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Il debito dei Paesi in via di sviluppo cresce, la Svizzera fa abbastanza?

Centro finanziario di San Paolo
Paulista avenue, centro finanziario di San Paolo. Fred Pinheiro / Alamy Stock Photo

L'ONU suona il campanello d'allarme sulla situazione critica del debito dei Paesi in via di sviluppo. La Svizzera ha sbloccato 39 milioni di franchi supplementari ed è attiva nelle istanze internazionali per aiutare il rifinanziamento e la ristrutturazione del debito. È sufficiente?

È una conseguenza indiretta della pandemia di Covid-19: il debito dei Paesi in via di sviluppo è esploso, con un impatto su quasi la metà della popolazione mondiale.

La Svizzera ha annunciato in settembre un aumento di 39 milioni di franchi del suo contributo annuale fino al 2028 per aiutare i Paesi in via di sviluppo a gestire una crisi che potrebbe compromettere lo sviluppo economico di una parte dell’Africa e dell’America meridionale.

Questa somma, in crescita costante dal 2017, si aggiunge a quanto la Confederazione versa ogni anno all’aiuto pubblico allo sviluppo (APS). Nel 2021, i fondi dell’APS hanno superato i 3,2 miliardi di franchi.

La Segreteria di Stato dell’economia (SECO) indica che una delle priorità della Svizzera nell’ambito della politica estera per il periodo 2021-2024 è di “promuovere una crescita economica sostenibile nei Paesi in via di sviluppo tramite una buona governance e istituzioni pubbliche forti”.

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Il contributo elvetico coincide con un appello lanciato lo scorso ottobre dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP). In un rapporto intitolato Avoiding “Too Little Too Late” (“Evitare il ‘troppo poco, troppo tardi'”), l’UNDP mette in guardia sulle conseguenze catastrofiche del sovraindebitamento cronico dei Paesi più poveri.

“Molti Paesi soffrono di un sovraindebitamento che impedisce loro di finanziare nuovi investimenti favorevoli alla crescita e di aumentare le spese di sviluppo indispensabili”, si legge nel documento.

Se il problema del debito nei Paesi in via di sviluppo e la sua mitigazione non sono una novità, l’UNDP e molte ONG sono preoccupati dall’ampiezza del fenomeno, aggravato dalla pandemia di Covid-19 e dalla guerra in Ucraina che hanno affondato le finanze pubbliche. Il debito globale di questi Stati ha raggiunto il 205% del prodotto interno lordo nel 2020. Nel 2018, la percentuale era del 174%.

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Dal canto suo, il presidente della Banca mondiale, David Malpass, ha messo in guardia lo scorso ottobre contro la gravità della situazione annunciando che il mondo è confrontato con “una quinta crisi del debito”.

“Cinquantaquattro Paesi non possono più pagare gli interessi del loro debito o non possono più rimborsarlo autonomamente”, spiega l’esperto svizzero di finanza internazionale e politica fiscale Dominik Gross, della ONG Alliance Sud, con sede a Berna.

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Iniziative “inefficaci e insufficienti”

In risposta a questa nuova crisi, la Svizzera aveva già sostenuto, nel febbraio del 2022, la sospensione provvisoria del servizio del debito per 48 Paesi. Tuttavia, questa iniziativa è stata criticata, tra gli altri, dall’UNDP, secondo cui non è più adatta  alle necessità dei Paesi più vulnerabili, in particolare perché copre solo il debito bilaterale e impone condizioni d’accesso che esclude una parte dei Paesi.

Dall’agosto 2021, in partenariato con il Fondo monetario internazionale (FMI), la Confederazione partecipa anche all’implementazione dei diritti speciali di prelievo (DSP), uno strumento monetario internazionale a complemento delle riserve ufficiali esistenti dei Paesi membri dell’FMI.

Per alleggerire il carico finanziario legato al Covid-19, l’FMI aveva approvato uno stanziamento totale per un importo di 650 miliardi di dollari. Tuttavia, i DSP sono stati distribuiti innanzitutto ai Paesi membri proporzionalmente alla quota di partecipazione all’FMI.  Solo 275 miliardi di dollari sono arrivati ai Paesi in via di sviluppo.

Questo programma non puntava ai Paesi che avevano più bisogno di riserve supplementari (ovvero, i Paesi meno ricchi) ed era, da questo punto di vista, “molto inefficace”, afferma Lars Jensen, economista dell’UNDP. La sua implementazione, inoltre, è stata molto lenta e l’FMI si era impegnato a stanziare 117 miliardi supplementari per le economie più fragili.

