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I luoghi della memoria sospesi tra mare e cielo

Mnemosine per Venezia: mostra del pittore ticinese Pierre Casè nella chiesa di San Stae a Venezia (foto: uessearte.it)

Uno svizzero nella chiesa degli svizzeri. "Mnemosine per Venezia" è il titolo della mostra del ticinese Pierre Casè inserita nella chiesa di San Stae a Venezia.

Un’esposizione singolare, sicuramente monumentale, generata nella sua fase originaria dall’ictus che nel 1999 ha colpito l’artista che vive e lavora a Maggia, nell’omonima valle.

Otto marzo 2007. Sono da poco passate le due del pomeriggio. I venditori di mimose – tutti uomini – sbucano dalle calli, frettolosi. Si fermano ad ogni angolo di Venezia sventolando senza grande convinzione sparuti mazzetti gialli. Così se ne stanno con le braccia piene di quelle mimose che nessuno vuole.

Numerosi turisti si soffermano sul portone chiuso della chiesa di San Stae: “Oggi la chiesa rimane chiusa, ci scusiamo per l’inconveniente”. Dentro, loro non lo sanno, l’artista ticinese Pierre Casè sta ultimando gli ultimi dettagli per l’inaugurazione ufficiale della mostra, il 9 marzo. Sul lato destra della chiesa, una porticina con un improbabile campanello mimetizzato nel legno. Proviamo a suonare.

“Eccola qui, ti aspettavo”. Pierre Casè ci accoglie con quel suo sorriso a tratti beffardo, con gli occhi celesti e vivaci, circondati da un paio di occhialini con una montatura argentata. E subito riaffiorano i ricordi, quelli lontani, i più recenti. E quelli che ancora devono costruirsi. Ci prende per mano e in mezzo alla chiesa dice: “Ecco qua. Ecco che cosa ho combinato in due anni di lavoro”.

Come due “murales” di narrazioni emotive

Due istallazioni – come due lunghi “murales” di impronte cerebrali cariche di frasi non dette e per questo colme di emozioni – convergono verso l’altare maggiore di San Stae. Le “Mnemosine”, o teste arcaiche – che a San Stae vengono proposte 1040 volte in progressione numerata – sono formelle originate dal metallo, dalla sabbia e dal catrame.

Esse imitano, come in una radiografia, il calco di due emisferi cerebrali, a ricordare l’incubo della perdita di intelligenza, sensibilità e memoria che può cogliere l’uomo quando la malattia irrompe nella vita, squarciando la quotidianità. E’ esattamente quanto è capitato a Pierre Casè, colpito da un ictus nel 1999.

“Mi sono sentito come se mi avessero tagliato esattamente a metà con un righello – racconta a swissinfo Pierre Casè, mostrando con il gesto la sensazione della cesura. Una parte di me non rispondeva più, era totalmente paralizzata. E’ stato angosciante. Mi ricordo che guardavo l’indice della mano sinistra e gli dicevo: tu devi tornare a muoverti, non puoi stare fermo”.

“Guardavo attorno a me alcuni giovani in sedia a rotelle. E continuavo a ripetermi che mai avrei potuto accettare quella condizione. E così ho lottato. Con tutto il coraggio e le risorse disponibili. Non appena ne ho avuto la forza e sebbene ancora parzialmente debilitato nei movimenti, passavo giornate intere nel mio atelier, tra i colori, gli odori, il disordine, le emozioni, le vibrazioni di un silenzio soltanto apparente”.

Artigiano della condizione umana

I colori, appunto, che nel buio dello smarrimento dovuto alla malattia, accendono la notte, indicano il percorso, distinguono le emozioni, compongono il firmamento della condizione umana. Perché in fondo Pierre Casè, in questa sua opera monumentale, ci appare davvero come l’artigiano della condizione umana. Un artigiano che dialoga attraverso il linguaggio universale dell’arte.

Una condizione svelata nella sua fragilità e nella sua intimità, declinata nell’ossessiva ricerca di omologazione imposta dalla società, narrata nella serialità e nella ripetitività degli incalzanti cicli produttivi. Una condizione umana che però Pierre Casè riscatta. Riscatta attraverso la luce, il colore, portatore di vita attraverso l’energia che la forza cromatica trasmette facendo vibrare la corda del cuore.

