“Essere utili alla Svizzera”
"Il mio desiderio è che noi diventiamo una risorsa per lo sviluppo della Svizzera e non un problema", dice una delle cinque rifugiate ucraine che si raccontano in questa raccolta di testimonianze e in cui evidenziano ciò che apprezzano e che cosa manca loro nel Paese d'accoglienza.
Stando ai dati della Segreteria di Stato della migrazione, alla fine di maggio 2022 oltre 52’000 rifugiate e rifugiati ucraini erano registrati in Svizzera, di cui 7’000 nel canton Berna. Tra questi ci sono Darya Kaysina, Darina Scherban, Natalia Klots, Olga Zhuk e Larisa Verbitskaya. Le cinque donne condividono con noi l’idea che si sono fatte del nostro Paese.
Larisa Verbitskaya, responsabile di progetto a Kharkiv
“In Ucraina mi occupavo dell’assistenza tecnica dei progetti sostenuti dall’Unione europea e dalle Nazioni Unite. Ho collaborato con sfollate e sfollati interni che avevano dovuto lasciare le regioni di Luhans’k e Donetsk. E ora sono io la rifugiata”, dice Larisa Verbitskaya, di 52 anni. Fino allo scoppio della guerra, la vita della madre di un ingegnere di 28 anni, che vive ora in California, era dedita unicamente al lavoro.
La donna ricorda molto bene la mattina del 24 febbraio, quando un’amica l’ha chiamata dicendole: ‘È iniziata la guerra!’. “Ero sotto shock, non potevo crederci”, racconta Verbitskaya che quel giorno si trovava a Kiev per lavoro. Quattro giorni dopo, quando ha visto un razzo dalla finestra del suo appartamento, ha deciso di lasciare la città in treno. La sua destinazione: Leopoli. Gli amici di suo figlio le hanno dato appuntamento in Moldavia. Poi il viaggio è continuato. Larisa ha attraversato la Romania e l’Ungheria. A Budapest le hanno proposto di raggiungere la Svizzera perché “era il Paese dove si concentravano gli aiuti umanitari”. Ha scelto di venire a Berna perché conosceva due insegnanti con cui aveva collaborato in passato.
Prevenire i traumi psicologici
Dalla fine di marzo, Larisa partecipa ai progetti dell’Esercito della salvezza. “Si tratta di sostenere psicologicamente le rifugiate e i rifugiati ucraini e di aiutarli ad integrarsi”, spiega. “Molti soffrono di una sindrome post-traumatica. Non rimanere con le mani in mano, fare qualcosa può essere una strategia efficace per evitare che il trauma diventi cronico. È per questo che ho aderito a questa iniziativa con cui, oltre agli altri, aiuto me stessa”.
Ultimamente, Larisa è stata relatrice al Forum economico mondiale di Davos. Ha inoltre organizzato un evento culturale ucraino a Berna a cui hanno preso parte oltre 200 svizzere e svizzeri. Ora è ospite di una famiglia a Zollikofen. “La Svizzera che ho conosciuto quando ho viaggiato per lavoro è molto diversa da quella che incontro oggi. L’idea di un Paese cambia se lo si visita da turista o da rifugiata”, dice Larisa, evidenziando che si ritiene molto fortunata. “Sono grata per l’aiuto che ho ricevuto qui. Non mi aspettavo che la gente fosse così aperta. Tutti mostrano molta comprensione nei nostri confronti e provano compassione per noi. C’è molta gente che vuole aiutarci”.
Ad interessarla è la storia e il sistema politico svizzero. Non è però un’amante della burocrazia. “In fatto di digitalizzazione, l’Ucraina è più avanti rispetto alla Svizzera”, indica Larisa. “Tutti abbiamo vissuto la stessa esperienza quando abbiamo voluto aprire un conto bancario presso Postfinance”. Secondo lei, il servizio degli istituti bancari ucraini è migliore ed è più orientato ai bisogni della clientela. “Vorrei condividere le mie esperienze con la gente di qui perché credo che l’amministrazione pubblica e le banche elvetiche potrebbero funzionare meglio”, dice la manager e aggiunge concludendo che “il mio desiderio è che noi ucraini diventiamo una risorsa per lo sviluppo della Svizzera e non un peso”.
Darina Scherban, venditrice di prodotti dell’infanzia a Zaporiggia.
Darina Scherban, di 29 anni, è originaria di Dnipro e madre di due figlie di tre e sei anni. Prima della guerra viveva tranquillamente a Zaporiggia. “Le esplosioni delle bombe ci hanno svegliati alle quattro del mattino”, ricorda la giovane donna. Dopo il primo shock, la famiglia ha deciso di trasferirsi a Taromske, nell’area metropolitana di Dnipro, dove vivono i suoi genitori. “Abbiamo fatto in fretta e furia le valigie e siamo fuggite lo stesso giorno”, dice Darina. Lo scoppio di tre razzi caduti a poca distanza dalla loro abitazione ha fatto tremare l’intera casa. “Quel giorno abbiamo deciso che avrei lasciato il Paese, portando con me Diana e Malia”. Era il 12 marzo, Darina prende il treno a Chelm, in Polonia. Il viaggio prosegue per Lublino, Poznan e poi per Berlino e Amburgo.