La Svizzera fa parte dei Paesi meno indebitati al mondo. Siede in tutti gli organismi internazionali attivi per la riduzione e la ristrutturazione del debito dei Paesi in via di sviluppo. È membro, ad esempio, del Club di Parigi – il cui ruolo è trovare soluzioni alle difficoltà di rimborso -, del Fondo monetario internazionale, della Banca mondiale e di diverse istanze del G20.

La Svizzera opera in seno a queste istituzioni tramite la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) e la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), la sua agenzia per l’aiuto allo sviluppo.

Concretamente, la Confederazione “sostiene i Governi partner nella pianificazione [dei rimborsi e degli investimenti], nell’approvazione dei bilanci, nella loro implementazione e revisione in conformità con gli standard internazionali”, spiega Lorenz Jacob, della divisione della cooperazione economica della SECO.

La Svizzera stila, ad esempio, delle roadmap per la gestione del bilancio, per la limitazione della corruzione o per fissare il livello di tassazione. Fornisce ai Paesi a reddito intermedio servizi di consulenza tecnica personalizzati. Li aiuta anche a elaborare solidi sistemi di gestione del debito e di analisi dei rischi al fine di ridurre la vulnerabilità agli shock finanziari. Tra gli Stati beneficiari di questi programmi si trovano l’Albania, l’Egitto, la Colombia, il Ghana, la Serbia e la Tunisia.

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La Svizzera può fare di meglio

La solidarietà della Svizzera non convince però tutti. Diversi specialisti, specialiste e ONG puntano il dito contro una certa ipocrisia nei discorsi della Confederazione, ad esempio negli appelli contro la corruzione quando, negli ultimi anni, diversi scandali hanno investito delle aziende elvetiche nei Paesi in via di sviluppo. Si possono citare i casi di Credit Suisse in Mozambico, di UBS in Papua Nuova Guinea o i legami sospetti di Glencore, gigante del commercio di materie prime con sede a Baar (Canton Zugo), con il Chad.

Alla Svizzera è anche rimproverata una debole partecipazione finanziaria. “Tenendo conto del ruolo della Confederazione in quanto Paese dove hanno sede  importanti creditori privati, non basta partecipare con modesti contributi ai programmi di riduzione del debito dell’FMI o della Banca mondiale”, sostiene Gross, di Alliance sud.

Come l’UNDP, l’esperto si aspetterebbe una maggiore partecipazione da parte delle imprese private, in particolare dalle banche. Queste ultime beneficiano degli interessi dei crediti che concedono ai Paesi poveri senza però nessun obbligo di partecipazione all’aiuto allo sviluppo.

Altri sviluppi

Per integrare meglio questi capitali privati, una soluzione evocata da diversi anni sarebbe di mettere attorno a un tavolo le banche elvetiche, la società civile e le agenzie pubbliche di aiuto allo sviluppo. “Ciò permetterebbe di negoziare soluzioni specifiche per ridurre il debito di questi Paesi”, secondo Gross. Già nell’estate del 2020, Alliance sud e altre ONG svizzere, tra cui Swissaid, Azione quaresimale, Helvetas o Terres des Hommes Sivzzera, avevano criticato il Consiglio federale per non aver risposto al loro appello, nonostante molti interventi parlamentari.

Alliance Sud ritiene inoltre che la Svizzera possa trasferire tutti i suoi DST (più di 11 miliardi di dollari nel 2021) ai Paesi sovraindebitati affinché abbiano a disposizione delle liquidità. “La Svizzera non ha bisogno di questi soldi”, dichiara Gross. Tuttavia, ciò implicherebbe una modifica della legge federale sull’aiuto monetario internazionale, una svolta di competenza del Parlamento. Al momento, però, nulla è in programma.

Una soluzione globale

“Ci aspettiamo una risposta globale per aiutare a sbloccare i finanziamenti dello sviluppo e per incoraggiarlo sul lungo termine tramite capitali privati”, afferma Angela Lusigi, rappresentante del UNDP in Ghana.

Propone, ad esempio, una riforma completa del sistema di rating e un sostegno per reindirizzare le economie dei Paesi in via di sviluppo verso le esportazioni, il che permetterebbe loro di accumulare valute estere per rimborsare il debito.

“La Svizzera sostiene le ristrutturazioni del debito per i Paesi in cui il debito non è più sostenibile”, assicura da parte sua Lorenz Jacob, della SECO.

A cura di Virginie Mangin e Pauline Turuban

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