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Presidenziali americane: vince Bush dopo l’abbandono di Gore

Raggiante, il governatore del Texas, George W. Bush, insieme alla moglie Laura, accetta la sua elezione alla presidenza degli Stati Uniti Keystone

"In nome dell'unità nazionale e della forza della nostra democrazia, riconosco la mia sconfitta": con queste parole il candidato democratico Al Gore ha messo fine a 36 giorni di battaglie politico-giuridiche che hanno paralizzato l'America.

Dall’ufficio delle onorificenze della Casa Bianca, l’ormai ex-candidato alla presidenza ha lanciato un appello alla riconciliazione nazionale, pur facendo notare che l’accettazione della disfatta non è priva di accenti critici: “Non ho condiviso la decisione della Corte Suprema – ha precisato il vicepresidente uscente – ma accetto la sconfitta. Ora dobbiamo lavorare tutti insieme per il bene del Paese”.

Accanto a Gore, la moglie, le figlie, i più stretti collaboratori non hanno nascosto la forte emozione e la delusione per un esito che ha traumatizzato il paese. “Ora é tempo di andarmene” ha scherzato Gore, ricordando che 8 anni fa l’invito di andarsene lo aveva rivolto a un certo George Bush, l’allora presidente.

Con il figlio dell’ex presidente, Al Gore vuole intrattenere rapporti concilianti: martedì prossimo ci sarà già un primo incontro per la definizione delle modalità di transizione.

Un’ora dopo Gore, è stata la volta del presidente-eletto: George W. Bush, raggiante, ha parlato alla nazione dalla sala del parlamento texano ad Austin. Accolto da scroscianti applausi, il futuro quarantatreesimo presidente degli Stati Uniti ha lanciato un appello a superare steccati, rancori e contrapposizioni partigiane.

“Sarò il presidente di tutti gli americani e non solo di chi mi ha eletto” ha sottolineato Bush, citando a mo’ di esempio la sua esperienza alla guida del Texas, dove ha governato senza chiudere le porte all’opposizione.

Il calendario post elettorale prevede che lunedì 18 dicembre i grandi elettori votino per ratificare l’elezione del nuovo capo dello Stato. Si chiuderà allora e in modo definitivo la lunga saga che ha sconvolto il paese: è dunque uno scarto di 537 voti su 6 milioni, ovverosia lo 0,009 percento delle schede della Florida, a consegnare i 25 grandi elettori che permetteranno a Bush di superare di un solo punto la fatidica soglia dei 270 grandi elettori.

Mai negli ultimi 130 anni vi era stato uno scarto tanto ridotto. Mai nella storia un presidente era stato eletto dopo una sentenza di un tribunale. Senza contare che Bush non ha neppure ottenuto la maggioranza del voto popolare, andata per oltre 300.000 voti al suo antagonista.

La vittoria di Bush non spegne comunque le polemiche: la sentenza della corte suprema, che ha fatto emergere la spaccatura politica della massima istanza, ha creato un inedito clima di sfiducia nei confronti di un organismo che beneficiava finora di un’aura di enorme credibilità: «Non conosceremo mai con certezza l’identità del vincitore delle elezioni presidenziali di quest’anno. L’identità di chi ha perso è però chiarissima: ha perso la fiducia della nazione nella magistratura, come imparziale guardiano della legge». La frase, scritta da uno dei giudici della minoranza progressista della corte, campeggia su molti giornali americani, come fosse un epigrafe del lungo capitolo elezioni 2000.

Il paese è ora chiamato a rimarginare le ferite. E sono molte : le elezioni hanno fatto emergere una spaccatura tra bianchi e neri, spesso anche tra sessi, tra il centro sud e le coste occidentale e nord-orientale.

La comunità elvetica negli Stati Uniti, dai cittadini americani di origine svizzera agli Svizzeri che vivono e lavorano in America, aveva esternato una sostanziale preferenza per il vincitore odierno. L¹opzione Bush era stata in particolare quella prediletta dagli ambienti economici elvetici : da Novartis a Nestlé fino al Credit Suisse First Boston , le grandi aziende avevano puntato sul governatore del Texas, facendo confluire importanti somme di denaro nelle casse del suo partito.Contrariamente a 4 anni fa, quando puntarono su Robert Dole, questa volta la scelta repubblicana si è dimostrata vincente.

Roberto Antonini, Washington

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