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Ci sarà un rapporto del governo sui “salari indecenti” dei manager delle ferrovie

In seguito alle critiche, Benedikt Weibel, direttore generale delle FFS, aveva rinunciato a una parte del suo salario Keystone

Scoppiata qualche settimana fa, la polemica sugli aumenti mirabolanti dei salari degli alti dirigenti delle Ferrovie federali e della Posta è approdata in Parlamento. L'opinione pubblica non ha capito come un dirigente delle FFS possa improvvisamente decidere di raddoppiarsi il proprio salario e come le retribuzioni più alte abbiano addirittura raggiunto i 720.000 franchi, in pratica, il doppio di quanto guadagna un Consigliere federale.

Nelle settimane precedenti la sessione di Lugano, la stessa incomprensione è stata manifestata dalla Delegazione delle finanze delle Camere federali, dalla commissione delle istituzioni politiche e dalla commissione dei trasporti e delle telecomunicazioni della Camera bassa. Di fronte a queste preoccupazioni diffuse, il governo ha deciso di preparare un rapporto globale sulla questione.

A Lugano, il dibattito è stato avviato sulla base di due interpellanze urgenti presentate dal gruppo socialista e da un deputato dell’Unione democratica di centro. Una buona ventina di parlamentari sono saliti alla tribuna per esprimere indignazione o perplessità. Un denominatore comune degli interventi è stata l’esigenza di maggiore trasparenza sulla politica salariale praticata per la Posta e le Ferrovie.

Numerosi i socialisti intervenuti. Il giurassiano Jean-Claude Rennwald ha indicato che i dipendenti delle FFS meglio pagati guadagnano 18 volte più dei collaboratori in fondo alla scala dei salari. Per il grigionese Andrea Hämmerle, “il settore privato ha dimostrato di non essere migliore del settore pubblico: l’esempio di Swissair dovrebbe far riflettere.” Come giustificare questi aumenti, hanno domandato in molti, quando d’altra parte le misure di razionalizzazione portano alla chiusura di decine di stazioni e di uffici postali, con la soppressione di migliaia di posti di lavoro?

Il gruppo radicale democratico ha fatto sapere di approvare le perplessità. “Ma, ha ammonito il grigionese Duri Bezzola, la politica non può tornare a immischiarsi di nuovo nel destino di Posta e Ferrovie, aziende che si sono avviate sul “cammino inevitabile” della liberalizzazione. Il suo compagno di partito, lo sciaffusano Gerold Bührer, ritiene che il Consiglio federale non possa delegare la sua responsabilità di controllo su queste aziende. Per lui, il consiglio d’amministrazione delle Ferrovie ha agito correttamente dal punto di vista economico, ma ha sbagliato sul piano psicologico. “Questi manager, ha detto dal canto suo il ticinese Fulvio Pelli, hanno ancora da imparare anche dalla politica.”

“FFS, Posta e Swisscom appartengono comunque alla Confederazione e dunque a noi tutti, ha ricordato la democratica cristiana ticinese Chiara Simoneschi-Cortesi. Non si possono dunque paragonare a società anonime, dove le responsabilità sono più grandi.” Per la deputata ticinese, i risultati ottenuti da queste aziende non giustificano in alcun modo né gli alti salari di base, né i bonus dei loro dirigenti. A nome del gruppo democristiano, invita il Consiglio federale a svolgere meglio il suo controllo di proprietario di queste aziende.

Il Consiglio federale, nella sua risposta alle due interpellanze ha ribadito che i salari dei membri della direzione delle ferrovie sono fissati dal consiglio d’amministrazione dell’azienda. Questa competenza è definita nella legge sulle FFS, cosicché i salari non sono legati in alcun modo alla legge sul personale della Confederazione. Il governo ricorda che al momento di determinare i salari le FFS devono tener conto del mercato. Secondo un rapporto esterno ordinato dall’azienda, i salari in questione sono inferiori a quelli percepiti dalle ditte concorrenti delle FFS. A questo punto, non resta che attendere il rapporto del governo. Il presidente della Confederazione Moritz Leuenberger dalla tribuna ha promesso che sarà considerata anche la politica salariale di altri enti come, ad esempio, la Banca nazionale.

Mariano Masserini, Lugano

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