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Hong Kong, gli attivisti in esilio resistono alla Cina dalla Svizzera

folla di gente con ombrelli aperti per le strade do hong kong
Il "movimento degli ombrelli" è una protesta pro-democrazia a Hong Kong iniziata il 28 settembre 2014, quando la polizia ha usato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti che chiedevano elezioni trasparenti. Keystone/ALEX HOFFORD

Di fronte alla stretta sui diritti imposta dal Governo cinese, sempre più attivisti e attiviste pro-democrazia di Hong Kong cercano rifugio all’estero – anche nella capitale svizzera, Berna.

A prima vista, la Svizzera sembrerebbe una destinazione improbabile per gli attivisti e le attiviste di Hong Kong intenzionati a resistere alla repressione di Pechino.

Nel Paese infatti vivono poco più di un migliaio di persone provenienti dall’ex colonia britannica, a fronte dei circa 750’000 hongkonghesiCollegamento esterno emigrati più o meno equamente in Regno Unito, Stati Uniti e Canada.

Inoltre, dopo la stretta sui diritti politici imposta alla città nel 2020, la Svizzera, a differenza di altri Paesi, non ha introdotto procedure speciali o accelerate per il rilascio di visti e permessi di soggiorno agli hongkonghesi.

Eppure l’organizzazione per i diritti umani Amnesty International quest’anno ha sceltoCollegamento esterno proprio Berna, la capitale elvetica, come sede legale per la sua sezione dedicata a Hong Kong, la prima gestita interamente in esilio. L’organizzazione afferma di essere stata costretta a chiudere gli uffici di Hong Kong perché una legge sulla sicurezza nazionale – che consente irruzioni, arresti e processi arbitrari – metteva a rischioCollegamento esterno il suo personale.

La decisione di Amnesty testimonia le solide garanzie legali in materia di tutela della privacy offerte dalla Svizzera, così come la stabilità politica e lo stato di diritto del Paese; soprattutto se si considera che le operazioni della nuova sezione Amnesty International Hong Kong Overseas (AIHKO) non si svolgono in Svizzera, ma sono coordinate da attivisti e attiviste della diaspora che lavorano in Australia, Canada, Taiwan, Regno Unito e Stati Uniti.

“La Svizzera dispone di forti tutele legali che proteggono le informazioni riservate del nostro personale, dei nostri sostenitori e di altri stakeholder”, afferma a Swissinfo Fernando Cheung, membro del comitato di AIHKO ed ex parlamentare di Hong Kong. Il Paese, aggiunge, ha un sistema giuridico solido e un ambiente sociale stabile, “fattori che permettono alle organizzazioni della società civile – in particolare a quelle che, come la nostra, difendono i diritti umani – di operare senza interferenze”.

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Protezione dei dati a rischio con l’intelligenza artificiale

Scegliere una giurisdizione con leggi rigorose sulla protezione dei dati sta diventando sempre più importante per ogni tipo di organizzazione che si occupa di diritti umani. I governi, le aziende tecnologiche e persino le reti criminali raccolgono sempre più dati. I costi di archiviazione diminuiscono e l’intelligenza artificiale è ormai in grado di analizzare velocemente enormi quantità di dati. Tutto ciò significa che qualsiasi informazione ottenuta può essere conservata e processata virtualmente per sempre.

Un anno fa, la Thomson Reuters Foundation (un’organizzazione indipendente a difesa della libertà di stampa) ha pubblicato una guidaCollegamento esterno sulla protezione dei dati destinata alle organizzazioni non governative. La capacità di sorveglianza della Cina si estende anche all’estero, mettendo a rischio chi si oppone al regime.

“”La Svizzera dispone di forti tutele legali che proteggono le informazioni riservate del nostro personale, dei nostri sostenitori e di altri stakeholder”.

Fernando Cheung, AIHKO

Dal 2023 la Svizzera si è allineata al Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) dell’Unione Europea, la legislazione più rigorosa al mondoCollegamento esterno in materia di privacy e sicurezza. Le organizzazioni con sede sul territorio elvetico devono includere la protezione dei dati sin dalla progettazione dei propri sistemi e servizi, e non possono raccogliere informazioni non essenziali senza previo consenso dell’interessato.

