzo dopo regna lo sconforto. “Quello che continua a scioccarci, è la passività della Svizzera, così come quella dell’UNHCR e dell’ONU”, dice. Dal canto suo, il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) richiama la doppia cittadinanza dell’81enne e la “sovranità dello Stato di residenza” per giustificare le sue reticenze.

Il DFAE ha assicurato comunque a Le Temps che la Svizzera è “intervenuta ai più alti livelli presso le autorità tunisine”, stessa formulazione usata in risposta a una recente interpellanza parlamentare, ma non sono stati forniti dettagli sui passi intrapresi.

Operaio in un cantiere
Gli scioperi in Svizzera sono eventi rari, ma quest’autunno quello dell’edilizia rappresenterà un’eccezione alla regola. Keystone / Jean-Christophe Bott

Oltre 20’000 lavoratori edili vogliono intraprendere misure di sciopero. Si tratta del 90% delle persone interpellate nel corso di una votazione tenutasi a livello nazionale nelle scorse settimane organizzata dai sindacati.

Il nodo del malcontento è il mancato accordo sul Contratto nazionale mantello dell’edilizia, che rischia di precipitare in una situazione di vuoto contrattuale, come non accadeva da oltre un decennio. In particolare, non è stata trovata un’intesa sugli orari di lavoro. Secondo i sindacati Unia e Syna, la Società degli impresari costruttori si oppone a orari compatibili con la vita privata.

Si arriva “a turni di nove ore nei mesi estivi di maggiore calura, oltre alle ore supplementari e ai tempi di viaggio dall’azienda al cantiere“, spiega Nico Lutz, responsabile delle trattative e membro del Comitato direttore di Unia. Non stupisce che molte persone lascino la professione, aggiunge.

I primi giorni di protesta cominceranno già la prossima settimana: lunedì saranno gli edili ticinesi a incrociare le braccia. Il 31 ottobre sarà la volta di Berna, il 3 e 4 novembre di tutta la Svizzera francese, il 7 novembre toccherà alla Svizzera nordoccidentale e il 14 novembre a Zurigo e altre regioni della Svizzera tedesca.

Se i datori di lavoro continueranno a non voler trovare una soluzione negoziale alla crisi del personale, nel 2026 si prospetta uno sciopero nazionale del settore, avvertono i sindacati.

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