Partire, o restare? La situazione della diaspora siriana in Libano resta difficile
La popolazione siriana in Libano ammonta a oltre un milione di persone. Fra loro ci sono molti bimbi e bimbe che da sempre vivono in una tenda in campi profughi segnati dalla povertà. Se dopo la caduta del regime di Assad alcune persone sono tornate in Siria, sono decine di migliaia quelle che ora fuggono il Paese.
Il panorama politico libanese è profondamente diviso. Fra i pochi temi su cui gli schieramenti si trovano d’accordo, c’è l’annosa questione dei rifugiati siriani: tutti i partiti concordano che devono lasciare il Paese.
Secondo le stime dell’UNHCRCollegamento esterno, in Libano vivono oltre 1,1 milioni di siriani e siriane, ovvero circa un sesto della popolazione complessiva della piccola nazione. Una cifra che fa del Libano lo Stato che al mondo ha la più alta quota in assoluto di rifugiati.
In seguito alla caduta, nel 2024, del regime di Assad, nel Libano si era diffusa la speranza che sarebbe stato possibile il loro ritorno in patria. Ci credeva la popolazione originaria, e ci credeva anche quella rifugiata. La situazione, però, è a tutt’oggi rimasta assai complessa.
“In Siria, per noi non c’è nulla”, dice Hannah Djasem, una rifugiata quarantenne che incontriamo davanti ad un edificio scolastico. Sta aspettando con altre donne la fine delle lezioni, che frequenta anche suo figlio Omar. Djasem è fuggita con la famiglia da Idlib 14 anni fa, e da allora vive in un arrangiato campo profughi a Saadnayel, nella valle della Beqa’. Siamo nel Libano orientale, a un passo dal confine siriano, in un contesto privo di prospettive e marcato da condizioni di vita sempre più difficili.
Suo figlio Omar va a scuola in un centro gestito da Salam, un’organizzazione non governativa dedicata all’infanzia rifugiata in Libano dalla Siria. Salam offre istruzione di base e attività per il tempo libero a oltre 260 creature, nonché assistenza psicosociale ai loro genitori. Frequentano l’offerta di Salam anche bimbi e bimbe di famiglie libanesi povere, come quelle che per esempio non possono permettersi di sostenere i costi per il trasporto necessario a raggiungere una scuola pubblica.
In lista d’attesa ci sono ulteriori 90 bambini, ma l’ONG non ha le risorse finanziarie per coinvolgere più personale insegnante. Sottolinea, per Salam, Islem Said: “È importante, oltre alla scuola, garantire a bimbi e bimbe sicurezza e normalità”.
Altri sviluppi
Macerie e droni: nella zona vietata tra Libano e Israele
La guerra, nel 2024, fra Israele e Hezbollah ha portato infatti distruzione e sfollamento anche nella valle di Beqa’, per un conflitto che è tuttora in corso. Se nel novembre 2024 è entrato in vigore un armistizio fra Libano e Israele, la situazione resta ad alta tensione. Tel Aviv continua a condurre frequenti operazioni militari contro le milizie libanesi, soprattutto nel sud del Paese e nella valle di Beqa’.
La nostra visita nella piccola cittadina di Saadnayel è accompagnata dal sottofondo acustico continuo di droni israeliani che solcano i cieli. “È una situazione che contribuisce al costante stress di bambini e bambine”, commenta Islem Said.
La Svizzera è presente in Libano con una moltitudine di iniziative per l’aiuto allo sviluppo, mentre l’ambasciata elvetica di Beirut è responsabile anche delle relazioni diplomatiche con la Siria. Nel Paese sono attive sia la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), che diverse organizzazioni non governative svizzere.
I progetti citati nell’articolo sono realizzati da Salam – Associazione Libanese per lo Sviluppo e la ComunicazioneCollegamento esterno, un’organizzazione locale che funge da partner esecutivo per la ONG svizzera Terre des hommesCollegamento esterno.
La Catena della Solidarietà organizza dal 13 al 20 dicembre una settimana di raccolta fondi straordinariaCollegamento esterno. Le offerte saranno destinate a progetti per la protezione dell’infanzia dalla violenza e dai maltrattamenti, incluso il progetto di Salam di cui racconta questo nostro articolo.
