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«La Svizzera è un esempio da seguire»

Durante l'ultimo suo periplo africano, Beghjet Pacolli ha incontrato tra gli altri il primo ministro del Kenya Raila Odinga swissinfo.ch

Vice primo ministro del Kosovo dall’aprile 2011, Behgjet Pacolli non risparmia i suoi sforzi per ottenere il riconoscimento dell’indipendenza del suo paese. Un passo compiuto finora da 98 nazioni. Della Svizzera, suo stato d’adozione, vorrebbe fare un esempio per il suo paese d’origine. Intervista.

È un Behgjet Pacolli in piena forma, abbronzato dal sole africano che incontriamo allo Swiss Diamond Hotel di Vico Morcote, l’albergo a cinque stelle di sua proprietà che si affaccia sul lago di Lugano, vicino a casa sua. La famiglia del vice primo ministro di Hashim Thaçi, la terza moglie e i loro quattro figli (l’ultimogenito, Arman, è nato alcuni giorni fa) vive infatti a Melide.

swissinfo.ch: Può trarre un bilancio dei suoi primi 20 mesi da incaricato delle relazioni del suo governo con l’estero. Come procedono le procedure di riconoscimento del Kosovo?

Behgjet Pacolli: Finora 98 stati, di cui 25 in Africa, hanno riconosciuto ufficialmente la nostra Repubblica. Mi occupo personalmente dei contatti con l’Africa, dove in questo ultimo anno e mezzo ho visitato 48 Stati. Mi sono innamorato di questo continente che, ne sono certo, rappresenta il futuro.

Tuttavia, per ora, non sono riuscito a convincere i governi dei paesi del Nord Africa, mentre ho invece ottenuto il consenso di gran parte degli stati dell’Africa dell’est e di alcuni dell’Africa centrale. Sto per ripartire per un altro giro che mi porterà in Kenya, dove sono già stato, in Tanzania, in Zambia ed in Uganda. Stiamo anche per ottenere l’avallo ufficiale del Sud Africa dove, recentemente, sono stato ricevuto dal primo ministro.

In Europa, soltanto la Spagna – alle prese con le richieste indipendentiste della Catalogna – la Slovacchia, la Romania, la Grecia, Cipro e ben inteso la Serbia e la Russia non ci hanno ancora riconosciuto ufficialmente. In Asia, esistiamo come stato indipendente per Malesia, Timor Last, Brunei, Giappone, Corea del sud, Papua-Nuova Guinea, Nuova Zelanda, Australia e tanti altri stati dell’Oceania. Stiamo tutt’ora aspettando la decisione dell’Indonesia e della Thailandia, dove abbiamo comunque già aperto una rappresentanza.

swissinfo.ch: In un’intervista che ci aveva concesso nel febbraio 2011, subito dopo la sua elezione a presidente, lei diceva di volere “rafforzare i legami con la Svizzera”, il suo paese d’adozione sin dagli anni ’80 e del quale è anche cittadino. Come definirebbe oggi questi legami?

B.P: Sono solidi. I ‘miei’ due paesi intrattengono ottimi rapporti. La cooperazione è buonissima e, grazie all’eccellente lavoro svolto a Pristina dall’ambasciatrice elvetica Krystyna Marty Lang, la Svizzera ora capisce meglio il Kosovo. Il mio paese d’adozione deve servire da esempio per noi. Auspicherei infatti una crescita nel settore dei servizi, sul modello elvetico. Malgrado una situazione economica tuttora difficile – si stima che il tasso di disoccupazione oscilli tra 30% e 40% – possiamo contare su una bella gioventù, preparata, pronta a qualsiasi sfida per fare progredire il paese.

Rimane tanto lavoro da fare, non lo nego. Bisogna soprattutto rilanciare l’economia, creare 35mila posti di lavoro all’anno. Ma mi preme sottolineare che siamo migliorati negli investimenti e che il mio governo prevede proprio una legge per sostenere gli investitori nel campo minerario – i minerali sono una grande ricchezza del Kosovo – tramite agevolazioni fiscali, come la riduzione dei dazi doganali e il rinvio del pagamento delle imposte.

