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Messa a fuoco sull’effimero e il selvaggio nelle Alpi

Forme scomposte e lacerate vengono alla luce dopo il disgelo. Tonatiuh Ambrosetti

Nella sua più recente serie fotografica intitolata «Deus ex Machina» e attualmente esposta all’istituto di Architettura del Politecnico federale di Zurigo, il giovane fotografo ticinese Tonatiuh Ambrosetti esplora i limiti della forma selvaggia della natura.

Non è la prima volta che Tonatiuh Ambrosetti punta l’obiettivo della sua macchina analogica di grande formato sulla natura. Anzi, da quando ha deciso di concretizzare la sua passione per la fotografia in una professione, il trentenne di Ponte Capriasca ha sviluppato un percorso artistico che ha individuato proprio nella natura il soggetto principale delle sue ricerche.

Accanto ai lavori realizzati su commissione, che si muovono soprattutto nell’ambito del design e dell’architettura, Ambrosetti ha infatti trovato nella fotografia di paesaggio, il genere più consono a ospitare ed esprimere le proprie riflessioni sull’esistenza.

Lo sguardo che egli rivolge alla natura non è mai estatico e le sue immagini non esplorano il paesaggio attraversandone la bellezza. Seppur carichi di un certo estetismo, i suoi scorci di natura propongono una lettura contemporanea della realtà e instaurano sempre un rapporto dialogico – più o meno diretto – con l’essere umano.

Trasformazione come sottotesto

La contemporaneità dello sguardo di Ambrosetti è testimoniata in modo particolare dalla presenza di un tema che costituisce, di fatto, l’argomento principale del suo lavoro e come un filo rosso attraversa tutta la sua ricerca artistica: la trasformazione.

Già nella serie «Wolfschanze» (Polonia, 2005) il cui concetto esplicito era il mimetismo, l’obiettivo di Ambrosetti era quello di puntare il focus sul modo in cui la vegetazione ha inghiottito e quindi trasformato il complesso di bunker di Hitler in Polonia.

«War Games» (Svizzera, 2004-2005) invece, aveva per soggetto la simulazione alla guerra e questo gruppo di foto apriva scorci su come l’esercito svizzero modifica il paesaggio per prepararsi al combattimento.

Di natura più esplorativa, documentaristica e in un certo qual modo di denuncia sono invece le serie di immagini scattate in Iran, dove l’artista si è recato nel 2006 per conoscere le condizioni dei milioni di rifugiati afghani che vivono in quel paese in condizioni di totale illegalità.

«Non sono riuscito a fotografare le persone perché ciò implicava far correre loro dei rischi con il regime che non mi sono sentito di prendere. Quindi ho fotografato le loro case e i loro quartieri perché trovo che i luoghi possono raccontare molto di più delle persone su certe situazioni», racconta a swissinfo l’artista.

L’incontro con la montagna

Solo dopo diverse sperimentazioni Ambrosetti ha individuato nelle Alpi un terreno perfetto per la sua esplorazione sui cambiamenti. E nelle sue serie dedicate alla montagna, il fotografo ha cercato di continuo scorci che mostrano come l’essere umano ha modificato il paesaggio.

«Noi abbiamo scavato delle gallerie, costruito delle dighe, dei laghi artificiali, dei passi alpini e abbiamo modificato il territorio senza accorgercene. E adesso abbiamo l’abitudine di passeggiare nelle nostre Alpi, ma senza renderci conto che abbiamo semplicemente incluso nel nostro background di ‘ciò che è naturale’ tutti questi interventi», sottolinea Ambrosetti.

Dopo la bellissima e impressionante serie intitolata «Memento» (Svizzera, 2007-2008) che documenta i movimenti e le trasformazioni che hanno avuto luogo nei ghiacciai e che riflette sulla loro regressione, nel nuovo gruppo di foto presentate a Zurigo, Tonatiuh Ambrosetti apre un secondo capitolo della sua ricerca nelle Alpi.

