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La guerra di Israele a Gaza e la crisi umanitaria

città distrutta
Gaza City il 17 luglio 2025. Copyright 2025 The Associated Press. All Rights Reserved.

La campagna militare di Israele a Gaza ha portato l’enclave sull’orlo del collasso. Da Ginevra, che da decenni è il centro del diritto umanitario e della diplomazia internazionale in materia di aiuti, questo speciale di Swissinfo cerca di documentare la portata del disastro umanitario nella Striscia.

Interi quartieri, a Gaza, sono ridotti in macerie, gli ospedali sono rimasti senza carburante o medicinali e le famiglie sono costrette a vagare da un rifugio all’altro, ancora e ancora. Malgrado l’accordo di cessate il fuoco annunciato il 9 ottobre, la fine della guerra e una pace duratura sono per ora ancora lontane.

La crisi è stata innescata da un attacco perpetrato contro Israele il 7 ottobre 2023 ad opera di Hamas. Secondo i dati ufficiali forniti dalle autorità israeliane, il gruppo militante palestinese ha colpito diverse location, causando la morte di 1’195 persone e il sequestro di oltre 200 ostaggi. Due anni dopo, 48 di loro sono ancora prigionieri nella Striscia di Gaza. Solo 20 sarebbero però ancora in vita.

Per tutta risposta, Israele ha lanciato una campagna militare che, secondo le sue dichiarazioni, avrebbe lo scopo di distruggere l’organizzazione militare e politica di Hamas e garantire il rilascio degli ostaggi, prevenendo futuri attacchi sul suo territorio.

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Kai Reusser, swissinfo.ch

Tuttavia, l’offensiva ha scatenato il conflitto più sanguinoso e distruttivo nella storia di Gaza, dove Hamas è autorità di fatto dal giugno 2007. Secondo il ministero della Salute locale, gestito dal gruppo militante, dall’ottobre 2023 a oggi sono stati uccisi più di 66’000 palestinesi.

Israele ha sempre sostenuto di agire in conformità con il diritto internazionale e di avere il diritto di difendersi.

A Ginevra, le agenzie delle Nazioni Unite hanno subito segnalato che Gaza rischiava la carestia imminente e la fame. Le organizzazioni umanitarie internazionali hanno denunciato i ripetuti attacchi di Israele contro ospedali, personale umanitario e popolazione civile in cerca di aiuto. Inoltre, continuano a chiedere di lasciar passare gli aiuti umanitari senza ostacoli.

Ecco una panoramica dei principali attori con sede a Ginevra e delle loro attività:

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La portata delle violenze a Gaza è tale che le accuse di genocidio rivolte a Israele sono giunte davanti alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia.

Il 16 settembre, la Commissione d’inchiesta internazionale indipendente sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati ha concluso che Israele ha commesso un genocidioCollegamento esterno contro la popolazione palestinese nella Striscia.

>> Estratto della conferenza stampa della presidente della commissione d’inchiesta Navi Pillay:

Israele nega ogni accusa, ma impedisce a giornalisti e giornaliste internazionali di entrare nel territorio per testimoniare e appurare i fatti. Il compito spetta invece al personale umanitario e a cronisti e croniste locali.

>> A questo link Collegamento esternopotete scoprire la versione integrale di questo articolo (in inglese).

Dall’insicurezza alimentare alla carestia

I primi segnali d’allarme

Nel dicembre del 2023, il conflitto aveva già causato lo sfollamento forzato di 1,9 milioni di palestinesiCollegamento esterno.

“Nessuno a Gaza è immune dalla fame”.

Cindy McCain, direttrice esecutiva del PAM (dicembre 2023)

Nella sua valutazione sulla sicurezza alimentare, all’epoca, il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (PAM) con sede a Roma aveva riferito che metà delle famiglie sfollate dichiarava di essere andata a dormire affamata almeno 10 delle 30 notti precedenti, cifra in forte aumento rispetto a un terzo delle famiglie dell’indagine precedente, condotta durante la tregua di novembre.

