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Paradisi fiscali: la Svizzera controbatte

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Il duro attacco sferrato dal ministro delle finanze tedesco Peer Steinbrück contro la Svizzera, accusata di essere un paradiso fiscale, ha suscitato una grande agitazione. Secondo molti osservatori, però, il messaggio è soprattutto destinato all'opinione pubblica tedesca.

«Con certi paesi bisogna utilizzare non solo la carota, ma anche il bastone». Martedì, in occasione di una riunione a Parigi di 17 paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), il ministro delle finanze tedesco socialdemocratico Peer Steinbrück non ha usato mezzi termini.

Steinbrück e il suo omologo francese Eric Woerth hanno auspicato che la Svizzera venga inserita sulla ‘lista nera’ dell’OCSE dei paradisi fiscali, che include attualmente Liechtenstein, Andorra e Principato di Monaco.

Parigi e soprattutto Berlino rimproverano al sistema bancario elvetico di offrire facili scappatoie ai cittadini che vogliono evadere il fisco.

Le critiche nei confronti della Confederazione non sono nuove (vedi box). Tuttavia, il tono delle dichiarazioni non era mai stato così duro.

Ambasciatore tedesco convocato

La reazione delle autorità elvetiche non si è fatta attendere: mercoledì l’ambasciatore di Germania a Berna è stato «convocato» – una misura raramente utilizzata dalla diplomazia svizzera – dalla ministra degli esteri Micheline Calmy-Rey.

«All’ambasciatore tedesco abbiamo detto che simili dichiarazioni nei confronti di un paese partner sono inaccettabili sia per la forma che per i contenuti», ha dichiarato Micheline Calmy-Rey.

La Svizzera – ha sottolineato – non è un paradiso per chi non vuol pagare le tasse e lotta attivamente contro la frode fiscale, segnatamente attraverso tre accordi: quello contro la doppia imposizione con la Germania e quelli con l’UE sulla frode e sulla tassazione del risparmio. Inoltre, la ministra ha assicurato che Berna ha un dialogo permanente con la Germania e l’UE sulle questioni fiscali.

Giovedì, la Svizzera ha ricevuto il sostegno dell’Austria, che ha qualificato di ingiustificati gli attacchi di Berlino.

Reazione eccessiva?

Secondo il politologo svizzero René Schwok, specialista delle relazioni tra Svizzera ed Unione Europea, Berna ha forse reagito in maniera eccessiva: «Steinbrück è conosciuto per le sue provocazioni, ma non ha avviato una vera procedura contro la Svizzera. Ciò dà l’impressione che la Svizzera sia coi nervi a fior di pelle e che manifesti una certa fragilità sulla questione».

In Germania le parole pronunciate martedì da Steinbrück avevano suscitato scarsa eco. «Il tema è diventato importante solo dopo la reazione svizzera, con la convocazione dell’ambasciatore tedesco», testimonia Regina Krüger, giornalista dell’Handelsblatt di Düsseldorf.

«Cucina politica interna»

Secondo numerosi osservatori, le dichiarazioni del ministro delle finanze tedesco si rivolgono però soprattutto al pubblico tedesco e non tanto a quello svizzero. Steinbrück – scrive ad esempio il quotidiano di Ginevra Le Temps – «vuol far credere all’opinione pubblica che la ricchezza di alcuni Stati è vittima del richiamo che esercitano i paesi più furbi».

Un’ipotesi condivisa anche da Regina Krüger: «Siamo in campagna elettorale e queste dichiarazioni populiste vanno bene per tabloid come il Bild. La conferma la si è avuta proprio oggi, poiché un esponente dell’Unione Cristiano Democratica (CDU) ha chiesto a Steinbrück di essere più moderato nelle sue affermazioni».

In sostanza, la Svizzera fungerebbe da capro espiatorio per sviare l’attenzione dal sistema fiscale tedesco, troppo oneroso e complicato.

Anche se quanto detto dal ministro delle finanze tedesco «serve soprattutto per la sua cucina politica» – Neue Zürcher Zeitung dixit – non bisogna però dimenticare che in queste settimane gli Stati occidentali sono confrontati alla crisi finanziaria.

Crisi finanziaria

Una crisi che rende ancor più essenziali le entrate fiscali. In Germania si stima che ogni anno il fisco perda 30 miliardi di euro e che il patrimonio depositato dai tedeschi all’estero si aggiri tra i 300 e i 400 miliardi.

Roger de Weck, ex caporedattore del Tages Anzeiger e dello Zeit di Amburgo, osserva che la Germania si trova in una posizione difficile, poiché deve spendere 500 miliardi di euro per salvare il suo sistema bancario. «È inimmaginabile – afferma in un’intervista alla Radio della Svizzera romanda – che non sia fatta pressione su coloro che, trasferendo i loro soldi in Svizzera, non partecipano a questo sforzo di solidarietà nazionale «.

«Con la crisi finanziaria il mondo è cambiato, è entrato in una nuova fase della mondializzazione – avverte poi de Weck. Nella fase precedente, caratterizzata dall’anarchia, la Svizzera aveva in mano buone carte, essendo sede di numerosi grandi gruppi. Adesso gli Stati hanno però ripreso le cose in mano e chi veste i panni del cavaliere solitario, chi non fa parte delle grandi potenze, si troverà sempre più ai margini. La Svizzera dovrà perciò cambiare in modo fondamentale il modo in cui protegge i suoi interessi e dovrà per forza integrarsi, poiché restando sola avrà sempre più difficoltà a far sentire la sua voce».

swissinfo, Daniele Mariani

Nel 2004 Svizzera e Unione Europea hanno stipulato un accordo sulla tassazione del risparmio, entrato in vigore il 1° luglio 2005.

Grazie a questo accordo, i cittadini dell’Unione Europea che hanno aperto conti in Svizzera possono scegliere se dichiarare i soldi al fisco del loro paese di provenienza oppure optare per una trattenuta alla fonte sugli interessi maturati.

La somma percepita grazie a questa aliquota – che raggiungerà il 35% nel 2011 – è retrocessa nella misura del 75% agli Stati di residenza dei clienti. In altre parole, chi cerca di evadere il fisco trasferendo i suoi soldi in Svizzera viene comunque tassato.

Nel 2008 la Svizzera ha percepito circa 740 milioni di franchi, 554 dei quali sono stati riversati ai paesi dell’Unione Europea. L’Italia è stata la principale beneficiaria di questa tassa. Il fisco italiano ha ricevuto 142,7 milioni di franchi. Seguono la Germania (136,7 milioni), la Francia (72,3), il Regno Unito (43,6) e la Spagna (42,9).

2000-2004: l’OCSE inserisce la Svizzera in una lista di paesi dalla politica fiscale potenzialmente dannosa. Dopo concessioni in merito all’imposizione delle holding, la Svizzera viene stralciata dalla lista.

2001-2005: contenzioso con l’Unione europea in merito alla tassazione dei risparmi. L’approvazione del secondo pacchetto di accordi bilaterali mette fine alle discussioni.

Dal 2005: l’Unione europea mette in discussione i privilegi fiscali accordati da alcuni cantoni alle imprese sostenendo che violano l’accordo di libero scambio del 1972. La Svizzera è di parere contrario.

2008: in seguito al conflitto fiscale tra la Germania e il Liechtenstein, diversi politici tedeschi intensificano gli attacchi contro il segreto bancario e i paradisi fiscali «come la Svizzera».

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