Negli Stati Uniti, invece, il presidente Donald Trump ha firmato a marzo un ordine esecutivo che mira a centralizzare l’accesso ai dati, agevolando la condivisione di informazioni tra agenzie federali. La ONG Human Rights Watch ha criticatoCollegamento esterno la misura, affermando anche che la normativa statunitense sulla privacy, risalente agli anni Settanta, “non risponde alle esigenze moderne”.

In Canada, i tentativi di modernizzare la legislazione sulla privacy elettronica sono in stalloCollegamento esterno. Il Regno Unito è stato criticato per il Data Use and Access Act, una legge approvata quest’anno che mirava a semplificare la normativa sulla privacy digitale, ma che secondo i suoi detrattori ha indebolito le tutele esistenti. L’organizzazione European Digital Rights (EDRi), la più grande associazione europea per la difesa della libertà digitale, ha esortatoCollegamento esterno l’Unione Europea a non compiere un “passo indietro” simile a quello del Regno Unito.

OpenAI e le prove della sorveglianza cinese

Leggi di questo tipo potrebbero diventare sempre più necessarie, specialmente perché i progressi dell’intelligenza artificiale permettono a Stati autoritari come la Cina di rafforzare la propria capacità di sorveglianza.

A febbraio OpenAI, la compagnia statunitense che ha sviluppato ChatGPT, ha dichiarato Collegamento esternodi aver scoperto che alcuni gruppi cinesi avevano utilizzato la sua tecnologia per identificare e segnalare automaticamente post anti-regime pubblicati sui social occidentali. Era la prima voltaCollegamento esterno che l’azienda trovava prove dirette di queste operazioni. OpenAI ha detto di avere anche scoperto che altre tecnologie statunitensi erano state utilizzate per la creazione di contenuti in inglese contro i dissidenti cinesi.

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La Cina ha intensificato la persecuzione dei difensori dei diritti umani all’estero: gli attivisti e le attiviste fuggiti da Hong Kong sono vittime di attacchi e minacce, mentre i loro familiari rimasti in città vengono presi di mira dalle autorità.

Joey Siu, membro del consiglio di AIHKO, è ricercata dalle autorità di Hong Kong. La accusano di aver violato la legge sulla sicurezza nazionale, “colludendo con Paesi stranieri ed elementi esterni”. Sulla sua testa pende una taglia di un milione di dollari hongkonghesi. A gennaio ha ricevuto per e-mail alcune offerte per “un’assicurazione sulla vita in caso di eventi accidentali, inclusi funerale e sepoltura” – un tentativo di intimidazione, racconta a Swissinfo.

A maggio, la polizia di Hong Kong ha preso di mira la famiglia di Anna Kwok, la direttrice esecutiva dell’Hong Kong Democracy Council (HKDC), un’organizzazione pro-democrazia con sede negli Stati Uniti. Le autorità hanno arrestatoCollegamento esterno suo padre e suo fratello accusandoli di “aver tentato di gestire direttamente o indirettamente beni o risorse economiche appartenenti a, o controllate da, un latitante”.

Dissidenti nel mirino anche all’estero

Ad agosto Carmen Lau, che dal 2021 vive nel Regno Unito e lavora per l’HKDC, ha accusatoCollegamento esterno la polizia britannica di averle chiesto di autocensurarsi e astenersi dal partecipare a manifestazioni pubbliche. Secondo quanto riportato dal quotidiano Guardian, i suoi vicini di casa hanno ricevuto per posta l’offerta di una ricompensa di 100’000 sterline in cambio di informazioni sui suoi spostamenti o per consegnarla direttamente alle autorità.

Molti hongkonghesi sono stati costretti a lasciare la città dopo che Pechino, nel 2020, ha scavalcato il Governo locale e imposto nuove leggiCollegamento esterno – tra cui quella sulla sicurezza nazionaleCollegamento esterno – di fatto criminalizzando l’opposizione pubblica e il dissenso.

