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SARS: il fumo e l’arrosto

E ora si rifiata anche a Pechino... Keystone

Dopo gli intensi timori di aprile e maggio, l’epidemia di SARS sembra essere finalmente sotto controllo ovunque nel mondo. Il tempo dei primi bilanci.

Conseguenze sanitarie, economiche, sociali e politiche. Non è mancato il panico, anche in Svizzera. Si è esagerato?

Normalizzazione. Proprio questo il termine più ricorrente nel corso del dibattito post-SARS tenutosi giovedì sera in un lussuoso hotel di Losanna.

Normalizzazione, in atto o già avvenuta, della vita in Cina e nel mondo, delle relazioni commerciali con l’impero di mezzo, delle attività produttive o ricreative. La minaccia SARS, definita dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) “la prima grave epidemia del XXI secolo”, è per il momento tramontata.

Lascia dietro di sé 808 decessi su un totale di 8’460 persone colpite, sparse in 30 paesi. Il tasso di mortalità è stato particolarmente elevato (+ del 50%) per le persone anziane. In Svizzera è stato confermato un solo caso d’infezione su 7 sospetti.

Quanto grave?

Il senso della proporzione va comunque mantenuto. “Ogni anno l’influenza colpisce mondialmente circa 10 milioni di persone. Da 250’000 a 500’000 ne muoiono”, ricorda Alain Guidetti, ministro all’ambasciata svizzera di Pechino.

Eppure la SARS ha scatenato un putiferio. Tutti, media compresi, ne parlavano giornalmente. Cassandre da ogni dove temevano disastri apocalittici, anche dal punto di vista economico. Un responsabile di un’impresa svizzera attiva a Pechino e Shanghai ha rilevato come “ogni decisione era semplicemente rinviata: tutto soggiaceva alla SARS”.

“Oggi è però sbagliato banalizzare l’accaduto”, rileva Daniel Koch, membro della task force SARS dell’Ufficio federale della salute pubblica. “Dopo il titubare iniziale, la Cina è riuscita a contenere l’epidemia anche grazie a misure drastiche: quarantene forzate, limitazioni alla libertà di movimento e di socializzazione. Cosa sarebbe accaduto senza di esse?”.

Il caso Baselworld

L’allarme ha provocato parecchi sudori freddi anche in Svizzera. Le autorità sanitarie hanno seguito passo passo le raccomandazioni dell’OMS. E, in un caso, si sono pure distinte per il loro zelo.

Baselworld, l’importante fiera dell’orologeria e della gioielleria della città renana. Il 1. aprile il Consiglio federale decide d’impedire agli espositori provenienti dalle regioni a rischio di lavorare alla mostra. “Non potevamo rischiare una potenziale diffusione incontrollata della malattia”, precisa Daniel Koch.

Hong Kong e gli organizzatori di Baselworld non hanno comunque gradito. E sono ricorsi alle vie legali per farsi risarcire da Berna. Il seguito di questa vicenda è atteso per la fine dell’estate.

Muraglia “virale”

Aprile e maggio. I mesi “caldi” dell’epidemia in Cina. Di quei tempi nessuno voleva più recarcisi. E non a caso la stessa Swiss, il 22 maggio, ha annunciato la sospensione fino a metà agosto dei voli giornalieri su Pechino.

Piccole società svizzere di servizi, attive esclusivamente sul mercato cinese, hanno dovuto fare i conti con cali della cifra d’affari vicini al 100%. E, in senso inverso, in maggio i pernottamenti dei clienti cinesi in Svizzera sono diminuiti del 70.9%.

Ma, nonostante i dati siano ancora provvisori, sembra che l’effetto sulle relazioni commerciali tra Cina e Svizzera non sarà troppo grave. Innanzitutto la crescita del PIL cinese nella prima metà dell’anno è continuata a ritmi da sogno: + 8%.

E la Svizzera continua a beneficiare del mercato cinese. “In maggio le importazioni sono rimaste stabili mentre le esportazioni verso la Cina sono progredite del 23% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno”, segnala il Segretariato di Stato dell’economia. “Non ci attendiamo quindi sconvolgimenti maggiori”.

La crisi peggiore

Nel corso di un recente incontro con l’ambasciata svizzera di Pechino, i rappresentanti delle imprese elvetiche attive in zona hanno descritto gli scorsi mesi come “la peggior crisi degli ultimi anni in Cina”.

Nessuna di loro ha però dovuto sospendere la produzione od affrontare difficoltà insormontabili. Eh già, in un mercato così dinamico 2 mesi a basso regime possono essere sopportabili. Ma, avvertono gli esperti, le conseguenze di un secondo allarme potrebbero essere ben più gravi.

In questo senso di certezze ancora non ne esistono. “Abbiamo debellato la SARS?”, si chiede Daniel Koch. “Ancora non lo sappiamo. Potrebbe anche trattarsi di una malattia stagionale. La guardia va dunque mantenuta ancora alta”.

swissinfo, Marzio Pescia

16 novembre 2002: primo caso a Foshan;
Inizio marzo 2003: diffusione della malattia a Hong Kong, Vietnam, Singapore e Toronto;
12 marzo 2003: l’OMS lancia un allarme internazionale;
6 aprile 2003: primo decesso a Pechino;
20 aprile 2003: Pechino diviene l’epicentro dell’epidemia;
24 giugno 2003: finisce l’allarme.

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