Nel suo libro “La caccia, io e i criminali di guerra” (2008), l’ex procuratrice del Tribunale penale internazionale dell’Aia Carla Del Ponte dichiara di aver raccolto diversi indizi relativi a un traffico d’organi, che avrebbe avuto luogo nel nord dell’Albania ad opera di gruppi criminali appartenenti all’Esercito di liberazione del Kosovo (UCK).

L’inchiesta sarebbe poi stata bloccata per carenza di collaborazione delle autorità albanesi e per un problema di competenza territoriale del TPI.

La rivelazione suscita molto scalpore. Il Consiglio d’Europa conferisce al ticinese Dick Marty l’incarico di redigere un rapporto in merito.

L’ex parlamentare svizzero, già procuratore pubblico ticinese, indaga a Belgrado, Tirana e Pristina. Nel suo rapporto, adottato nel gennaio 2011 dal Consiglio d’Europa, Marty giunge alla conclusione che numerosi indizi sembrano confermare quanto denunciato da Carla Del Ponte. Marty accusa il primo ministro kosovaro Hashim Thaçi di essere tra i principali responsabili del traffico d’organi. Le vittime sarebbero state principalmente prigionieri di guerra serbi.

Il 9 settembre 2012, il procuratore serbo per i crimini di guerra Vladimir Vukcevic annuncia che un ex guerrigliero dell’UCK avrebbe affermato di aver partecipato al traffico e di aver preso personalmente parte ad un’operazione di prelievo di organi.

Il rapporto di Dick Marty manca però di prove. Lo stesso Marty afferma di essersi basato essenzialmente su testimonianze e rapporti provenienti da servizi di informazione occidentali. L’ex parlamentare svizzero ha potuto recarsi solo in due dei sei siti identificati come luoghi di detenzione dell’UCK in Albania. L’inchiesta Eulex è tutt’ora in corso.

Contattata da swissinfo.ch, Carla Del Ponte non ha voluto reagire alle accuse lanciate nei suoi confronti da Behgjet Pacolli sull’inchiesta per traffico d’organi. Quanto a Dick Marty, anch’egli nel mirino delle critiche, non ha risposto ai messaggi inviatigli dalla giornalista di swissinfo.ch.

swissinfo.ch: Lo scorso 2 dicembre il suo governo – poi seguito da quello albanese – ha chiesto al Tribunale penale internazionale (TPI) e all’ONU l’apertura di un’indagine contro l’operato di Carla del Ponte quando era procuratrice per i crimini di guerra nell’ex Jugoslavia. Le viene rimproverato di avere imbastito un’accusa non sufficientemente fondata contro l’ex primo ministro kosovaro Ramush Haradinaj, processato per crimini contro i serbi durante la guerra e recentemente prosciolto da ogni accusa. Un altro scontro Behgjet Pacolli-Carla del Ponte?

B.P: Come membro del governo del Kosovo, non posso pronunciarmi in merito a questa richiesta. Suppongo che la procuratrice del Ponte goda di immunità per il suo lavoro in seno al TPI e può quindi darsi che la nostra richiesta di indagine, unitamente a quella di Tirana, non abbia nessun seguito. Detto ciò, l’assoluzione pronunciata dal TPI è un atto di giustizia. Il nostro ex-primo ministro ha lottato durante nove anni contro queste accuse. Per il nostro governo è importante che l’opinione pubblica sappia finalmente come sono realmente andate le cose.

Il mio scontro con Carla del Ponte risale a una quindicina di anni fa, quando aveva aperto un’indagine contro di me su domanda del procuratore di Mosca Yuri Skuratov, che indagava sull’ex presidente Boris Eltsin, sospettato di riciclaggio di denaro.

Vorrei davvero poter un giorno parlare di questo a quattro occhi con la signora del Ponte, ma anche per chiederle come mai le sia venuto in mente di accusare il nostro primo ministro Hashim Thaçi di traffico di organi. Un’accusa infamante per il mio popolo, poi rilanciata da Dick Marty, membro del Consiglio d’Europa, autore di un rapporto in merito.

