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La Svizzera riattiva la propria ambasciata in Irak

grafico swissinfo.ch

Il Consiglio federale ha deciso mercoledì di riattivare l'attività dell'ambasciata svizzera in Irak. Per il momento verrà utilizzata quale ufficio di collegamento per attività umanitarie e per sostenere gli interessi economici svizzeri.

L’attività dell’ambasciata svizzera in Irak venne sospesa il 12 gennaio 1991, quando l’ambasciatore Friedrich Moser e due suoi collaboratori furono richiamati in Patria dal ministro svizzero degli esteri di allora che era René Felber (eletto in governo il 9 dicembre 1987 assieme all’attuale presidente della Confederazione Adolf Ogi). L’ambasciata svizzera a Bagdad rimase aperta grazie all’apporto del personale iracheno: quattro persone continuarono infatti a lavorare sotto la direzione dell’assistente commerciale.

L’Irak, da parte sua, aveva già chiuso la propria ambasciata a Berna il 13 dicembre 1990. La motivazione ufficiale invocata fu quella di “motivi d’ordine amministrativo e finanziario” che non vennero però precisati. Da più parti si collegò quella chiusura (che all’inizio di definì provvisoria, ma che in realtà prosegue tuttora) all’operazione Califfo, la crisi scoppiata tra Svizzera ed Irak dopo che il dittatore iracheno Saddam Hussein proibì agli stranieri di lasciare il Paese, prendendo in ostaggio anche degli svizzeri.

La decisione di evacuare il personale diplomatico svizzero dalla sede diplomatica di Bagdad fu imposta dalla gravità del momento. Cinque giorni dopo la partenza dell’ambasciatore Moser e dei suoi due collaboratori, il 17 gennaio 1991, scoppiò infatti la guerra del Golfo, che coinvolse gli Stati Uniti in un conflitto contro l’Irak di Saddam Hussein condotto in nome delle Nazioni Unite e non ancora risoltosi a distanza di quasi dieci anni. Non passa ormai quasi giorno che i bombardieri statunitensi e britannici non scarichino i loro carichi mortali di bombe nelle cosiddette zone di sicurezza al nord ed al sud dell’Irak.

La guerra del Golfo, unita ai grandi cambiamenti della politica internazionale intervenuti negli anni 1989/91 e rappresentati in primis dal crollo dei regimi comunisti nell’Europa dell’Est e dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, modificarono in profondità l’ordine mondiale fino ad allora esistente. Questi drammatici cambiamenti della politica internazionale si ripercossero ovviamente nella politica estera svizzera.

Ciò determinò che il Consiglio federale, pur riaffermando il principio della neutralità quale mezzo principale della politica estera e di sicurezza, rese questo strumento più flessibile. Le conseguenze furono che la Svizzera nel 1990 partecipò per la prima volta, anche se in maniera autonoma, all’embargo decretato dalle Nazioni Unite contro l’Irak. Durante la guerra del Golfo la Svizzera prese poi parte alle misure economiche adottate dalla comunità internazionale, senza però giungere fino al punto di contribuire alle sanzioni militari.

Come diversi altri Paesi la Svizzera non ha mai rotto le relazioni diplomatiche con Bagdad. Adesso, dopo dieci anni di sanzioni internazionali e di embargo economico, che hanno provocato solo il depauperamento della popolazione irachena senza centrare l’obiettivo primario di rovesciare il regime di Saddam Hussein che, anzi, ne esce rafforzato, da più parti si chiede la riammissione dell’Irak nella comunità delle Nazioni. I principali fautori di questa politica del riavvicinamento sono Russia e Cina e, più tiepidamente, anche la Francia.

In questo contesto la riapertura a pieno titolo della sede diplomatica elvetica a Bagdad, oltre a consentire di poter operare meglio a molte imprese svizzere che esportano prodotti farmaceutici, ospedalieri, alimentari ed altri beni di consumo a fini umanitari, potrebbe riportare la diplomazia svizzera a giocare, a livello internazionale, quel ruolo di mediazione venuto a mancare negli ultimi anni. L’occasione è a portata di mano: la cronaca prossima ventura ci dirà se Berna avrà saputo cogliere il momento.

Sergio Regazzoni

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