Le principali tappe della crisi umanitaria

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Il blocco degli aiuti

Nel corso della guerra, Israele ha imposto il blocco totale degli aiuti a Gaza per ben due volte: la prima subito dopo l’attacco di Hamas, per alcune settimane, e la seconda dall’inizio di marzo al 19 maggio 2025.

L’analisi effettuata da Swissinfo in base ai dati del governo israelianoCollegamento esterno mostra che, dall’inizio della guerra, Gaza ha ricevuto aiuti alimentari sufficienti a soddisfare i bisogni primari della popolazione solo la metà del tempo.

Secondo le stime del PAMCollegamento esterno e dell’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), la popolazione nella Striscia ha bisogno di circa 60’000-62’000 tonnellate metriche di aiuti alimentari al mese per garantire il fabbisogno calorico minimo giornaliero. Tuttavia, nei 24 mesi precedenti al settembre 2025, questa soglia è stata raggiunta solo 13 volte.

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L’aumento dei prezzi dei prodotti di prima necessità

A differenza di altre zone di conflitto, a Gaza la popolazione non ha quasi nessuna possibilità di coltivare da mangiare: solo l’1,5% dei terreni agricoli, infatti, è disponibile per la coltivazione.

Dall’inizio della guerra, i prezzi dei prodotti alimentari di base sono aumentati vertiginosamente.

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Il collasso del sistema di aiuti delle Nazioni Unite

Fino all’inizio del 2025, le operazioni umanitarie a Gaza si basavano su un sistema di aiuti guidato dalle Nazioni Unite che forniva cibo, medicine, acqua e alloggi su larga scala. L’OCHA coordinava gli sforzi e l’UNRWA effettuava la maggior parte delle consegne, mentre agenzie come l’OMS, il WPF e l’UNICEF fornivano ulteriore sostegno.

Questo sistema si è sfaldato a marzo del 2025, quando Israele ha imposto il blocco totale degli aiuti, vietando l’ingresso al personale ONU e promuovendo canali di assistenza alternativi.

La perdita dell’UNRWA

L’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente, era il cuore di questo sistema, in quanto gestiva scuole, cliniche, rifugi e distribuzioni di cibo per oltre 1,7 milioni di persone. Alla fine di gennaio 2025, Israele le ha vietato di proseguire le sue operazioni sostenendo che fosse infiltrata da Hamas, un’accusa che l’UNRWA respinge come mai dimostrata e priva di fondamento.

Altre agenzie hanno dovuto incrementare i propri interventi per colmare il vuoto. Questo, a sua volta, ha favorito l’emergere di nuovi attori.

La Fondazione umanitaria di Gaza

A febbraio di quest’anno, in Delaware, è stata registrata la Fondazione umanitaria di Gaza (GHF), ente sostenuto dagli Stati Uniti e da Israele con il compito di assumere la gestione degli aiuti umanitari. Il lancio ufficiale è avvenuto a maggio, ma la fondazione è stata subito oggetto di controversie.

Sempre a febbraio, la GHF ha aperto una filiale a Ginevra per poter consolidare la propria immagine internazionale. Tuttavia, il 2 luglio la succursale svizzera è stata chiusa dalle autorità locali per il mancato rispetto dei requisiti legali.

Alla fine di maggio 2025, la GHF ha iniziato a gestire quattro siti di distribuzione alimentare controllati dai militari a Gaza. Secondo le organizzazioni umanitarie, il nuovo sistema ha ridotto drasticamente il numero di punti di distribuzione degli aiuti, che nella precedente risposta coordinata dall’ONU durante il cessate il fuoco erano circa 400. Questo, a sua volta, ha portato a un aumento significativo della fame, come dimostrano i dati ONU.