Lo ripeto, per il popolo kosovaro, la sola allusione a un tale traffico è una grande offesa. Prima di pronunciare le sue accuse, Carla del Ponte avrebbe dovuto verificare meglio le sue fonti che, stando a rilievi fatti nei posti citati, sembrano del tutto inverosimili. L’inchiesta aperta dopo la decisione dell’assemblea parlamentare di Strasburgo è tutt’ora in corso, ma sono convinto che un giorno o l’altro Dick Marty e Carla del Ponte dovranno chiedere scusa ai kosovari.

Altri sviluppi

swissinfo.ch: Recentemente vi sono state manifestazioni di protesta da parte di nazionalisti serbi ai posti di frontiera tra il Kosovo e la Serbia. Che aria tira tra i due stati?

B.P: Le manifestazioni sono opera di gruppi estremisti e la situazione alla frontiera non è poi così drammatica come i media lasciano intendere. Il nostro governo ha fatto passi da gigante. La Serbia deve ora regolare la sua posizione verso il Kosovo e otto accordi in questo senso sono stati firmati tra i due stati.

Voglio anche sottolineare che non tutti i 20’000 serbi che vivono nel nord del Kosovo sono contrari alla nostra autonomia. I kosovari hanno bisogno di apertura verso l’esterno quindi anche verso la Serbia e noi stiamo lavorando in questo senso, ad esempio tramite il miglioramento delle vie d’accesso. Recentemente è stata aperta un’autostrada che ci collega sia all’Albania che alla Serbia.

swissinfo.ch: In conclusione come vede l’avvenire politico del Kosovo?

B.P: Stando alla costituzione, la presidente Atifete Jahjaga potrebbe rimanere cinque anni in carica. Al momento della sua nomina, però, aveva accettato un accordo con il Partito democratico del Kosovo, la Lega democratica del Kosovo e il mio partito, la Nuova Alleanza per il Kosovo, secondo cui si sarebbe ritirata non appena saranno ultimate le riforme costituzionali. Ora toccherà al parlamento decidere se la presidente si deve dimettere. Ad ogni modo dovrebbe farlo quando le riforme saranno attuate. Allora il Kosovo sarà chiamato a votare ed io ci sarò.

Nato il 30 agosto 1951 a Marec (Kosovo), Behgjet Pacolli, sposato e padre di sei figli, ha la doppia cittadinanza kosovara e svizzera. È laureato in economia e commercio. Lascia il Kosovo per l’Austria e la Germania nel 1973 e infine approda in Ticino (Svizzera italiana) nel 1979.

Nel 1991 fonda a Lugano la società di costruzioni Mabetex SA, che conta oggi quasi 8’000 dipendenti in tutto il mondo ed è ora diretta dal fratello.

Tra le altre cose, la Mabetex si è occupata delle ristrutturazioni del Cremlino e della Casa Bianca a Mosca.

Nel 1998, Behgjet Pacolli è accusato di complicità in riciclaggio di denaro per conto della famiglia dell’allora presidente Boris Eltsin. In Svizzera le indagini sono condotte dalla procuratrice della Confederazione, Carla del Ponte. Behgjet Pacolli è però prosciolto da ogni accusa.

Fondatore del partito Alleanza per un Nuovo Kosovo, il 22 febbraio 2011 è eletto presidente della Repubblica del Kosovo alla terza votazione, ma il 30 marzo dello stesso anno la sua elezione viene annullata dalla Corte Costituzionale del Kosovo per vizio di forma. Il 7 aprile il parlamento nomina alla presidenza Atifete Jahjaga, giurista 37enne.

Lo scorso 29 novembre, il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia ha assolto in appello l’ex primo ministro kosovaro e comandante dell’UCK Ramush Haradinaj  dall’accusa di crimini di guerra e crimini contro l’umanità durante il conflitto in Kosovo tra il 1998 e il 1999.

Lo specialista di giustizia internazionale Pierre Hazan ha dichiarato, dalle colonne del quotidiano romando Le Temps, che il verdetto è stato emesso in un clima di intimidazione dei testimoni chiave.

Uno di loro si è volatilizzato, mentre l’altro «ha preferito essere condannato a meno di due mesi di prigione per “oltraggio alla corte” piuttosto di parlare, tanto temeva per la sua vita».

Senza le loro testimonianze, l’accusa si è sbriciolata, ha deplorato Pierre Hazan.

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