Il declino di Davos: il Forum economico mondiale può ancora salvarsi?
Tormentato dagli scandali, l’ente svizzero che organizza il celebre summit annuale a Davos sta attraversando un momento di crisi. Secondo fonti interne, il suo futuro potrebbe dipendere dal successo dell’incontro del prossimo anno.
All’inizio di agosto, il consiglio di amministrazione del Forum economico mondiale (WEF) si è visto presentare un rapporto riservato di 37 pagine. Il documento illustrava i risultati di un’indagine approfondita durata mesi, che aveva coinvolto una delle istituzioni più in vista nel mondo della politica e degli affari internazionali, e in particolare l’uomo che l’aveva fondata.
Secondo il rapporto, il team guidato dallo studio legale svizzero Homburger ha esaminato più di 100’000 e-mail, analizzato altri 65’000 documenti e interrogato 59 dipendenti ed ex dipendenti del WEF in 86 interviste.
L’intento era quello di determinare se Klaus Schwab, l’ottantasettenne fondatore del forum, e sua moglie Hilde avessero trasformato il Forum non soltanto nel proprio regno privato, ma in un bancomat personale.
La conclusione è inequivocabile: non è stata accertata alcuna condotta criminale. Ci sono state delle irregolarità, tra investimenti senza una chiara giustificazione commerciale, spese professionali che sconfinavano nel privato, e-mail imbarazzanti e una cattiva gestione del personale, ma nulla che varcasse i limiti della legalità.
Per Schwab questo risultato costituisce una grande rivincita. Nella stessa settimana, durante una difficile riunione del consiglio di amministrazione (che comprende la presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde, il capo di BlackRock Larry Fink e altri nomi influenti) Schwab ha chiesto di essere risarcito e che la falsità delle accuse mosse contro di lui e sua moglie fosse riconosciuta pubblicamente.
Per alcuni dei membri partecipanti, tuttavia, il rapporto ha confermato un problema più profondo: un modello decisionale unilaterale e una gestione poco chiara da parte di un fondatore che da tempo ormai amministrava il forum come un’azienda familiare.
Quando l’organizzazione ginevrina ha finalmente rilasciato la sua dichiarazione, il 15 agosto, il tono è rimasto cauto: “Le lievi irregolarità, derivanti dalla distinzione poco netta tra contributi personali e operazioni del Forum, rispecchiano un profondo impegno piuttosto che un intento di cattiva condotta”, recita il testo.
Fink e il vicepresidente di Roche André Hoffmann sono stati nominati copresidenti ad interim. Schwab non ha ottenuto il titolo di presidente onorario.
Il “prossimo capitolo” del forum, conclude la dichiarazione, “sarà guidato dalla missione originaria sviluppata da Klaus Schwab: riunire governi, imprese e società civile per migliorare lo stato del mondo”.
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Per decenni, tale missione ha avuto un peso considerevole. Il summit annuale del WEF a Davos ha attirato capi di Stato, colossi della tecnologia e personalità culturali: una località neutrale, in mezzo alle Alpi, dove il consenso dell’élite è stato forgiato sotto l’egida della diplomazia svizzera. I suoi panel hanno impostato i toni delle riflessioni sul capitalismo globale; nei suoi corridoi si percepiva l’energia degli interventi diplomatici e della stipula di accordi.
Sebbene a volte sia stato liquidato come semplice teatro di chiacchiere senza alcun seguito, in alcune occasioni Davos ha dato risultati che andavano ben oltre il networking. Nel 1988 ha favorito il disgelo delle tensioni tra Grecia e Turchia, tanto che i due Paesi hanno firmato una dichiarazione di pace a margine del summit. Negli anni Novanta ha facilitato il dialogo economico tra Shimon Peres e i leader arabi dopo gli accordi di Oslo. Negli anni 2000, poi, Bill Gates se ne è servito per lanciare importanti iniziative di finanziamento dei vaccini.
Il mondo che un tempo vi confluiva, però, è cambiato. Ormai Davos naviga controvento. Il multilateralismo è in ritirata, il protezionismo in aumento e la rivalità tra grandi potenze – Stati Uniti e Cina, Occidente e Sud del mondo – sta ridefinendo la governance globale.
