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CFO svizzeri più ottimisti, ma prevedono di tagliare impieghi

Keystone-SDA

Malgrado le tensioni geopolitiche e i conflitti commerciali i responsabili delle finanze (CFO) delle grandi aziende svizzere guardano al futuro con cauto ottimismo, perlomeno per quanto riguarda le proprie imprese.

(Keystone-ATS) Oltre un terzo delle società prevede comunque di ridurre l’occupazione in Svizzera, spostando posti di lavoro all’estero. È quanto emerge da un sondaggio promosso dalla società di consulenza Deloitte.

Dopo il crollo osservato in aprile, sulla scia dell’annuncio dei dazi americani, il morale è migliorato: il 37% degli interpellati – 119 CFO di importanti imprese elvetiche (quotate e no) interrogati dall’8 al 29 settembre – si aspetta un andamento congiunturale negativo in Svizzera, a fronte del 58% di sei mesi prima. Gli ottimisti sono saliti dal 15% a al 23%, gli altri puntano sulla stabilità.

Ma è soprattutto a livello aziendale che si assiste a una ripresa. Il 52% dei CFO intervistati guarda con ottimismo all’andamento finanziario della propria azienda nei prossimi dodici mesi, mentre in aprile la percentuale era meno della metà (23%). Il 36% prevede inoltre un aumento dei margini.

La fiducia, però, non si traduce in una difesa dell’occupazione domestica. La combinazione del franco forte e dei dazi doganali statunitensi del 39% su alcune merci d’esportazione elvetiche sta mettendo sotto pressione le società: il 37% dei manager interpellati prevede di ridurre il personale in Svizzera nel prossimo anno. Contemporaneamente, una quota simile (35%) si aspetta di aumentare i dipendenti all’estero, segnale chiaro di una delocalizzazione della forza lavoro.

“A livello internazionale assistiamo a grandi incertezze, ma nonostante la situazione difficile i CFO sono relativamente ottimisti”, commenta Alessandro Miolo, responsabile settoriale presso Deloitte Svizzera, citato in un comunicato. “Il passato ha dimostrato che le ditte svizzere sono brave ad affrontare situazioni difficili e ad adattarsi. Le aziende puntano sulla loro esperienza e agilità per superare le sfide attuali. Ora sarà fondamentale che la politica migliori le condizioni economiche generali e affronti le riforme in sospeso”.

Gli intervistati chiedono quindi misure mirate per migliorare l’attrattiva della piazza economica. Al primo posto figurano la richiesta di ulteriori negoziati per la riduzione dei dazi statunitensi sulle esportazioni svizzere nonché quella di ulteriori accordi di libero scambio con altri stati (entrambi con il 55% di consensi). Segue poi la conclusione dei nuove intese con l’Ue (51%). La salvaguardia del mercato del lavoro liberale elvetico è importante per il 44% degli intervistati. Altre misure, come la sospensione dell’imposta minima dell’OCSE (18%) o sgravi fiscali generalizzati (18%), sono considerate da pochi come parte dei provvedimenti principali da adottare.

Il barometro delle preoccupazioni dell’analisi – giunta alla sua 50esima edizione (la prima è stata del 2009) – è dominato da fattori internazionali. Le sfide geopolitiche restano il rischio numero uno, seguite da conflitti commerciali e rischi valutari, questi ultimi cresciuti significativamente a causa del dollaro debole rispetto al franco.

“La Svizzera è e rimane un paese esportatore”, ricorda il capo economista di Deloitte Svizzera Michael Grampp, a sua volta citato nella nota. “Ciò di cui la nostra economia ha ora bisogno dalla politica sono segnali chiari e misure concrete per poter competere a livello internazionale. L’eliminazione delle barriere commerciali, la promozione del libero scambio e una significativa riduzione della burocrazia sono fattori decisivi. Queste misure vanno ben oltre la politica economica volta ad aumentare l’attrattiva del paese: sono fondamentali per la stabilità della nostra nazione, per l’occupazione, per il gettito fiscale e per garantire a lungo termine i nostri sistemi sociali”, conclude l’esperto.

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