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Il Consiglio federale: un organo all’acqua di rose

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Mescolare insieme il latte invece di governare: durante la tradizionale gita del Consiglio federale, i membri del governo svizzero hanno visitato nel 2016 un caseificio dell'Emmental. © Keystone / Lukas Lehmann

Il Consiglio federale è un’invenzione 'made in Switzerland', che sinora non era stata considerata come oggetto di studi. Il saggio sul governo svizzero del politologo Adrian Vatter recupera ora il tempo perso e punta il dito su alcuni aspetti perfettibili.

La dottrina classica dei sistemi di governo presenta uno schema piuttosto semplicistico.

Abbiamo da un lato il sistema parlamentare in cui il popolo elegge il parlamento, come in Gran Bretagna. I deputati, a maggioranza, nominano poi il governo; lo possono anche rovesciare, così come l’esecutivo può sciogliere il parlamento.

Poi, dall’altro, c’è il sistema presidenziale, come negli Stati Uniti. Parlamento e governo vengono eletti separatamente a suffragio universale, in modo da mantenere la propria legittimità nel controllo reciproco.

Un approccio che non rende giustizia alla molteplicità degli attuali sistemi di governo, compreso quello adottato in Svizzera. Il Consiglio federale è sì eletto dal parlamento, ma per un periodo di tempo definito, così come i parlamentari, che sono nominati per un mandato predeterminato. La destituzione delle cariche non è prevista.

L’elezione del Consiglio federale da parte del popolo non ha trovato d’accordo i padri fondatori della Costituzione del 1848. E neppure uno dei tre tentativi successivi di lasciar eleggere i consiglieri federali al sovrano è riuscito a fare breccia. In sostanza, quindi, il sistema tenuto a battesimo nel 1848 è rimasto pressoché invariato fino ai giorni nostri.

Adrian Vatter
Adrian Vatter è politologo all’Istituto di scienze politiche dell’Università di Berna. zvg


Nel suo recente libro* il politologo Adrian Vatter, che ha pubblicato il primo trattato esaustivo sul Consiglio federale, parla di «sistema di governo ibrido». Un esecutivo retto dal principio della collegialità, eletto dal parlamento, ma ampiamente autonomo nel suo modus operandi. Entrambe le autorità sono controllate dal voto popolare, vale a dire direttamente dal sovrano, che se del caso apporta dei correttivi.

I tre dilemmi del Consiglio federale

Questo sistema di governo trae origine nel XIX secolo. All’epoca della Repubblica elvetica i francesi istituirono per la prima volta un governo collettivo: il direttorio esecutivo inizialmente composto da cinque, poi da sette ministri. I fondatori dello Stato federale si ispirarono ad esso quando crearono il Consiglio federale.

Il numero dei membri non fece subito l’unanimità, ma per finire ci si accordò su sette, tre dei quali furono attribuiti agli ex Cantoni direttori di Zurigo, Berna e Vaud con un seggio permanente nel Consiglio federale. Gli altri Cantoni, con un totale di quattro membri, ottennero quindi la maggioranza, ma nessun diritto alla rappresentanza permanente. Solo la ripartizione linguistica ebbe sempre un posto sacro nel corso dei secoli. A tutt’oggi esistono regole informali per la composizione del Consiglio federale, ad esempio per le lingue e i partiti di appartenenza.

Sin dalla sua istituzione il Consiglio federale è stato fedele a due principi: i membri del governo nazionale fanno parte dell’esecutivo, ma sono anche a capo di un dipartimento, un’unità amministrativa. In governo decidono collegialmente; in seno al rispettivo dipartimento si esprimono a livello individuale. Più un membro del Consiglio federale si occupa del proprio dipartimento, più va persa la visione d’insieme, afferma Adrian Vatter.

Nella sua analisi il politologo descrive così il primo dilemma del governo svizzero.

L’autore prosegue poi presentando due ulteriori dilemmi.

Innanzitutto, ogni consigliere federale è al tempo stesso membro del governo e rappresentante del proprio partito. Nel XIX secolo non era il caso visto che non esistevano partiti ad estensione nazionale. Le odierne compagini PLR (libera radicali), PPD (popolari democratici), UDC (democentristi) e PBD (borghesi democratici) avevano dei ‘rappresentanti’ in seno al governo del Paese assai prima di esistere effettivamente come tali. Soltanto per i socialisti, che nei primi tempi hanno seduto a lungo all’opposizione, il processo si è svolto in senso inverso.