“Ogni Mnemosine, che è la dea della memoria, ha un colore diverso, nessuna è uguale. Nonostante la società ci voglia tutti ben quadrati (e quadrato, non a caso, è il supporto di ognuno dei 1040 emisferi), attraverso il colore ho voluto restituire al nostro vivere collettivo, la singolarità dell’individuo. Ogni emisfero riprodotto – spiega Casè – è un singolo ritratto cromatico, perché noi siamo tutti diversi. Quindi unici”. Come unico e singolare è il destino di ciascuno di noi, con il quale dobbiamo confrontarci.

“Saper interpretare i lievi movimenti e mutamenti cerebrali, non attraverso i freddi calcoli della scienza ma attraverso la corrosiva e invadente manipolazione dei materiali elaborati in un’azione tecnico-alchemica – leggiamo nel contributo critico all’opera di Pierre Casè – concede all’artista il vantaggio della prima mossa, dell’invenzione. Così l’arte si apparenta con la scienza e con la medicina, proprio come accadeva agli albori della nostra civiltà”.

San Stae, la chiesa degli svizzeri

Per Venezia il pittore ticinese ha voluto operare in due direzioni. La prima è appunto quella che affonda le radici nell’ictus e nel conseguente travaglio umano, costellato da momenti di difficile superamento.

La seconda prende consistenza dalla storia e dalle suggestioni della chiesa di San Stae, in parte realizzata dall’architetto neoclassico ticinese Domenico Rossi, restaurata negli anni Ottanta dalla Confederazione Svizzera tramite la Fondazione Pro Venezia e luogo deputato ad accogliere parte della presenza svizzera alla Biennale di Venezia.

L’operazione Mnemosine a Venezia non si ferma però qui. Sì, perché Pierre Casè ha voluto portare in questa sua avventura anche suo fratello, scomparso due anni fa: ossia il poeta e narratore Angelo Casè :”Siamo sempre stati legati da una grandissima complicità, e non solo a livello artistico. Lui diceva con le parole quel che io esprimevo, ed esprimo, con le immagini. Ho voluto che Angelo fosse qui con me, che la morte l’ho solo sfiorata”.

swissinfo, Françoise Gehring, Venezia

Dal 10 marzo al primo maggio la chiesa di San Stae a Venezia accoglie la mostra “Mnemosine per Venezia” di Pierre Casè. L’evento veneziano è accompagnato da un catalogo edito da Fidia edizioni d’arte di Lugano/Milano, introdotto da testi di Luciano Caprile, Maurizio Ferraris e Graziano Martignoni.

Sono esposte anche le fotografie di Marco D’Anna quali elaborazioni del tema testa-cranio, associate alle poesie di Angelo Casè, fratello dell’artista, recentemente scomparso.

La mostra è stata realizzata con il patrocinio del Consigliere federale Pascal Couchepin, la Città di Venezia, Consolato generale di Svizzera a Milano, Repubblica e Canton Ticino, Pro Helvetia, Istituto Svizzero di Roma e Fondazione Svizzera Pro Venezia.

Nato a Locarno nel 1944, Pierre Casè vive e lavora a Maggia nel Canton Ticino. Ha frequentato negli anni 1960-64 lo studio di Bruno Nizzola e ha proposto la sua prima mostra personale nel 1964 alla Galleria Cittadella di Ascona.

Presidente prima (1980) della sezione Ticino e poi (1987) a livello nazionale della SPSAS – Società Pittori Scultori Architetti Svizzeri – ne ha incrementato notevolmente le attività.

Nominato nel 1990 direttore artistico della Pinacoteca Casa Rusca, incarico che ha mantenuto fino al 2000, si è occupato direttamente della cura delle mostre, che hanno coinvolto alcuni dei più significativi maestri dell’arte europea. Ha saputo inserire la pinacoteca nei circuiti internazionali più prestigiosi.

Dal 2000 il suo lavoro è tutto dedicato alla produzione artistica. Da sempre, Casè è pittore e lungo è l’elenco delle esposizioni tenute in spazi pubblici e privati. Tra le rassegne più recenti, vanno ricordate:

– 1998 al Museo Russo di San Pietroburgo e al Manège di Mosca
– 1999 alla Galleria SPSAS di Locarno
– 2001 alla Galleria del Credito Valtellinese ( Palazzo Sertoli ) di Sondrio
– 2002 alla Kunstgarten Galerie Hedy Ernst di Mühlehof e presso il Design Center di Langenthal
– 2003 alla Galleria San Carlo di Milano, alla Galleria Rotta di Genova e al Museo Civico Floriano Bodini di Gemonio
– 2004 l’antologica alla Pinacoteca Casa Rusca di Locarno.

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