La stretta è arrivata dopo mesi di proteste contro un disegno di legge sull’estradizione che avrebbe consentito di processare cittadini e cittadine di Hong Kong nei tribunali della Cina continentale. Le manifestazioni, inizialmente focalizzate su quella proposta di legge, si erano poi trasformate in una lotta più ampia per i diritti democratici.

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All’epoca la legge sulla sicurezza nazionale aveva suscitato allarme tra i dipendenti di Amnesty Hong Kong, poiché la sua formulazione vaga rendeva “impossibile sapere quali attività potessero portare a sanzioni penali”. I media pro-Pechino, come il Ta Kung Pao, cominciarono a prendere di mira la sezione locale di Amnesty, accusandola di colludere con forze straniere e di essere al servizio dei Governi occidentali intenzionati a destabilizzare Hong Kong.

Queste tensioni spinsero Amnesty a chiudere i suoi due uffici nella città nel 2021. Non fu la sola a decidere di andarsene.

Da giugno 2020, quando la legge sulla sicurezza nazionale è stata inserita nella costituzione de facto di Hong Kong (la Basic Law), oltre 58 organizzazioni della società civile sono state costrette a sciogliersi, secondoCollegamento esterno Michael Mo, ricercatore dell’Università di Leeds. Amnesty stimaCollegamento esterno che più di 100 tra ONG e testate giornalistiche siano state chiuse o costrette a lasciare la città.

Il lavoro continua in esilio

Come Amnesty, molte altre organizzazioni hanno trasferito le proprie attività all’estero: tra queste il già citato Hong Kong Democracy Council negli Stati Uniti e Hong Kong Watch nel Regno Unito. Questi gruppi cercano di entrare in contatto con le comunità della diaspora, documentare le violazioni dei diritti umani a Hong Kong e richiamare l’attenzione della comunità internazionale sulla situazione della città.

Anche in esilio, molti temono di essere colpiti da Pechino: la maggior parte delle persone contattate da Swissinfo ha preferito non esprimersi.

“Non è un buon momento per intervistare gli hongkonghesi all’estero”, dice un attivista che ha chiesto l’anonimato per evitare ritorsioni. “Molti scelgono di non dire niente e mantenere un profilo basso. Solo chi ha già fatto emigrare tutta la famiglia trova il coraggio di esporsi pubblicamente”.

La Cina e i suoi sostenitori nazionalisti hanno contribuito ad alimentare queste paure.

A maggio, la BBC ha riferitoCollegamento esterno che un attivista pro-Pechino di Hong Kong, Innes Tang, intendeva trasferirsi in Svizzera per fondare una testata giornalistica. Tang è noto per aver denunciato decine di persone per presunte violazioni della legge sulla sicurezza nazionale. Swissinfonon ha trovato alcuna compagnia registrata a suo nome nel Paese. Secondo la BBC, Tang partecipa regolarmente a convegni presso la sede di Ginevra delle Nazioni Unite, dove espone il punto di vista cinese su Hong Kong.

“Mi preoccupa la possibilità che anche qui in Svizzera ci siano cittadini cinesi o di Hong Kong che raccolgono i nomi dei dissidenti coinvolti in movimenti democratici e li segnalano alle autorità con l’accusa di violare la legge sulla sicurezza nazionale”, racconta James Sun*, che nel 2019 ha partecipato alla manifestazione “Solidarity with Hong Kong – No Extradition to China” davanti al consolato cinese di Zurigo.

Sun, come molti altri, ormai evita di discutere la politica di Hong Kong sui social media. Ma considera la creazione di uffici per i diritti umani “in esilio”, come quello di Amnesty in Svizzera, un’occasione per unire e rafforzare la voce degli hongkonghesi.

“Non voglio restare in silenzio per sempre”, dice.

*Pseudonimo utilizzato su richiesta dell’intervistato per proteggerne l’identità.

A cura di Tony Barrett/vm

L’identità dell’autore di questo articolo è stata volutamente tenuta segreta per motivi di sicurezza.

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