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Kai Reusser, swissinfo.ch

Caos, morti e feriti nei centri di distribuzione della GHF

Funzionari e funzionarie delle Nazioni Unite, ONG e gruppi palestinesi accusano la GHF di politicizzare e strumentalizzare gli aiuti umanitari, privando chi ne beneficia della loro dignità e creando centri di distribuzione degli aiuti che si trasformano in trappole mortali. Il personale medico di Gaza è stato il primo a lanciare l’allarme sui massacri avvenuti nei pressi di tali strutture.

Tra il 7 giugno e il 24 luglio 2025, i due ambulatori di Medici Senza Frontiere (MSF) nel sud di Gaza, entrambi situati vicino ai siti di distribuzione della GHF, hanno curato 1’380 persone ferite, tra cui 174 con ferite da arma da fuoco, e gestito 28 cadaveri provenienti dagli stessi siti. MSF ha definito il sistema di distribuzione degli aiuti “un omicidio orchestratoCollegamento esterno”, sottolineando che le cifre note rappresentano solo una parte del reale numero di vittime.

Il 16 luglio, 20 palestinesi sono morti schiacciati dalla folla nel sito di distribuzione di Khan Younis. La GHF ha attribuito la responsabilità dell’incidente a Hamas, ascrivendolo a un più ampio piano del gruppo militante volto a minare le operazioni della fondazione.

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Il 22 agosto l’ONU ha dichiarato la carestia a Gaza. Afp Or Licensors

La dichiarazione di carestia

Il 22 agosto 2025, la Classificazione Integrata della Sicurezza Alimentare (IPC), la principale autorità mondiale in materia, ha confermato la carestiaCollegamento esterno a Gaza. Israele ne ha respinto i risultati e ha preteso che il rapporto venisse ritirato.

>> Estratto di un’intervista accordata dal presidente israeliano Isaac Herzog a Chatham House:

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, al 30 settembre 2025 Gaza ha registrato 411 decessi legati alla malnutrizione, tra cui 108 bambini e bambine.

Agosto: aumentano le consegne di cibo e carburante, ma non di altro

I dati del COGAT israeliano mostrano un aumento del volume degli aiuti alimentari entrati a Gaza ad agosto e, in misura minore, a settembre, dopo un periodo di forniture molto limitate in seguito ai tre mesi di blocco. Anche le consegne di carburante sono aumentate notevolmente nello stesso mese.

Ma altri beni continuano a scarseggiare, in particolare il materiale per la costruzione di rifugi, di cui c’è un bisogno enorme. Dall’inizio dell’anno, a Gaza non è entrato quasi nessun gas (GPL) e le forniture di acqua, in quantità molto limitate, sono riprese solo ad agosto.

“Ci sono ancora parecchie cose che vengono respinte, specialmente attrezzature e oggetti che potrebbero essere considerati a duplice uso”, ha dichiarato a Swissinfo Olga Cherovka, portavoce dell’OCHA a Gaza.

“Per riparare i danni provocati in chi ha sofferto di grave malnutrizione e privazioni per mesi occorre molto più che qualche sacco di farina. Servono alimenti specifici, assistenza medica specializzata”, ha affermato.

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Il sistema sanitario di Gaza sotto attacco

Prima dell’escalation delle ostilità a ottobre del 2023, l’assistenza sanitaria a Gaza era già in difficoltà, ostacolata dalle molteplici restrizioni e condizioni imposte da Israele, spiega Leo Cans, capo missione di MSF che nel 2023 era di stanza a Gerusalemme e responsabile per Gaza. Nel complesso, però, “era ancora possibile lavorare”. Poi “quegli ospedali sono stati attaccati”.

Dall’inizio della guerra, gli attacchi contro le strutture ospedaliere di Gaza hanno causato la morte di centinaia di persone, la stragrande maggioranza delle quali (90%) erano pazienti o personale sanitario.

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Quasi un terzo delle strutture sanitarie di Gaza è stato distrutto e nessuna può funzionare a pieno regime.

