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Scarso rientro di capitali in Italia

Le misure per impedire l'uscita dei capitali dall'Italia non sembrano necessariamente facilitarne il rientro Keystone Archive

Lo scudo fiscale del ministro Tremonti sembra avere meno successo del previsto. Di che rassicurare la piazza bancaria ticinese.

L’ufficio Italiano Cambi ha finalmente reso nota l’entità dei capitali rientrati in Italia grazie allo “scudo fiscale” fatto approvare in parlamento dal governo Berlusconi (in pratica un’amnistia che prevede il pagamento di una tassa una tantum del 2,5% in cambio dell’anonimato degli “esportatori illegali pentiti”). E non sono davvero le grandi cifre su cui contava il ministro dell’economia Giulio Tremonti.

Più rientri in gennaio

Se i primi due mesi di applicazione erano stati deludenti – neppure 600 milioni di euro – gennaio ha regalato appena qualche piccola soddisfazione in più: 1.804 milioni di euro in attività finanziarie effettivamente rientrate in Italia e 375 milioni per attività regolarizzate, ma che rimangono all’estero.

In totale, durante tre dei quattro mesi di applicazione inizialmente previsti, sono rientrati 2.381 milioni di euro (meno di 5.000 miliardi di lire), mentre ne sono stati regolarizzati 502.

Se si pensa che il ministro Tremonti, aveva pubblicamente parlato di previsioni intorno ai 100.000 miliardi di lire entro febbraio (50 miliardi di Euro), si comprende come la proroga dello “scudo” fino al 15 maggio (in realtà fino al 30 giugno) sia stata praticamente una mossa obbligata per evitare il fallimento completo dell’operazione. Con gravi ricadute anche sulla credibilità dei conti pubblici fatti secondo quelle previsioni.

Lombardia e Svizzera in testa

Interessante, comunque, la disaggregazione regionale: il 62% delle attività sono tornate in Lombardia, mentre alle altre regioni restano solo le briciole (in Piemonte il 9%, in Veneto il 6, in Toscana il 5, e via a scendere). Per quanto riguarda invece i paesi di provenienza, il 60% torna dalla Svizzera, il 13% dalla Germania, il resto da Usa, Austria, Francia, ecc.

Risultano così confermate le previsioni pessimistiche circolate in Italia e Svizzera nelle scorse settimane. Nicola Rossi, ex consigliere economico di Massimo D’Alema a Palazzo Chigi e grande esperto dei movimenti finanziari nella penisola, aveva esplicitamente parlato di “un mezzo flop. I capitali all’estero vengono regolarizzati, ma poi restano all’estero e non rientrano nel circuito dell’economia nazionale”.

Pericolo scampato per le banche svizzere

Di tono simile, nei giorni scorsi, erano state le parole del presidente della Banca del Gottardo, Claudio Generali: lo “scudo fiscale” “avrà conseguenze molto meno importanti per le banche di quel che temevamo”. E, per quanto riguarda le pressioni mediatiche di Tremonti a proposito della rapida abolizione del segreto bancario nella Confederazione, aveva aggiunto: “Tremonti cerca di spaventare i suoi concittadini e di convincerli a ritirare i loro soldi dalle banche svizzere”.

Tuttavia, le banche svizzere non possono ancora cantare vittoria. Sembra infatti che in febbraio, anche se i dati ufficiali non sono ancora noti, ci sia stato un vistoso incremento delle regolarizzazioni. Un trend che potrebbe reggere fino a maggio, anche se appare escluso che l’ammontare totale dei capitali che rientreranno in Italia possa veramente mettere in crisi in sistema bancario svizzero e soprattutto ticinese.

Francesco Dirovio

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