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L’improbabile cooperazione tra l’OIL e il Qatar

lavoratori su un cantiere
Centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici migranti sono stati impiegati sui cantieri dei Mondiali di calcio 2022 in Qatar. Keystone

Nel 2017, il Qatar ha versato 25 milioni di dollari all'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) per sostenere la manodopera immigrata nell'emirato. La pratica - che è legale - mette in dubbio l'indipendenza dell'organizzazione, mentre le ONG criticano le condizioni di lavoro nel Paese che ospita i Mondiali di calcio 2022.

È un uomo affranto quello che incontriamo a inizio ottobre al Centro internazionale di conferenze, a pochi passi dal Palazzo delle Nazioni di Ginevra, la sede europea delle Nazioni Unite. Abdoullah Zouhair è oggi un consulente internazionale. Fino a febbraio 2016, ha lavorato presso l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) come specialista in diritto del lavoro e norme internazionali del lavoro, prima a Beirut e poi presso la sede centrale di Ginevra. Il suo statuto ci è stato confermato dall’OIL. È importante precisarlo perché, come vedremo, le testimonianze divergono.

“Per molto tempo non c’è stato dialogo tra l’UIL [Ufficio Internazionale del Lavoro, il Segretariato Generale dell’OIL] e i Paesi del Golfo. Sono stato io stringere legami. Avevo già gestito casi difficili con il Qatar. Quando nel giugno 2014 è stata presentata una denuncia contro il Qatar da parte di una delegazione dei lavoratori e delle lavoratrici alla Conferenza internazionale del lavoro a Ginevra, Doha mi ha chiesto di venire urgentemente nel settembre 2014 per una visita ‘personale e segreta'”, racconta Zouhair.

In effetti, il 12 giugno 2014, il direttore generale dell’OIL ha presentato una denuncia contro il Governo del Qatar per violazione della Convenzione numero 29 sul lavoro forzato e della Convenzione numero 81 sull’ispezione del lavoro. Secondo la denuncia, il lavoro forzato in Qatar riguardava circa 1,5 milioni di lavoratori e lavoratrici migranti. I contratti di lavoro vengono cambiati al loro arrivo a Doha e i passaporti confiscati. Alcune persone sono addirittura costrette a pagare una commissione, che le costringe a “contrarre prestiti consistenti con interessi elevati”.

uomo in una stanza con letti a castello
Lavoratori migranti nei loro accampamenti a Doha, 8 aprile 2016. Keystone

Zouhair afferma di aver informato del suo viaggio in Qatar due funzionari dell’UIL, tra cui la direttrice del Dipartimento per le norme internazionali del lavoro (DNIL), che avrebbe approvato la sua azione.

Missione in Qatar nel gennaio 2015

La sua visita in Qatar nell’estate 2014 si è conclusa con un fallimento, poiché i qatarioti, a suo dire, non intendevano intraprendere alcuna misura efficace contro il lavoro forzato. Zouhair afferma di essere stato rimosso dal caso del Qatar, così come altri due funzionari dell’OIL, tra cui l’esperto di lavoro forzato.

Da qui in poi, le sue dichiarazioni sono in contrasto con quelle dell’agenzia specializzata dell’ONU. Luca Bormioli, responsabile delle risorse umane dell’OIL, assicura che “al signor Zouhair non è mai stato chiesto di negoziare a nome dell’OIL per la Coppa del Mondo in Qatar”. Corinne Vargha, direttrice del DNIL, afferma che la prima missione dell’OIL in Qatar “ha avuto luogo nel gennaio 2015”. Il rapporto di questa missione, guidata da Cleopatra Doumbia-Henry, allora direttrice del DNIL, che ci ha fornito l’OIL, cita quattro nomi, ma non quello di Zouhair.

Eppure, questo rapporto, datato 16 marzo 2015, giunge alle stesse conclusioni di Zouhair. Sottolinea che, a fronte di gravi accuse, il Qatar non ha attuato alcuna misura efficace per porre fine al lavoro forzato. “Nel migliore dei casi, il Governo è passato dalla negazione totale alla minimizzazione del problema […] In conclusione, non è stato fatto alcun progresso”, affermano i delegati di diversi Paesi citati nel rapporto.

Tuttavia, queste dure critiche si sono interrotte bruscamente nel novembre 2017, quando il consiglio di amministrazione dell’OIL, “alla luce delle ultime significative modifiche apportate dal Governo del Qatar alla sua legislazione sul lavoro”, ha deciso di ritirare la denuncia contro l’emirato. Allo stesso tempo, l’OIL ha approvato il lancio di “un vasto programma di cooperazione tecnica globale in Qatar della durata di tre anni”.

Una manna da 25 milioni di dollari

È solo nel giugno 2022, durante una conferenza stampa organizzata dal sito d’informazione BlastCollegamento esterno, che Zouhair ha rivelato che la data del novembre 2017 coincideva proprio con la firma di un contratto in base al quale il Qatar avrebbe versato 25 milioni di dollari all’OIL.