Il 25 agosto 2025 Israele ha colpito di nuovo l’ospedale Nasser, che a quel punto era l’ultima struttura ospedaliera parzialmente funzionante rimasta nel sud di Gaza. L’attacco ha ucciso almeno 20 persone, tra cui cinque giornalisti e giornaliste.

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Le strutture sanitarie sono da tempo al collasso. Abed Rahim Khatib / Keystone

Aiuti e testimonianze

Al momento, l’accesso di operatori e operatrici nella Striscia di Gaza è fortemente limitato e, secondo l’OCHA, le organizzazioni umanitarie possono operare solo nel 12% del territorio.

Le agenzie umanitarie si destreggiano tra distribuire aiuti ove possibile e documentare una crisi umanitaria che esperti ed esperte delle Nazioni Unite hanno denunciato come genocidio, visto che la maggior parte dei media internazionali e locali non può effettuare reportage sul campo.

Sfide logistiche e problemi di accesso

Oggi, svolgere attività umanitarie a Gaza significa affrontare sfide logistiche spaventose sotto perenne minaccia di morte, in un contesto caratterizzato da una popolazione in continuo movimento.

Solo una minima parte degli interventi ha successo. Dal 18 marzo, data in cui ha lanciato un attacco a sorpresa sulla Striscia ponendo fine al periodo di tregua con Hamas, Israele ha approvato il 39% delle missioni di aiuto richieste, respingendone il 34%.

Il mese di agosto ha segnato un netto miglioramento in termini di accesso.

Quasi una missione umanitaria su cinque (17%), però, deve affrontare diversi ostacoli anche dopo l’avvio. Se anche l’Amministrazione di coordinamento e collegamento israeliana (CLA) accetta la richiesta, gli spostamenti vengono bloccati o ritardati sul campo, con conseguente annullamento delle missioni.

Il 10% delle richieste delle organizzazioni umanitarie viene annullato per problemi logistici, operativi o di sicurezza.

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“Il problema principale rimane l’accesso, così come il volume [degli aiuti] che entrano nel territorio”, ha dichiarato a Swissinfo Olga Cherovka. “In questo momento la priorità assoluta è garantire che gli aiuti raggiungano i gruppi più vulnerabili, che devono avere la precedenza”.        

Dovere umanitario, costo umano

La guerra sta mettendo alla prova non solo la resilienza del popolo palestinese a Gaza e degli operatori e operatrici che cercano di aiutarlo, ma la rilevanza stessa del diritto umanitario.

Il diritto internazionale umanitario è pensato per proteggere la popolazione civile (in particolare donne, bambini e bambine), le persone ferite o malate, i prigionieri di guerra, gli operatori e operatrici umanitari e il personale medico, nonché i giornalisti e giornaliste che non prendono parte alle ostilità. A Gaza, però, queste tutele non vengono rispettate.

Secondo i dati citati dall’OCHA e provenienti dal ministero della Salute di Gaza, gestito da Hamas, la guerra ha causato la morte di oltre 66’000 palestinesi. Quasi la metà erano donne e bambini.

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Il conflitto più letale mai registrato per personale umanitario e giornalistico

Le operazioni umanitarie a Gaza sottopongono chi le intraprende a rischi estremi, in un 2025 che è già l’anno più letale mai registrato per operatrici e operatori umanitari nel territorio dall’inizio della guerra.

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La maggior parte delle vittime tra il personale umanitario a Gaza faceva parte dell’UNRWA.

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Se il personale umanitario internazionale ha contribuito a spiegare Gaza all’Occidente, i cronisti e croniste palestinesi sono stati fondamentali nel documentare gli eventi sul campo.

Secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti, dall’inizio della guerra almeno 197 giornalisti, giornaliste e operatori  e operatrici dei media sono stati uccisi a Gaza, di cui almeno 184 palestinesi uccisi dagli attacchi israeliani. Altre organizzazioni riportano un numero di vittime più elevato, tra cui Reporter senza frontiere (220) e il Sindacato palestinese dei giornalisti (250).