Più che chiudere un capitolo, il rapporto ha segnato il culmine di un lento e doloroso processo di disgregazione: non solo dell’eredità di Schwab, ma del Forum stesso. Oltre ad aver perso il suo fondatore, ha perso anche l’influente presidente ad interim Peter Brabeck-Letmathe, presidente emerito di Nestlé, che ha tagliato i ponti con Schwab.
Messo a dura prova all’interno e indebolito all’esterno, il Forum affronta un periodo di incertezza nella preparazione del prossimo summit annuale a Davos, previsto per gennaio 2026. Gli inviti sono stati spediti ai partecipanti registrati nel corso della settimana, con il tema: Uno spirito di dialogo.
“Il WEF potrebbe trovarsi ad affrontare la sfida più grande dalla sua fondazione nel 1971. Oggi deve far fronte a molteplici difficoltà: il collasso della globalizzazione, la diffusa sfiducia nei confronti delle élite e il brusco passaggio di consegne dalla leadership di Klaus Schwab”, afferma James Breiding, autore di Swiss Made: The Untold Story Behind Switzerland’s Success (Swiss Made: la storia mai rivelata dietro il successo della Svizzera). “Il prossimo incontro non è solo importante: potrebbe essere decisivo”.
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A inizio aprile, Schwab ha comunicato al consiglio di amministrazione del WEF la sua intenzione di dimettersi dopo 54 anni come figura di spicco del Forum.
La decisione è arrivata in seguito a pressioni interne ed esterne al consiglio, legate anche a una precedente indagine interna scatenata da un articolo del Wall Street Journal sulla cultura lavorativa del WEF. L’indagine in questione, ordinata dal consiglio lo scorso anno, non ha riscontrato condotte illegali, ma ha rilevato una diffusa frustrazione nei confronti della leadership e dell’amministrazione del Forum.
In ogni caso, Schwab non ha indicato una data per le sue dimissioni. Inoltre, poco dopo si è recato a Francoforte per incontrare Lagarde e discutere con lei della sua eventuale successione alla presidenza, una mossa che, se confermata, avrebbe potuto mantenerlo in carica fino al 2027, anno in cui si concluderà il mandato di Lagarde alla guida della BCE.
Meno di due settimane dopo è arrivato il dossier di un informatore anonimo. La lettera inviata al consiglio accusava Schwab di utilizzare le risorse del Forum per lussi privati: massaggi in hotel, vacanze con la famiglia e viaggi internazionali senza un chiaro scopo commerciale. Inoltre, denunciava un trattamento di favore verso alcuni Paesi nel Global Competitiveness Report, il rapporto di punta del WEF, e sosteneva che Schwab intendesse intascare i diritti d’autore dei libri i cui costi di produzione erano stati coperti dall’organizzazione, per un importo pari a 1,5 milioni di franchi.
Le accuse, però, non si fermavano lì: sempre secondo il dossier, Schwab avrebbe avviato unilateralmente un costoso progetto Metaverse; lui e Hilde avrebbero limitato l’accesso del personale alla lussuosa Villa Mundi a Ginevra, acquistata e ristrutturata dal WEF; in più la moglie avrebbe addebitato all’organizzazione dei viaggi privati. Schwab è stato anche accusato di aver sfruttato i propri dipendenti in una campagna personale per ottenere il Premio Nobel per la Pace.
“Non smetterò mai di chiedermi se sia stato l’incontro con Lagarde a dare il via a tutto”, dice un alto funzionario del WEF. “Sembrava che qualcuno fosse indignato dal fatto che lui intendesse rimanere in carica ancora per qualche anno”.
“Il WEF potrebbe trovarsi ad affrontare la sfida più grande dalla sua fondazione nel 1971.”
James Breiding, autore
Le accuse hanno avuto effetti devastanti: Schwab si è dimesso e il WEF ha assunto lo studio Homburger per condurre un’indagine indipendente. Furioso, il fondatore ha avviato un’azione legale parallela per riabilitare il proprio nome, presentando una denuncia penale contro ignoti a Ginevra e, in giugno, una causa civile che citava il Forum stesso come controparte, secondo quanto appreso dal Financial Times.
“Non si è trattato di una mossa contro il consiglio di amministrazione”, afferma una persona che conosce bene il caso. “L’idea era di garantire che Klaus potesse portare il suo caso in tribunale per ottenere un trattamento equo”.
