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Il trend ambientalista raggiunge gli accordi di libero scambio

Orang-Utan
La foresta pluviale è spesso disboscata per piantare palme da olio. La vita di molte specie animali è minacciata dall'avanzata delle piantagioni. Tra di esse l'orangutan, in via di estinzione. Keystone / Hotli Simanjuntak

L'ecologia sta influenzando sempre più la politica economica globale. Lo dimostra l'accordo commerciale della Svizzera con l'Indonesia, approvato dal governo federale e dal parlamento, sul quale il popolo voterà il 7 marzo a causa di un referendum.

È un trionfo dei valori nello scambio di beni – e una tendenza globale. Quando uno Stato importa, vuole avere sempre più voce in capitolo sulle caratteristiche dei prodotti. Ciò è particolarmente vero in Svizzera, un piccolo Paese con elevati standard di produzione e sostenibilità.

“È la prima volta che un accordo commerciale è legato a condizioni di sostenibilità”, osserva Reto Föllmi parlando dell’accordo di libero scambio tra la Svizzera e l’Indonesia. Föllmi è professore di economia all’Università di San Gallo.

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Mentre l’accordo commerciale tra gli Stati dell’Associazione europea di libero scambio (AELS: Norvegia, Islanda, Liechtenstein e Svizzera) e Indonesia prevede riduzioni tariffarie per l’industria e per i prodotti agricoli, l’olio di palma è in linea di massima escluso dal libero scambio: solo una certa quantità di olio di palma sostenibile e certificato può essere importato godendo di tariffe doganali più basse.

Si tratta di un nuovo tipo di accordo di libero scambio, dice l’economista Föllmi: “In passato si trattava di abbassare le tariffe per promuovere l’integrazione del mercato. Ma dopo le discussioni sulla Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), sono stati inclusi anche altri fattori, come le normative sui prodotti, la protezione della proprietà intellettuale o le condizioni di lavoro”.

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Un dare e avere

Da un lato, tali norme speciali riguardano la protezione dei produttori nazionali che farebbero fatica a competere con i prodotti esteri a basso costo. D’altra parte, gli standard tengono conto anche dei consumatori: le condizioni di sostenibilità per l’olio di palma riflettono una domanda più forte, che si manifesta in una pressione politica, dice Föllmi.

Infine, ma non meno importante, questi fattori aggiuntivi sono anche un argomento negoziale: “I negoziati sugli accordi economici sono sempre un dare e avere. Le concessioni aiutano a raggiungere la maggioranza necessaria”.

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Per la Svizzera, tali accordi sono fondamentali. Povera di materie prime ma ricca di manodopera altamente qualificata, l’economia svizzera è molto dipendente dal commercio estero.

La strategia commerciale della Svizzera si basa su tre pilastri:

  • il pilastro multilaterale con l’adesione attiva all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC);
  • il pilastro europeo con gli accordi bilaterali con l’UE;
  • e il pilastro degli accordi di libero scambio con i Paesi terzi al di fuori dell’UE.

La via multilaterale è attualmente in stato di paralisi, in parte a causa del blocco dell’OMC da parte degli Stati Uniti. “Per questo motivo gli accordi di libero scambio con singoli Paesi o aree economiche stanno acquistando sempre più importanza e probabilmente in futuro aumenteranno “, dice il professore di economia Reto Föllmi.

La Svizzera dispone già di una rete di libero scambio composta di circa 30 accordi con 40 partner. Sono in corso ulteriori negoziati, ad esempio con gli Stati Uniti, gli Stati del Mercosur e la Malesia.

Le parti sono favorevoli all’accordo

Tuttavia, stipulare accordi commerciali è generalmente difficile in Svizzera, soprattutto a causa della forte lobby agricola. Gli agricoltori temono spesso di perdere la loro competitività.

alimenti
L’olio di palma è contenuto in molti prodotti. © Keystone / Christian Beutler

L’olio di palma, ad esempio, è visto da alcuni come un concorrente per la produzione di olio di girasole e di colza, perché è di gran lunga l’olio più economico e domina il mercato mondiale. Per questo motivo il viticoltore biologico ginevrino Willy Cretegny e il sindacato dei contadini Uniterre della Svizzera occidentale hanno indetto un referendum, sostenuto da circa 50 organizzazioni.

Ciononostante, un’alleanza relativamente ampia è a favore dell’accordo economico con l’Indonesia: alcune associazioni per la tutela dell’ambiente, tra cui il WWF, e anche tutti i principali partiti – ad eccezione dei Verdi. Anche il Partito socialista (PS), che aveva respinto in parlamento l’accordo commerciale con l’Indonesia, ora ne raccomanda l’approvazione. E pure il Partito liberale radicale, a favore di una liberalizzazione dei mercati, si è espresso a favore della sostenibilità.