“Una cugina si trovava nel Centro federale di asilo a Zurigo. Grazie a lei ho saputo che non era difficile registrarsi in Svizzera”, sono questi i motivi per cui decide di venire nel nostro Paese che ha raggiunto il 29 marzo, dopo 17 giorni di viaggio. Dopo aver superato il confine viene trasferita in un bunker per rifugiati a Lyss. Per la registrazione si è recata a Berna, dove è stata subito accolta in una casa privata. “È una famiglia molto gentile con due figli. Ci hanno dato una stanza, mi hanno aiutata con le questioni amministrative e hanno trovato un posto per le mie figlie in un asilo nido. Mi hanno inoltre aiutata a trovare alloggio”, dice piena di riconoscenza.
Ora è molto contenta
All’inizio, Darina non era sicura di aver preso la decisione giusta. “La Svizzera è un Paese ricco con una natura straordinaria. Avevo paura che qui tutto fosse troppo caro”, spiega. Ora i suoi dubbi si sono dissipati ed è molto contenta. “Sono molto grata agli svizzeri e alle svizzere. La gente è molto gentile e aperta. In generale, il Paese mi piace molto”, afferma. C’è però una cosa che le manca. “Nell’asilo nido si occupano delle figlie solo per due o tre ore al giorno, mentre in Ucraina potevano rimanervi tutto il giorno”.
Natalia Klots, medica di famiglia e pneumologa di Mykolaïv
Nemmeno Natalia Klots immaginava che potesse scoppiare una guerra. “Non avrei mai pensato che potesse avvenire una cosa del genere”, dice la trentatreenne, medica di famiglia e pneumologa. In marzo dovevo partecipare a un congresso di medicina familiare a Kiev. Due settimane prima dell’inizio del conflitto, le invitate e gli invitati stranieri hanno annullato il loro viaggio in Ucraina. “Secondo loro, stava per scoppiare la guerra e quindi non volevano correre alcun rischio”, ricorda. Prima dell’inizio delle ostilità, Natalia viveva nella città di Mykolaïv con suo marito, anche lui medico.
La situazione è improvvisamente cambiata quando una bomba a grappolo è scoppiata in giardino, danneggiando la loro casa. “Siamo stati fortunati a non essere stati colpiti da una scheggia e a uscirne illesi”, racconta. Dieci giorni dopo, Natalia ha preparato le valigie, è andata in macchina a prendere la madre e il cane e ha lasciato la città. Un’amica le aveva suggerito di raggiungere Berna e così ha fatto. Quando sono arrivate in Svizzera, una conoscente russa le ha aiutate con le formalità. Dopo la registrazione in un centro federale per richiedenti l’asilo, Natalia e sua madre sono state accolte da una donna, mamma di due figlie ormai adulte, in una casa nella periferia della capitale. “Sono grata alla Svizzera per tutto ciò che mi sta offrendo, come le telefonate gratuite in Ucraina. Non credo ci siano molti Paesi che hanno accolto la popolazione ucraina in maniera così generosa”.
Gente aperta e accogliente
La sua amica di Mykolaïv le aveva parlato molto bene della Svizzera. È per questo che ha deciso di venire qui. “Ero già stata in molti Paesi europei, ma non ero mai stata in Svizzera”, dice Natalia. “La realtà conferma ciò che si dice di questo Paese”. La trentatreenne è affascinata dai treni e dalla puntualità dei mezzi di trasporto pubblico. Ma ciò che ammira di più è la capacità delle svizzere e degli svizzeri di conciliare vita professionale e vita privata. “Vedo che la gente è molto impegnata e lavora molto, però è anche capace di godersela”, racconta. A sorprenderla è anche il fatto che i centri commerciali rimangono chiusi di domenica. “In Ucraina, molti supermercati sono aperti 24 ore su 24, sette giorni su sette”. A Natalia piace l’idea di dedicare un giorno alla famiglia.
In questo momento le manca molto la sua professione. Le piacerebbe poter indossare di nuovo il camice bianco. “Non voglio dipendere dall’assistenza. Amo il mio mestiere e voglio aiutare la gente”, afferma. “Spero di poter lavorare come medico e un giorno non troppo lontano di riabbracciare mio marito in Svizzera”.
Olga Zhuk, avvocato e imprenditrice di Kharkiv
Olga Zhuk ha vissuto un’esperienza drammatica. Originaria di Kharkiv, la quarantaseienne, madre di una figlia di 22 anni e di un figlio di 20 anni, ha deciso di lasciare la città e di unirsi con degli amici. “Ho pensato che sarebbe stato meglio affrontare questa situazione e la paura con altre persone, piuttosto che soffrire da sola”, racconta. Per questo motivo si è trasferita in una casa a Cherkaska Losova. L’abitazione costruita da un ex architetto militare era dotata di un bunker antiaereo, trasformato in un dormitorio.