Secondo fonti interne, l’indagine dello studio legale è stata approfondita ma corretta: “Sono stati molto accurati. La seconda volta è stato tutto diverso. Durante la prima indagine mi sentivo come se fossi sotto accusa per qualcosa, mentre la seconda volta mi hanno garantito l’anonimato e che nessuno avrebbe potuto rivalersi su di me. Così, io e le altre persone intervistate con cui ho parlato abbiamo sentito di poter parlare sinceramente”, afferma una persona intervistata in entrambe le indagini.
Il rapporto dello studio Homburger, emesso in agosto, ha rilevato che la maggior parte delle accuse, comprese quelle più gravi, non erano fondate.
Secondo il documento, che non è stato reso pubblico ma di cui il Financial Times ha esaminato alcune parti, il team investigativo ha esaminato 45’000 voci di spesa degli Schwab. La società di consulenza fiscale BDO ha riscontrato poco meno di 5’000 franchi di spese private fatturate in maniera erronea in 13 anni, errori che, secondo le sue conclusioni, “non sono stati occultati”. Il team investigativo non è stato in grado di trovarne altri. Le spese di viaggio erano elevate, ma sono state considerate giustificate dal punto di vista commerciale.
Le accuse di molestie sessuali e di discriminazione basata sull’età sono state respinte. Anche le accuse di maltrattamento dei dipendenti sono state ritenute infondate, sebbene il rapporto abbia segnalato procedure confuse e una gestione poco efficace.
La controversia sul Global Competitiveness Report è stata giudicata procedurale. Schwab aveva insistito per aggiornare la metodologia utilizzata in modo da rispecchiare la facilità di adattamento dei diversi Paesi ai paradigmi digitali, cosa che avrebbe comportato un rimescolamento delle classifiche. L’India, per esempio, sarebbe scesa al 77° posto, dal 40° dell’edizione 2017-18.
Preoccupato che il cambiamento potesse apparire arbitrario, il fondatore era tornato al vecchio modello, inserendo però un allegato che spiegava la modifica. Inoltre, aveva espresso il timore che l’improvviso miglioramento del Regno Unito, che era balzato dal settimo al secondo posto, potesse essere “sfruttato a favore della Brexit”.
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A 50 anni, il WEF vuole proporre un modello di capitalismo migliore
L’iniziativa Metaverse, denominata “Global Collaboration Village”, aveva ricevuto il via libera del consiglio di amministrazione e il figlio di Schwab, Olivier, è stato nominato dirigente a seguito di una selezione competitiva. Allo stesso modo, Villa Mundi è stata acquisita e ristrutturata con l’approvazione del consiglio di amministrazione e l’interior designer di Schwab è stato selezionato perché offriva tariffe inferiori a quelle di mercato. Non ci sono prove che l’accesso all’edificio sia stato limitato in modo iniquo.
Altre affermazioni, come l’aver ricevuto in dono di un servizio da tè russo o dei gemelli Tiffany, non hanno potuto essere verificate. Il WEF non disponeva di un inventario formale. Il team investigativo ha però sottolineato che in un’occasione Hilde Schwab ha rifiutato un dipinto di grande valore per motivi di correttezza.
Nessuna delle azioni elencate costituisce un comportamento criminale. Tuttavia, per molte persone a livello amministrativo e dirigenziale, il rapporto ha confermato un problema più profondo: il controllo accentrato di Schwab. Secondo il rapporto Homburger, il fondatore aveva persino valutato l’idea di trasferire la sede del WEF a Dubai, piano che alla fine è stato accantonato, ma di cui la maggior parte del consiglio di amministrazione non sapeva nulla.
“Klaus gestiva il forum come un fondatore gestisce una start-up”, afferma una persona vicina al consiglio. “Certo, molte cose hanno ricevuto un’approvazione formale, ma nessuno era in grado di tenerlo sotto controllo. Molti membri del consiglio sono stati eletti come ricompensa. Pochi erano disposti o interessati a opporglisi”.
Il rapporto ha confermato la mancanza di una supervisione forte, nonché di una distinzione netta tra interessi personali e istituzionali. L’assenza di una vera e propria condotta criminale, tuttavia, ha messo il consiglio d’amministrazione di fronte a un imbarazzante dilemma. La causa intentata da Schwab e lo scandalo che ne è derivato oscuravano i preparativi per Davos 2026.