In realtà, l’accordo firmato tra l’OIL e il Qatar non è né illegale né segreto, né tantomeno unico. Per Vargha, “uno dei meccanismi di finanziamento a disposizione dell’OIL è noto come ‘Fondo fiduciario diretto/domestico’ (FFD). Si tratta della cooperazione con gli Stati membri che mettono a disposizione dell’OIL risorse finanziarie per fornire assistenza tecnica nei loro Paesi, in aggiunta al sostegno regolare che l’OIL può fornire attraverso il proprio bilancio”.

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Il budget di 25 milioni di dollari, che copre un periodo di sei anni dal 2018 al 2023, “comprende il personale, i costi operativi, la formazione, la ricerca, gli strumenti di comunicazione”. L’OIL non si limita a sostenere il Ministero del Lavoro del Qatar, “fornisce anche assistenza legale e di gestione dei casi a migliaia di lavoratori e lavoratrici migranti”, afferma Vargha. Questo FFD non è d’altronde stato creato specificamente per l’emirato. In passato, l’OIL ha firmato più di 25 FFD, in particolare con Brasile, Sudafrica, Arabia Saudita e Kuwait.

Questi versamenti all’OIL mettono però in dubbio l’indipendenza dell’organizzazione, mentre le ONG e numerosi media denunciano le condizioni dei lavoratori e delle lavoratriciCollegamento esterno in Qatar. Il giornalista investigativo Denis Robert, fondatore di Blast, è sorpreso dal silenzio dei sindacati all’interno dell’organizzazione internazionale.

Effettivamente, a differenza di altre organizzazioni internazionali, l’OIL, creata nel 1919, conta nel suo consiglio di amministrazione 28 rappresentanti dei Governi, oltre a 14 delegati del padronato e altrettanto dei sindacati.

“Questi ultimi avrebbero dovuto mobilitarsi per denunciare le scandalose condizioni di lavoro dei lavoratori e delle lavoratrici immigrati in Qatar. Tuttavia, non c’è stata la benché minima reazione da parte [soprattutto] dei sindacalisti francesi”, deplora.

Critiche

Il 12 novembre 2018, Antonio Amaniera, animatore di Worldnewmedias.com, sito web dedicato al Qatar, ha chiesto: “L’OIL può ancora affermare di difendere la giustizia sociale a livello internazionale dal momento che collabora con il Qatar?”

Queste critiche non sono nuove. Fin dalla sua creazione, l’OIL è stata additata per la sua burocrazia e l’incapacità di agire sul campo. Nel settembre 2018, Unia, il più grande sindacato svizzero, si era indignato del fatto che un’azienda che impiegava più del 50% di lavoratori e lavoratrici interinali lavorasse in un cantiere… dell’OIL. Unia ha chiesto che l’OIL includa nei suoi bandi di concorso la limitazione del lavoro temporaneo al 10%

Come sottolinea Sandrine Kott, professoressa di storia europea contemporanea all’Università di Ginevra, “se uno Stato fa qualcosa che è in contraddizione con una convenzione che ha ratificato, come la Convenzione sul lavoro forzato, la commissione di controllo delle ratifiche redige un rapporto all’indirizzo di quello Stato, ma la sua capacità di agire è pari a zero”.

file di lavoratori accanto a degli autobus
Il Qatar ha recentemente introdotto un salario minimo per i lavoratori e le lavoratrici dall’estero. Keystone

Cosa succederà dopo i Mondiali?

Tuttavia, dopo gli interventi dell’OIL, nel 2020 il Qatar ha varato una legge sul salario minimo. È il primo Paese del Golfo ad averlo fatto. “La soglia di 1’000 QR [rial del Qatar] è superiore di un terzo rispetto al salario minimo precedente e non include le indennità per il vitto e l’alloggio. Più di 280’000 lavoratori e lavoratrici (il 13% della forza lavoro) hanno beneficiato dell’introduzione del salario minimo e della sua effettiva applicazione”, afferma Max Tuñon, responsabile dell’OIL a Doha.

La manodopera migrante riceve oggi l’equivalente di 280 franchi al mese. Aggiungendo il vitto e l’alloggio, l’importo sale a 504 franchi. Tuñon ha dichiarato al quotidiano Le TempsCollegamento esterno che il motivo per cui così tante persone straniere vogliono ancora venire a lavorare nell’emirato è che il Qatar offre salari e stabilità più alti rispetto ai loro Paesi d’origine.

La domanda è se queste leggi saranno rispettate dopo il 2023. Lo scorso agosto, dei lavoratori e delle lavoratrici stranieri che hanno osato manifestare per chiedere i loro stipendi, non pagati da sette mesi, sono stati espulsi dal Qatar sine die, secondo il sito d’informazione France InfoCollegamento esterno.

Articolo a cura di Virginie Mangin

Traduzione dal francese di Luigi Jorio

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