Inoltre, il graduale coinvolgimento del Consiglio federale nella rete delle associazioni di categoria, nei gruppi d’interesse e nelle lobby. Secondo Vatter, nell’ultimo trentennio questi legami si sono intensificati notevolmente. Tuttavia, afferma l’autore, le crescenti aspettative dei rappresentanti di interessi specifici hanno impedito di perseguire obiettivi di livello superiore.

Secondo Vatter questi tre dilemmi rappresentano i problemi strutturali del Consiglio federale. Volendo sintetizzare il sistema di governo in una formulazione unica si potrebbe dire: proposto dai partiti, eletto dal parlamento, condizionato dalle associazioni e controllato dal voto popolare.

Proposte di riforma

La ricerca di Vatter è interessante anche perché oltre ai cenni storici e alla modalità di funzionamento presenta anche delle possibili riforme.

Il punto di partenza risale alla crisi degli anni 1970 e alle innumerevoli idee scaturite dopo quel periodo. L’unica ad essere stata realizzata è la riforma della direzione dello Stato a cavallo del XXI secolo, che prevede un numero massimo di dieci segreterie di Stato e il rafforzamento delle segreterie generali dei singoli dipartimenti. Ciò crea le premesse affinché ogni consigliere federale possa istituire il proprio piccolo gabinetto e relazioni con i partiti, le associazioni e i media.  

Il politologo Adrian Vatter è convinto che questo non sia sufficiente tenuto conto dei megatrend come l’internazionalizzazione o l’europeizzazione, la medializzazione e la personalizzazione ma anche la nuova polarizzazione del panorama partitico, dell’economia e della società.

Ha avuto modo di costatare che il Consiglio federale se la cava anche egregiamente sotto il sole, ma non sa che pesci pigliare quando inizia a piovere. La politica europea dal 1992 ad oggi, ma anche la crisi del coronavirus nel 2020, corroborano questa tesi in maniera esemplare.

L’autore propone pertanto tre ulteriori misure volte a riformare il potere esecutivo. Non si tratta di per sé di novità, ma la loro combinazione sfocia da un’analisi globale assolutamente inedita.

Entriamo nei dettagli:

  • Un accordo di concordanza che promuova la coerenza dell’attività di governo e aumenti le priorità. I partiti di governo dovrebbero essere maggiormente integrati.
  • Un dipartimento presidenziale rafforzato secondo il modello di Cantoni come Vaud e Basilea Città, volto a rafforzare la pianificazione, la conduzione e la coordinazione dell’organo del Consiglio federale. L’attuale Cancelleria federale dovrebbe essere potenziata in tal senso.
  • Un‘elezione del Consiglio federale con più liste che soddisfino i criteri linguistici e di partito predefiniti pur proponendo candidati diversi. Anziché giocare al gatto con il topo il parlamento deve proporre la direzione politica da seguire.

Nel suo saggio il professore bernese evoca così tre correttivi importanti della struttura attuale.

L’accordo di concordanza dovrebbe migliorare l’asse contenutistico.

Il dipartimento presidenziale dovrebbe rafforzare la conduzione.

Lo scrutinio di lista dovrebbe garantire una composizione omogenea dei membri del governo.

Secondo Vetter il sistema di governo in chiave elvetica cambierebbe forma, avvicinandosi probabilmente a quello parlamentare, senza tuttavia adottarlo fino in fondo. Ma rimarrebbe sulla strada percorsa finora, perché il Consiglio federale continuerebbe a essere determinato dalle votazioni popolari.

Secondo l’autore, sarebbe più finalizzato. Perché pare sia proprio questo il tallone d’Achille dello status quo in Svizzera: il sistema resiste a un governo compatto e determinato.

* Der Bundesrat. Eine Schweizer ErfindungCollegamento esterno (Il Consiglio federale. Un’invenzione svizzera). Saggio di Adrian Vatter per l’editore NZZ Libro, 400 pagine.

Il politologo Adrian Vatter è infastidito dallo stallo venutosi a creare nel 2019 durante l’elezione del governo svizzero. Secondo lui per l’attribuzione dei seggi in Consiglio federale bisognerebbe basarsi sulla forza dei partiti emersa dall’elezione del Consiglio nazionale (Camera del popolo). Uno spostamento su un fronte avrebbe così ripercussioni anche sull’altro. In tal modo al parlamento non resterebbe che designare le persone, ma non più singolarmente, bensì scegliendo fra più liste. 

Nel 2019 secondo questa proposta il Consiglio federale avrebbe avuto 2 consiglieri UDC e un rappresentante ciascuno di socialisti, liberali, verdi, PPD e verdi-liberali.

Traduzione dla tedesco: Lorena Mombelli

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