“Alla pubblicazione del rapporto, alcuni membri del consiglio di amministrazione sono rimasti sconvolti. Si aspettavano una colpevolezza, invece non c’era nulla di concreto”, afferma uno dei membri. “Era chiaro che dovevamo trovare un accordo e andare avanti”.
Brabeck-Letmathe, presidente ad interim, si è dimesso immediatamente dopo l’accordo con Schwab. In una lettera indirizzata al consiglio di amministrazione e all’amministratore delegato del WEF, Børge Brende, ha parlato di ambiente di lavoro tossico. Tra i primi sostenitori e collaboratori di lunga data di Schwab, era molto coinvolto nell’attività del WEF. Oggi i due uomini non si parlano.
“Davos ha sempre rispecchiato ciò che accadeva nel resto del mondo.”
Thierry Malleret, scrittore
La risoluzione della controversia ha incluso un accordo finanziario che comprendesse una pensione, una dichiarazione formale per scagionare Schwab da ogni accusa e la netta separazione tra il fondatore e la sua organizzazione. Tuttavia, la decisione di non rendere pubblico il rapporto ha scatenato voci di insabbiamento.
“C’è chi l’ha definito un insabbiamento, ma non lo era”, afferma una persona che lavora per il WEF in un ruolo dirigenziale. “Klaus poteva essere difficile, arrogante e cambiare idea cinque volte al giorno, ma non lo faceva per soldi. Non è una persona cattiva”.
Il morale interno, tuttavia, rimane fragile. “In latino si dice “Cui prodest?”, ma non so chi ne abbia tratto vantaggio”, afferma un altro dipendente. “Klaus ha perso, Brabeck ha perso, il consiglio di amministrazione si è diviso, la reputazione del forum ha subito un duro colpo… Se [l’intento dell’informatore] era di allontanare Klaus, sembra una vittoria di Pirro”.
Secondo quanto riferito da persone a lui vicine, Schwab, dal canto suo, si sente privato della dignità che riteneva di essersi guadagnato. Nel 1971 ha creato il forum da zero con i propri fondi, trasformando il WEF da un congresso di nicchia sulla gestione aziendale a un’istituzione globale con un’influenza quasi diplomatica e oltre mezzo miliardo di dollari di entrate annuali. Potrà anche aver gestito il forum e il relativo summit annuale in modo eccessivamente accentrato, ma era convinto di agire nell’interesse dell’organizzazione.
“Ha dedicato la sua vita al forum, che senza di lui non sarebbe quello che è oggi”, afferma una persona a lui vicina. “Ora si ha la sensazione che gli venga portato via tutto: non solo la sua posizione, ma la sua intera eredità”.
La cosa paradossale, secondo addetti e addette ai lavori, è che i tumulti interni al WEF rispecchiano il destino dell’ordine multilaterale un tempo tanto caro all’organizzazione.
La crisi del Forum segna la fine di un’era: il periodo post Guerra fredda, caratterizzato da integrazione globale, ottimismo dei mercati e istituzionalismo liberale. Quegli anni hanno dato vita a Davos, che per decenni ne è stata l’incarnazione.
Il mondo del 2025, invece, appare molto diverso. L’economia globale è frammentata; le agende nazionali sono plasmate dalla politica climatica; le nuove tecnologie complicano il modo di vedere il futuro nella società.
La premessa fondante del WEF, secondo cui i divari possono essere colmati dal dialogo tra élite, appare sempre più fuori luogo, soprattutto perché i suoi accenni a un “reset” del capitalismo e alla definizione di un futuro globale hanno alimentato dichiarazioni infondate da parte di gruppi complottisti, secondo cui il WEF orchestrerebbe le crisi per aumentare il controllo dall’alto sulla gente comune.
Enti rivali si sono presi il loro spazio. La Conferenza sulla sicurezza di Monaco non si limita più alla sola difesa, ma ha incamerato un dibattito geopolitico più ampio. La Future Investment Initiative di Riyadh, sostenuta dallo Stato e soprannominata “Davos nel deserto”, si pone come alternativa di lusso. Anche la Cina favorisce il proprio dialogo sotto l’egida della Belt and Road.