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Anche la giurista Elisabeth Bürgi, esperta di diritto commerciale internazionale e sostenibilità presso il Centro per lo sviluppo e l’ambiente (CDE) dell’Università di Berna, osserva che i politici cercano sempre più spesso di tenere conto delle questioni ambientali.

“Le questioni ambientali e sociali hanno assunto un peso maggiore, soprattutto a seguito degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) fissati dall’ONU, per i quali quasi tutti i Paesi del mondo si sono impegnati nel 2015”. Da allora si riconosce che la politica economica deve creare le condizioni quadro per un’economia sostenibile e fornire incentivi mirati in questa direzione, dice.

Processo di conversione all’olio di palma sostenibile

Nel settore del commercio, il cosiddetto approccio PPM (“Process and Production Methods”, ovvero il diverso trattamento dei prodotti a seconda del loro metodo di produzione) è oggetto di molte discussioni.

“È un peccato che nell’accordo commerciale questo valga solo per l’olio di palma e non per altri prodotti come il legno o la gomma. Ma è un inizio”, dice Bürgi. Questa differenziazione del prodotto costituirebbe un importante incentivo per i produttori di olio di palma indonesiani a rendere almeno una parte della loro produzione di olio di palma più ecologica e socialmente responsabile. Nel migliore dei casi, questo potrebbe anche ripercuotersi su altri processi economici, sostiene Bürgi.

uomo nella foresta
Un operaio indonesiano raccoglie frutti di palma in una piantagione di palma da olio a Deli Serdang, nel nord di Sumatra. L’Indonesia è il più grande produttore mondiale di olio di palma, che deriva dal frutto della palma. Keystone / Dedi Sinuhaji

L’accordo stabilisce che “solo” 12’500 tonnellate di olio di palma sostenibile possono beneficiare delle tariffe più basse (l’Indonesia produce in totale oltre 35 milioni di tonnellate di olio di palma, il che la rende il più grande produttore mondiale di olio di palma). Ma il legame con i severi requisiti di sostenibilità offre anche all’Indonesia un argomento a suo favore; può dimostrare di sostenere efficacemente i processi di conversione all’olio di palma sostenibile – che può anche influenzare positivamente i futuri accordi, come quello con l’UE.

Tuttavia è presto per dire se l’accordo commerciale con la Svizzera e gli altri paesi dell’AELS promuoverà effettivamente la sostenibilità nella produzione di olio di palma indonesiano, avverte Bürgi: “Dipende molto dall’attuazione dell’accordo”.

L’esperta vede comunque con favore il fatto che l’accordo comprenda un capitolo sulla cooperazione che obbliga gli Stati dell’AELS a fornire all’Indonesia un sostegno finanziario e tecnico nel processo di transizione a una produzione di olio di palma più sostenibile. Dopotutto, il passaggio da una produzione convenzionale a una produzione veramente sostenibile – cioè ecologica e socialmente giusta – è sempre anche una questione di risorse.

Anche se i Paesi dell’AELS nell’accordo prevedono un simile sostegno all’Indonesia, questo punto non è ancora specificato nell’ordinanza e nel rapporto esplicativo del Consiglio federale (attualmente ancora in consultazione), critica Bürgi. Né è prevista una valutazione successiva che possa dimostrare dopo alcuni anni l’efficacia dell’accordo.

Vantaggio effettivo

È proprio questo che Reto Föllmi mette in discussione: “Gli accordi di libero scambio sono spesso venduti dal Consiglio federale e dai media come un grande successo, come abbiamo visto con l’accordo con la Cina. Ma se si guarda più da vicino, si vede che spesso non vengono utilizzati affatto. Perlomeno però sono un primo passo verso un’ulteriore apertura.”

Secondo uno studio dell’Istituto svizzero di economia internazionale e ricerca economica applicata (SIAW-HSG) dell’Università di San Gallo, il tasso di utilizzo delle tariffe preferenziali, che consentono alle aziende dei Paesi meno sviluppati di esportare prodotti semplificati in Svizzera, è talvolta inferiore al 50 per cento.

Ciò significa che gran parte dei risparmi tariffari teoricamente possibili non sono affatto realizzati. “Per le aziende più piccole, spesso significano costi fissi elevati, per esempio per ottenere un certificato di sostenibilità, quindi alla fine preferiscono pagare i dazi doganali”. Per la maggioranza degli attori coinvolti (maggioranza che deve però ancora essere confermata dalle urne il 7 marzo), l’accordo non rappresenta ancora un’economia più sostenibile – ma è un passo nella giusta direzione.

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