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I vicini hanno difeso anche l’hotel svizzero a Tunisi

Saccheggio di un grande magazzino a Biserta, 15 gennaio 2011. Keystone

La rivoluzione in Tunisia ha paralizzato il settore turistico, afferma Marco Bernasconi. Il direttore ticinese di un hotel della catena Mövenpick a Tunisi racconta a swissinfo.ch come ha vissuto, assieme ai suoi collaboratori, i giorni della rivolta popolare.

«Durante la rivoluzione l’hotel è sempre stato aperto», ci dice Marco Bernasconi. Da due anni, l’espatriato svizzero vive con la famiglia in un sobborgo di Tunisi, dove dirige un albergo a quattro stelle della catena Mövenpick.

«Non si sapeva esattamente cosa stava succedendo. La violenza nelle strade è scoppiata rapidamente e in modo inaspettato. Tutti eravamo molto preoccupati». Era più facile ottenere informazioni dalle reti internazionali che dai canali televisivi nazionali, ricorda Bernasconi.

A dare inizio alla rivoluzione tunisina, il 17 dicembre 2010, è stato il gesto del venditore ambulante di frutta Mohamed Bouazizi. Il laureato disoccupato si è dato fuoco di fronte a un edificio pubblico di Sidi Bouzid, un villaggio a 250 chilometri a sud di Tunisi, per protestare contro l’arbitrarietà dello Stato e le vessazioni perpetrate dalla polizia.

Parte della popolazione si è solidarizzata con Bouazizi ed è scesa in piazza per manifestare il proprio malcontento. Contro il forte rincaro dei prezzi dei generi alimentari e dell’energia, contro le pessime prospettive per i giovani laureati e contro il regime corrotto e autoritario al potere da 23 anni.

Dal sud del paese, le proteste si sono poi diffuse in diverse città fino a raggiungere la capitale.

Turisti in fuga

 

«I clienti stranieri hanno lasciato il paese appena ne hanno avuto l’occasione. Li abbiamo aiutati a trovare un volo. Non sapevamo esattamente come si sarebbe evoluta la situazione», ricorda Bernasconi. Le principali società estere presenti in Tunisia hanno aiutato le famiglie dei loro collaboratori a rientrare in patria.

A inizio gennaio, le manifestazioni di protesta a Tunisi e in altre città sono state represse con il pugno di ferro dalle forze dell’ordine.

La situazione era critica in diverse zone del paese. Il centro di Tunisi è stato assediato da soldati e carri armati. All’esercito è poi subentrata un’unità speciale della polizia dotata di veicoli blindati.

Il 14 gennaio, il presidente Ben Ali ha lasciato il paese. Due giorni più tardi, il palazzo presidenziale di Karthage, un quartiere di Tunisi, è stato teatro di violenti scontri tra l’esercito e le guardie del corpo dell’ex reggente.

Nelle settimane della rivoluzione, i clienti del Mövenpick hotel erano perlopiù stranieri residenti a Tunisi che lavoravano per ditte estere, afferma Bernasconi. «Abitavano nelle vicinanze del palazzo presidenziale, un luogo diventato assai rischioso. Si udivano gli scontri a fuoco tra l’esercito e le milizie di Ben Ali».

Libertà di movimento limitata

«Ad un certo momento non si poteva più circolare su automobili con targhe straniere. La milizia aveva infatti iniziato a muoversi con questi veicoli, dai quali sparava sulla folla. I militari hanno quindi deciso di bloccare e controllare i veicoli con targhe estere», spiega l’albergatore svizzero.

Gli stranieri non potevano spostarsi in città nemmeno con i taxi, aggiunge. «Questo perché sono stati arrestati dei cittadini tedeschi in possesso di fucili da caccia. Questi turisti erano venuti in Tunisia per andare a caccia e contavano di far ritorno a casa durante la rivoluzione. Sono però stati fermati sulla strada che li stava portando all’hotel».

Questa vicenda aveva dato origine a una serie di rumori, secondo cui delle milizie tedesche erano in Tunisia per combattere contro i fedeli del presidente. «Ovviamente non era affatto vero. Ma c’erano talmente tante notizie false che non si sapeva più a cosa credere», dice Bernasconi.

Polizia assente

Un momento particolare è bene impresso nella memoria di Marco Bernasconi. «Per un paio di giorni la polizia era totalmente assente. Molti quartieri si sono quindi organizzati e i residenti hanno difeso la loro zona con bastoni e armi bianche».

Tra la popolazione locale e gli stranieri si è creata una grande solidarietà. Anche l’albergo è stato difeso dai vicini. «Si e ci difendevano dagli anarchici e dai criminali che volevano approfittare della situazione».

Nei giorni della rivolta, la maggior parte dei dipendenti dell’hotel è rimasta a casa, a fianco delle loro famiglie. «Lavoravamo con il personale al minimo, con i dipendenti che non avevano famiglia». Alla fine del turno di lavoro non potevano più tornare a casa e quindi hanno potuto alloggiare nell’albergo.

«In seguito ci siamo resi conto che i saccheggi si verificavano soltanto nei negozi, nelle abitazioni e nelle proprietà che appartenevano all’ex presidente, a sua moglie o ai membri del suo clan».

Un po’ a sorpresa, la situazione all’hotel è tornata rapidamente alla normalità. «Gli uomini d’affari sono tornati, ma dobbiamo aspettare i prossimi mesi per vedere come reagirà il turismo». Il settore turistico tunisino, conclude il direttore dell’hotel, è semplicemente…crollato.

Il 19 gennaio 2011, una settimana dopo la caduta del regime di Ben Ali, la Svizzera ha bloccato gli eventuali averi depositati in Svizzera dall’ex presidente e da una quarantina di persone del suo entourage.

Lo stesso è stato fatto nel mese di febbraio nei confronti dell’ex presidente egiziano Hosni Mubarak e dei suoi collaboratori, così come per il leader libico Muammar Gheddafi.

Non si sa con certezza a quanto ammontino gli averi di Mubarak. L’ipotesi che assieme al figlio abbia accumulato fino a 70 miliardi di dollari ha dato origine alle proteste che hanno poi portato alla caduta del suo regime.

I fondi depositati in Svizzera rimarranno congelati per tre anni.

Se in questo lasso di tempo non si riuscirà a provarne l’origine illecita, gli averi saranno sbloccati. In caso contrario, i paesi interessati dovranno elaborare, assieme alla Svizzera, un sistema di restituzione.

Il Consiglio federale agirà secondo la Legge federale sulla restituzione dei valori patrimoniali di provenienza illecita di persone politicamente esposte (LRAI), entrata in vigore il 1. febbraio di quest’anno.

Traduzione e adattamento di Luigi Jorio

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