La Catena della Solidarietà è una fondazione che raccoglie denaro a favore delle persone più colpite dalle avversità in Svizzera, così come per quante nel mondo siano afflitte da catastrofi e crisi umanitarie. La Catena della Solidarietà rappresenta inoltre l’impegno umanitario di SRG, di cui fa parte anche SWI swissinfo.ch.
L’effetto dei tagli ONU
Non è scontato, che l’infanzia siriana rifugiata in Libano riceva una qualche formazione scolastica. Su circa 500’000 bambine e bambini, infatti, appena la metà va a scuola. Il settore dell’assistenza ai rifugiati in Libano, poi, dipende in buona sostanza dai finanziamenti dall’estero, finanziamenti che continuano a diminuire.
La storia recente del Paese ha ulteriormente peggiorato la situazione di rifugiati e rifugiate. Nel 2019, il prodotto interno lordo è stato dimezzato da una clamorosa crisi economica, che ha spinto sotto la soglia della povertà una parte della popolazione libanese. Situazione aggravata dall’era Covid, da un’esplosione nel porto di Beirut nel 2020, da una situazione di stallo in politica e infine, dalla guerra del 2024.
In Libano, anche la situazione dell’economia è difficile, mentre a livello mondiale si susseguono tagli all’aiuto allo sviluppo. Racconta Hannah Djasem, che lei stessa riceveva dall’UNHCR un contributo di 140 dollari. “Non era certo una cifra mirabolante, ma ci aiutava a pagare l’affitto della tenda dove viviamo”. Il contributo è stato sospeso qualche mese fa. Due suoi figli adolescenti hanno dovuto interrompere gli studi, e mettersi a lavorare. Anche suo marito, altri due figli più grandi e lei stessa quando possibile lavorano, sempre se trovano qualcosa da fare.
“Tutta la famiglia si industria, e nonostante questo non arriviamo da nessuna parte”, commenta Djasem. Perché chi è rifugiato dalla Siria, nel mercato libanese è sottoposto a severe limitazioni: può lavorare solo in agricoltura, nell’edilizia e nel settore delle pulizie. I salari di riferimento sono bassi, mentre il pregiudizio contro la diaspora siriana è profondamente radicato nel Paese.
Centinaia di migliaia di persone rifugiate vivono la stessa condizione della famiglia di Djasem. Di fronte hanno spesso la scelta fra una vita miserabile da questa, o dall’altra parte del confine con la Siria. Si stima che oltre 200’000 persone siano rientrate in patria in seguito alla caduta di Assad. Ma almeno 100’000 sono al contrario fuggite dalla Siria, per un’ondata di nuove persone rifugiate, soprattutto appartenenti a minoranze religiose che oggi temono la persecuzione del nuovo regime guidato dalla milizia islamista Hay’at Tahrir al-Sham (HTS). Inoltre, c’è anche chi è sì rientrato in patria, per poi tornare a rifugiarsi in Libano, perché nella liberata Siria non aveva trovato alcuna possibilità di sopravvivenza.
Il tempo sta per scadere
Nel frattempo, il Libano ha aumentato la pressione sulla diaspora siriana, perché lasci il Paese. Anche se il Governo di Beirut è ben consapevole, che la popolazione rifugiata subisce forti discriminazioni.
Il vice primo ministro Tarek Mitri è un paladino del dialogo interreligioso in una nazione caratterizzata da molte confessioni. Conferma a Swissinfo: “Nel nostro Paese, è evidente che c’è razzismo contro siriani e siriane. Ma è anche vero, che il destino di rifugiati e rifugiate viene fortemente strumentalizzato, in chiave demagogica, dai partiti politici”. Mitri fa parte di un Governo di riforma e ci tiene a sottolineare che la diaspora siriana non rappresenta un pericolo per il Libano.
“Per decine di anni, non abbiamo avuto vere e proprie relazioni diplomatiche con la Siria. Abbiamo appena cominciato a lavorare per ristabilirle”, spiega. Naturalmente, la questione di cosa fare della diaspora siriana, ne è un punto nevralgico.
La famiglia di Hannah Djasem, nonostante le difficoltà, prova comunque a mettere da parte qualche soldo. Per ricostruire la sua casa distrutta in Siria, in modo da “tornare a casa, e poter vivere in maniera dignitosa”.
Articolo a cura di Benjamin von Wyl
Traduzione di Serena Tinari
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