Se precedentemente con l’obiettivo della sua Linhof 4×5 ha immortalato i cambiamenti lenti delle glaciazioni e delle erosioni, in questa nuova serie egli è andato alla ricerca dei segni lasciati nella natura da eventi stagionali improvvisi e violenti come quelli che restano sul territorio dopo una valanga o quelli più effimeri del lampo durante una tempesta.

Alla ricerca di una natura incontaminata

Le piste seguite da Ambrosetti in questo nuovo ciclo di lavori sono quelle di una natura selvaggia e intatta che si trasforma sotto l’influsso delle stagioni o in seguito ad avvenimenti atmosferici di breve durata. Ed è proprio per il carattere sfuggente del tema che Ambrosetti ha scelto di chiamare questo nuovo gruppo «Deus ex Machina».

«Il titolo viene da una figura del teatro greco che implica un’azione che arriva in modo sorprendente, senza che nessuno se l’aspetti» spiega il fotografo. «E visto che la mia esposizione parla di avvenimenti estremamente improvvisi, ho trovato che si adattava perfettamente al soggetto, sia in relazione alla loro durata che al loro carattere effimero.»

Buona parte delle immagini presentate a Zurigo – poche ma di altissima qualità – hanno per soggetto rami piegati e spezzati o alberi sradicati e portati a valle insieme a terra e detriti, dalla furia delle valanghe.

Le forme scomposte e lacerate di ciò che compare dopo il disgelo, fotografate da Ambrosetti nel 2009 soprattutto in Ticino e nel Vallese, appaiono come le stigmate della violenza e brutalità improvvisa dell’inverno.

Uomo e natura, una frontiera sensibile

Sebbene al primo impatto possa sembrare che l’artista punti il suo obiettivo su una natura in completa balia di se stessa, le sue immagini contengono in realtà interrogativi molto precisi sul ruolo e le responsabilità dell’uomo.

«Il mio non è uno sguardo militante ambientalista, ma trovo che dobbiamo fare attenzione al modo in cui stiamo cambiando il paesaggio e il territorio perché certi interventi possono avere delle conseguenze anche gravi» sottolinea Ambrosetti. «E il senso della mia serie è porre delle domande su quali sono i nostri limiti d’intervento, che cosa la natura fa e qual è il nostro posto. Insomma è una frontiera molto sensibile.»

Paola Beltrame, swissinfo.ch, Zurigo

La mostra fotografica «Deus ex Machina» si può visitare fino al 23 marzo nel foyer di Architettura del Politecnico federale di Zurigo Hönggerberg.

Oltre alla serie «Deus ex Machina», scattata in Ticino (soprattutto Val Bedretto) e nel Vallese nel 2009, sono presentate alcune immagini della serie «Gaïa» dedicata ai lampi e alla Capanna del Monte Rosa di cui Ambrosetti ha documentato tutti i lavori di costruzione su commissione del Politecnico.

Sia le foto artistiche che quelle su commissione sono scattate con una Linhof Technika 5, modello 4×5 inch.

Figlio di un patrizio di Bodio e di una nativa americana delle cui origini porta traccia nel nome Tonatiuh (il dio sole della mitologia azteca), Ambrosetti è nato il 13 dicembre 1980 a Sorengo ed è cresciuto a Ponte Capriasca.

Dopo aver conseguito la maturità a Lugano, si è trasferito a Losanna per studiare prima all’Università e poi alla Scuola Cantonale d’Arte (ECAL) dove, dopo il diploma in design e fotografia, nel 2008 ha ottenuto anche un master of art.

Durante gli studi si è subito avvicinato alla tecnica della fotografia analogica di grande formato che usa ancora oggi per l’eccellente definizione e per la sua stabilità anche in condizioni meteorologiche estreme.

Oltre alle serie fotografiche su commissione nell’ambito del design e dell’architettura, Ambrosetti ha realizzato un discreto numero di progetti artisti che hanno per soggetto principale i paesaggi naturali.

Tra le sue esposizioni più significative si ricordano: Sélection ECAL 2006 (Losanna, 2006), Regarde-Moi en Face (Evian, Francia 2008), ALT+1000 (Rossinière, Svizzera 2008), Moyard (Morges, Svizzera 2009).

Ambrosetti vive e lavora tra Losanna e Lugano.

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