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Via dagli USA: la Svizzera punta su nuovi accordi commerciali

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“Switzerland first”. Sembra voler rispondere così alle minacce tariffarie di Trump la maggior parte della popolazione elvetica. Keystone / Christian Beutler

La politica doganale statunitense mette in difficoltà molti Paesi e i flussi commerciali si stanno modificando a una velocità record. Anche la Svizzera si sta muovendo.

I dazi imposti dagli Stati Uniti stanno creando problemi a numerosi Paesi. A complicare la situazione è anche l’incertezza costante: il presidente statunitense, nonostante le concessioni, potrebbe introdurre nuovi dazi da un momento all’altro, come già minacciato e fatto in passato.

In questo nuovo scenario, molti Stati cercano mercati alternativi. Tra questi c’è la Svizzera, che si è vista applicare uno dei dazi più alti, pari al 39%. 

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Secondo la Segreteria di Stato dell’economia (Seco), partner tradizionalmente più cauti ora mostrano un interesse crescente a stipulare nuovi accordi commerciali o ad aggiornare quelli esistenti. Si tratta di una diversificazione dettata dalle nuove realtà geopolitiche e geoeconomiche.

“La Svizzera si sta effettivamente impegnando più che mai per diversificare i propri scambi commerciali. Gli accordi con India, Mercosur e Thailandia, rimasti a lungo bloccati, stanno ora facendo progressi. Questo riflette la determinazione di Berna a ridurre la propria dipendenza dal mercato statunitense”, afferma Guido Cozzi, professore di macroeconomia all’Università di San Gallo ed esperto di commercio globale.

Gli Stati Uniti restano comunque uno dei mercati più importanti al mondo: nessun Paese può permettersi di tagliare completamente i ponti, nemmeno la Svizzera, che esporta negli USA circa il 18% dei suoi prodotti. Tuttavia, in una parte della politica e dell’economia elvetica cresce la frustrazione e si fanno sentire sempre più le voci che chiedono una maggiore distanza dagli Stati Uniti, percepiti come partner inaffidabili.

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Parallelamente, paesi come la Svizzera risentono anche delle relazioni difficili tra Stati Uniti e Cina. I due giganti sono impegnati in una guerra commerciale, nonostante le forti interdipendenze. Questo conflitto lascia il segno: nell’agosto 2025, la Cina ha esportato negli USA un terzo in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nello stesso tempo, il valore complessivo delle esportazioni cinesi è cresciuto del 4,4%, grazie ad altri mercati.

In questo contesto, i Paesi più piccoli devono fare attenzione a non restare schiacciati tra Pechino e Washington. “Per una piccola economia è essenziale costruire il maggior numero possibile di ponti commerciali. La Svizzera ha sempre saputo che l’apertura ai mercati globali è uno dei pilastri della sua prosperità e resilienza”, sottolinea Cozzi.

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Il commercio continua a funzionare

Anche altri Paesi puntano a una maggiore diversificazione dei mercati. Finora, però, la maggior parte degli Stati continua a seguire la via consueta: accordi commerciali negoziati insieme. Nonostante i cambiamenti innescati dai dazi statunitensi, le fondamenta dell’economia mondiale restano solide. “Il resto del mondo ha in gran parte continuato a commerciare alle condizioni abituali”, ha scritto a inizio settembre 2025 Ngozi Okonjo-Iweala, direttrice generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), in un articolo Collegamento esternosul Financial Times.

“Potenze di media grandezza come Singapore, Svizzera, Uruguay, Australia, Emirati Arabi Uniti, Nuova Zelanda e Regno Unito considerano il sistema commerciale globale centrale per la loro prosperità e cercano di promuoverne la modernizzazione”, ha aggiunto Okonjo-Iweala.

A metà settembre, la Confederazione ha compiuto un passo in questa direzione: insieme ad altri 13 Paesi ha lanciato la Future of Investment and Trade Partnership, un’iniziativa di economie piccole e medie per relazioni commerciali più diversificate. L’obiettivo è “influire maggiormente nell’economia mondiale, rafforzare il sistema commerciale basato su regole ed elaborare soluzioni alle sfide del commercio globale”, si legge in un comunicatoCollegamento esterno.

La Svizzera, in realtà, è già oggi molto più integrata di molti altri Paesi. “Rispetto ad altri Stati di dimensioni simili, la Confederazione è insolitamente attiva nell’apertura di nuovi mercati. Con oltre 30 accordi commerciali con oltre 40 partner, ha costruito una delle reti globali più fitte. Questa vocazione internazionale è una delle basi storiche dello sviluppo e della prosperità svizzera e resta centrale nella sua strategia”, riassume Cozzi.

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Il volume del commercio mondiale è raddoppiato dall’inizio del millennio; la Svizzera si è sempre orientata alle norme esistenti. Al centro della sua strategia Collegamento esternoci sono “un sistema internazionale di regole ampio e condiviso, un accesso non discriminatorio ai mercati internazionali e relazioni economiche che contribuiscano allo sviluppo sostenibile, sia in patria che all’estero”.

Il sistema commerciale globale, però, non è mai stato esente da critiche: l’OMC è bloccata da anni, sia per il protezionismo di Paesi come gli USA, che per le richieste dei Paesi emergenti di condizioni migliori. E ci sono sempre stati altri fattori che hanno deviato i flussi commerciali: cambiamenti tecnologici, nuove regolamentazioni, catene di fornitura modificate e, naturalmente, tensioni geopolitiche.

“Le conseguenze degli sviluppi geopolitici sono oggi una delle principali preoccupazioni per molte aziende”, scrive Collegamento esternoil World Economic Forum (WEF). Gli Stati Uniti, ad esempio, usano i dazi anche come leva politica per ottenere concessioni.

I dazi finiscono in tribunale

E ora cosa accadrà? I tribunali statunitensi hanno giudicato i dazi illegali. Queste decisioni sono state impugnate e probabilmente la questione arriverà fino alla Corte Suprema. Non è detto, però, che i dazi vengano annullati: secondo la Seco, è – anzi – improbabile.

C’è poi la questione della base legale su cui si fondano. Il 2 aprile 2025 – il “Liberation Day”, giorno in cui il nuovo regime doganale è stato presentato – è stato dichiarato lo stato d’emergenza, che conferisce al presidente statunitense il potere d’introdurre dazi tramite decreti. Questo stato d’emergenza dovrà essere riesaminato dopo un anno.

Ma il mondo, allora, potrebbe già essere cambiato.

Articolo a cura di Benjamin von Wyl

Traduzione con il supporto dell’IA/mar

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