A un certo punto, Olga decide di ritornare a Kharkiv. “Sapevo molto bene quando i soldati facevano la pausa, quali strade si potevano percorrere senza correre troppi pericoli per raggiungere la città. Tuttavia avevo una paura terribile”, racconta. Quando è arrivata a Kharkiv ha deciso di lasciare l’Ucraina. Alle sei del mattino del 26 marzo ha chiamato un taxi che l’ha portata alla stazione. Lì ha preso un treno destinato alle persone che volevano lasciare il Paese. La prima tappa del suo viaggio è stata Leopoli. Due giorni dopo aveva raggiunto Zurigo.
“La Svizzera è un Paese meraviglioso”
Dopo aver raggiunto la Svizzera, ha trovato alloggio presso un centro di rifugiati a Berna. Inizialmente voleva raggiungere la figlia che studia neurobiologia in Inghilterra. Per questo motivo ha inoltrato una richiesta di un visto all’ambasciata britannica. Ma viste le lungaggini burocratiche ha deciso di registrarsi in Svizzera per ottenere lo statuto di protezione S. Finalmente, in aprile le autorità inglesi le hanno concesso il visto. Nel frattempo, era stata accolta in casa da una giovane coppia bernese. “Di giorno lavorano e quando rientrano ceniamo assieme. A volte ci vediamo alla mattina mentre sorseggiamo un caffè. Mi hanno dato una stanza”, spiega Olga.
In Svizzera mi trovo molto bene. “È un Paese meraviglioso. L’aria è poco inquinata e l’acqua è pulita”. Quando è arrivata a Berna, la città le è piaciuta talmente che ha deciso di fermarsi qui. “È una capitale molto bella”, dice. In questo momento frequenta lezioni di tedesco. Visto che sa molto bene l’inglese non ha alcuna difficoltà di comunicazione. Ritornare a Kharkiv per ora impensabile. “È troppo pericoloso”.
Darya Kaysina, filologa e professoressa di Kharkiv
“Quando è iniziata la guerra, mia madre era con me a Kharkiv. Mio padre si trovava invece a Kramators’k. Ci doveva raggiungere quel giorno lì. Gli abbiamo telefonato la mattina del 24 febbraio, pregandolo di non mettersi in viaggio perché era troppo pericoloso. Da allora non l’ho più visto”. Così ricorda Darya Kaysina il giorno in cui è scoppiata la guerra. La professoressa, originaria di Kramators’k, viveva da 12 anni a Kharkiv, capitale universitaria dell’Ucraina dall’epoca sovietica. La filologa insegnava all’Università nazionale Vasili Karazin. A causa del conflitto le lezioni sono state interrotte per quattro settimane. “I server sono stati spostati. Una delle università di Poltava ci ha messo a disposizione le sue apparecchiature”, spiega Darya. Attualmente la ventottenne continua a dare lezioni, ma a distanza da un appartamento a Gümligen, comune nella periferia di Berna, dove vive con la madre e i suoi animali domestici, una gatta e un pappagallo grigio africano.
Come mai hanno scelto la Svizzera? “Perché è un Paese neutrale, non fa parte né della NATO né di un’altra alleanza militare. La possibilità, ipotetica e remota, che l’Ucraina potesse entrare nella NATO ha offerto alla Russia il pretesto di scatenare questa guerra”, risponde Darya. “La Svizzera sostiene le sanzioni, ma da un punto di vista militare è una nazione neutrale. Per questo motivo può essere considerata un porto sicuro”. La professoressa ha già visitato la Svizzera. “Adoro questo Paese per la sua natura e la bellezza dei suoi paesaggi. Inoltre ammiro il sistema politico federale”. Sarebbe felice se l’Ucraina dovesse ispirarsi al federalismo elvetico. “È un modello straordinario. La Svizzera si è dotata del miglior modello democratico al mondo”. Anche il plurilinguismo la affascina. “La Svizzera è così eterogenea eppure così unita. Le svizzere e gli svizzeri parlano tante lingue e hanno un background culturale diverso. Non si accontentano però di coesistere. Come filologa nutro una grande ammirazione per questa unità e per il multilinguismo istituzionale”.
In debito con il suo karma
Durante un incontro della comunità ucraina a Berna, organizzato in marzo da un’associazione che si impegna a favore delle persone rifugiate in Svizzera, Darya ha incontrato la popolazione locale. “Sono rimasta sorpresa dal numero di bernesi che hanno partecipato all’incontro. Ci hanno chiesto come potessero aiutarci. È incredibile ciò che state facendo per noi”, sottolinea la donna. “Accogliete in casa vostra delle perfette sconosciute e mettete gratuitamente a disposizione i vostri appartamenti. Ci aiutate con i bambini e le bambine, le persone anziane e gli animali domestici. Inoltre organizzate momenti d’incontro per favorire l’integrazione sociale. La nostra religione non conosce il karma, ma in questo momento mi sento in debito con il mio karma perché sono stata aiutata così tanto. Sto cercando un modo per sdebitarmi per tutto ciò che mi state dando”.
Questo articolo è dedicato alla memoria di Belén Couceiro.
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