“Davos ha sempre rispecchiato ciò che accadeva nel resto del mondo”, afferma Thierry Malleret, coautore di diversi libri con Schwab, nonché di un volume in uscita dal titolo Death of Davos (La morte di Davos). “Ha vissuto un periodo d’oro perché l’Occidente era ubriaco di potere, ma ora è finita. Il futuro è multipolare. Ci saranno eventi in Cina, a Riyadh, ad Aspen, e a poco a poco Davos perderà la sua rilevanza”.
La sopravvivenza del WEF dipende dalla sua capacità di reinventarsi, strutturalmente, culturalmente e politicamente, per un mondo che non crede più nel consenso delle élite, affermano Malleret e altri. Perché questo accada non bastano dei nuovi copresidenti: ci vuole una presa di coscienza dei propri limiti e delle reazioni negative suscitate dalla globalizzazione tanto venerata dal Forum.
La riprova arriverà già a gennaio. Fink si è impegnato personalmente, molto più di quanto certe persone si aspettassero, per garantire la presenza delle superstar americane, ha detto una persona che conosce bene il programma.
Altri pesi massimi del consiglio di amministrazione sono stati esortati a collaborare per portare a Davos leader mondiali e colossi industriali, in modo che chi partecipa a pagamento possa vedere ciò che ha acquistato. Negli ultimi tempi, Brende ha fatto continui avanti e indietro tra Europa e America Latina.
Il personale afferma che la posta in gioco è alta: “C’è il timore che, se non riusciremo a organizzare un buon summit, alcuni partner potrebbero riconsiderare il rapporto che abbiamo instaurato”, afferma il manager del WEF.
Una figura, in particolare, è in cima alla lista delle persone invitate. “Bisognerebbe puntare su Trump”, afferma Breiding. “La sua presenza sarebbe una grande attrattiva, soprattutto per la Silicon Valley”. Un membro del consiglio di amministrazione ha confermato che il dialogo per assicurarsi la presenza del presidente statunitense, che nel suo primo mandato ha partecipato due volte di persona, sembrerebbe “promettente”. “Tutta l’attenzione è rivolta al successo del prossimo evento”, aggiunge. “Larry Fink è forse l’unico che può garantirlo”.
Un portavoce del WEF ha dichiarato che c’è stata una “partecipazione record” dei partner in questa fase del processo di registrazione.
Al di là di Davos 2026, tuttavia, il forum deve affrontare una sfida più profonda, legata alla sua rilevanza. Chi lo critica, infatti, sostiene che presenti contenuti ormai piatti e che i suoi panel siano dominati dal pensiero convenzionale. “Un tempo era un’avanguardia”, afferma un ex dirigente. “Ora è politicamente corretto e dominato dai consulenti che lo sponsorizzano. Nessuno vuole sentire cosa ha da dire Macron a Davos”.
C’è chi ha suggerito di aprirsi a settori a cui Schwab era contrario, come i fabbricanti di armi. “Tra l’invasione russa dell’Ucraina e Trump, la difesa è stata riconsiderata come bene pubblico in Europa. Questa potrebbe essere una direzione da seguire”, afferma un ex dirigente del WEF.
Altri sostengono che il suo valore risiede in ciò che ancora sa fare meglio: riunire e dialogare. Tuttavia, resta da vedere di cosa sia capace l’attuale dirigenza. Anche Brabeck-Letmathe era stato tra i partecipanti chiave alle attività e alle questioni del consiglio di amministrazione.
“Dopo gennaio, il WEF andrà ripensato da zero”, afferma un alto dirigente. “Ma non sono sicuro che l’attuale consiglio di amministrazione abbia la mentalità giusta”.
Tuttavia, anche ai livelli più alti si riconosce che è necessario un cambiamento fondamentale: “Il WEF ha assolutamente ragione di esistere, anzi, è più importante che mai”, afferma un membro del consiglio. “Ha solo perso la bussola quando ha cercato di diventare un “forum di impatto”. Il suo scopo è sempre stato favorire il dialogo, non produrre risultati. Il WEF dovrebbe aiutare gli altri a migliorare lo stato del mondo, non pretendere di farlo da solo”.
Tradotto da Camilla Pieretti
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