Il bilancio di 82 vittime nel 2024 lo ha reso l’anno il più mortale per il personale giornalistico da quando si è cominciato a registrare il dato, nel 1992.

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Una tregua in vista?

Il 15 settembre Israele ha lanciato un’offensiva via terra nella città di Gaza, inviando carri armati e truppe nei quartieri chiave.

Da allora, centinaia di migliaia di palestinesi sono fuggiti verso sud, mentre quelli rimasti devono affrontare bombardamenti e carenze di cibo, acqua e medicine. Le organizzazioni umanitarie avvertono che si rischiano sfollamenti di massa, un aumento del numero di vittime e l’aggravarsi della crisi umanitaria

L’intensificarsi della diplomazia

La pressione internazionale per fermare la guerra si è intensificata. Il 12 settembre, l’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato la “Dichiarazione di New York” a sostegno di una soluzione a due Stati per il prolungato conflitto israelo-palestinese, con 142 voti a favore, 10 contrari e 43 astensioni.

La soluzione prevede uno Stato palestinese in Cisgiordania e Gaza, con capitale Gerusalemme Est, basato in gran parte sui confini esistenti prima della guerra arabo-israeliana del 1967.

La Dichiarazione invoca l’istituzione di uno Stato “vitale” accanto a Israele, un cessate il fuoco immediato, il rilascio degli ostaggi, il disarmo di Hamas e la fine della crisi umanitaria.

Nel mese di settembre, Regno Unito, Canada, Australia, Portogallo, Francia, Belgio, Lussemburgo, Malta, Andorra e Monaco hanno riconosciuto la Palestina come Stato, unendosi a oltre 140 Paesi in tutto il mondo.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha definito il riconoscimento della Palestina “una ricompensa assurda per il terrorismo”, aggiungendo che non ne permetterà mai la costituzione.

Un passo decisivo?

In una svolta diplomatica a sorpresa, il presidente americano Donald Trump ha annunciato il 9 ottobre che Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo, atteso da tempo, per un cessate il fuoco e la liberazione delle persone ancora in ostaggio. L’accordo, articolato in più fasi, prevede anche la libera circolazione degli aiuti umanitari verso Gaza.

“Le Nazioni Unite sosterranno l’attuazione integrale dell’accordo e intensificheranno la fornitura di un’assistenza umanitaria sostenibile e basata su principi. Promuoveremo inoltre gli sforzi di ripresa e ricostruzione a Gaza”, ha dichiarato il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres.

Guterres ha poi esortato tutte le parti “a cogliere questa opportunità storica per stabilire un percorso politico credibile verso la fine dell’occupazione, il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e l’attuazione di una soluzione a due Stati che consenta a israeliani e palestinesi di vivere in pace e sicurezza”.

Gaza in macerie

Molti esperti ed esperte sottolineano che le possibilità di creare uno Stato palestinese “vitale” appaiono scarse quando Gaza è in rovina e l’espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania continua.

L’OSNU, l’agenzia dell’ONU responsabile dei programmi satellitari, ha identificato un totale di quasi 193’000 edifici danneggiati, corrispondenti a quasi l’80% degli edifici complessivi nella Striscia. I dati delle Nazioni Unite mostrano che 436’000 case nel territorioCollegamento esterno (pari al 92% del totale), quasi 3500 km di strade (il 77% della reteCollegamento esterno) e oltre il 90% delle scuole sono state distrutte o danneggiate.

Circa il 70% degli impianti idrici e igienico-sanitari si trova all’interno di zone militarizzate israeliane, per cui risulta perlopiù inaccessibile alla popolazione civile.

L’attuale guerra a Gaza ha generato più macerie del totale dei conflitti più distruttivi degli ultimi anni.

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Articolo a cura di Nerys Avery e Virginie Mangin

Traduzione di Camilla Pieretti

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